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Rapporto lavoro 2020: la pandemia ha creato una nuova generazione di infortuni
Il documento annuale redatto dal ministero e dagli istituti pubblici osserva per l’Italia uno scenario profondamente alterato, con un calo dell’occupazione e una diminuzione degli infortuni. Aumentano però le malattie professionali. 24/03/21
Il rapporto annuale “Il Mercato del lavoro 2020: una lettura integrata”, pubblicato il 25 febbraio, è frutto del lavoro congiunto tra ministero del Lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, nato nell’ambito dell’Accordo quadro che ha l’obiettivo di favorire la diffusione d’informazioni armonizzate e complementari su struttura e dinamica del mercato del lavoro in Italia.
In Italia come nel mondo intero, la pandemia dovuta al Covid-19 ha condizionato in maniera cruciale gli sviluppi di economia e società. L’emergenza sanitaria e la conseguente sospensione delle attività di interi settori produttivi hanno rappresentato uno shock improvviso e senza precedenti sulla produzione di beni e servizi e, di conseguenza, sul mercato del lavoro.
Il Rapporto descrive gli effetti del Covid-19 sulla domanda e sull’offerta di lavoro, il ruolo degli ammortizzatori sociali messi in campo, e le ricadute sulla qualità del lavoro, mantenendo l’attenzione su un confronto di tendenza rispetto ai trend precedentemente in atto.
A partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020, i provvedimenti normativi che si sono succeduti per il contenimento e la gestione dell’emergenza sanitaria hanno fortemente alterato le ordinarie dinamiche del mercato del lavoro.
Le categorie più colpite dall’emergenza sanitaria sono state di fatto quelle che già erano caratterizzate da condizioni di svantaggio: donne, giovani e stranieri. Penalizzate perché occupano più spesso le posizioni lavorative meno tutelate, per giunta nei settori e nei tipi di impresa investiti più duramente dalla crisi.
A trainare il calo dell’occupazione è stato il lavoro a termine e il lavoro autonomo, mentre quello a tempo indeterminato risulta in lieve aumento. Gli andamenti peggiori si riscontrano nel settore degli alberghi e ristorazione e nei servizi domestici (a prevalenza femminile), tra gli addetti al commercio e ai servizi e tra le professioni non qualificate. La tenuta nei settori delle costruzioni, dell’informazione e comunicazione e dell’industria in senso stretto dà conto del minore impatto della crisi sulla componente maschile.
Il calo è molto più rilevante nei settori con un tasso di turnover elevato e risulta più accentuato nelle piccole imprese (servizi di alloggio e ristorazione, attività artistiche, sportive, intrattenimento e divertimento). Il comparto turistico è stato tra i più colpiti.
Gli interventi adottati per fronteggiare l’emergenza in materia di lavoro e reddito hanno comportato una spesa di oltre 27 miliardi fino a novembre 2020, che per più di due terzi è stata destinata alla Cassa integrazione; il secondo intervento, in termini di rilevanza macroeconomica, è costituito dagli indennizzi ai lavoratori autonomi (3,5 miliardi). Nel corso del 2020 si è concluso il primo triennio di attivazione di strumenti nazionali di contrasto alla povertà. Il Reddito di inserimento (Rei), attivato a gennaio 2018, si è esaurito ad agosto 2020; ad aprile 2019 è stato attivato il Reddito di cittadinanza (Rdc), a maggio 2020 il Reddito di emergenza (Rem). Con il Rei il numero di nuclei interessati si è attestato a poco meno di 400 mila, con l’avvio del Rdc la consistenza dei nuclei è cresciuta al milione, con l’introduzione del Rem a circa 1,5 milioni.
Il Rapporto analizza anche l’andamento dei dati sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali in tale contesto, andamento in forte calo per il ridimensionamento dell’esposizione al rischio. Nell’ultimo ventennio il trend degli infortuni sul lavoro registra una graduale flessione (con le eccezioni del 2016 e 2017); i primi dati del 2020 (relativi ai primi nove mesi) evidenziano un quadro infortunistico fortemente in calo (-15,8% rispetto allo stesso periodo del 2019), indotto dall’eccezionale diminuzione dell’esposizione al rischio, a causa della pandemia.
Ma se da una parte il blocco della circolazione durante il lockdown e il massiccio ricorso allo smart working hanno agito da calmiere sugli infortuni sul lavoro, il Rapporto evidenzia come la pandemia abbia creato anche “una nuova generazione di infortuni, quelli da contagio da Covid-19”, fattore che ha in parte compensato la riduzione delle denunce tradizionali nel complesso e, per l’importante letalità dell’evento, aggravato il confronto del numero di denunce mortali rispetto ai primi nove mesi del 2019 (+18,6%).
Quanto alle malattie professionali, invece, le prime stime 2020 indicano una forte contrazione delle denunce (-26,6%), elemento che interrompe un trend di continua crescita dal 2000. Le malattie professionali, o tecnopatie, analogamente agli infortuni, interessano in maggioranza gli uomini, più impiegati in attività rischiose e che richiedono un maggiore sforzo fisico. Il 79% delle malattie professionali è denunciato da ultra-cinquantenni: l’elevata concentrazione di denunce nelle fasce più adulte è in parte dovuta alla latenza delle patologie, che può essere anche molto lunga e nel 90% dei casi si concludono col riconoscimento di una menomazione permanente.
di Monica Sozzi