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La disuguaglianza digitale è una questione da risolvere al più presto, dato che tre miliardi di persone nel mondo rimangono offline. Nel 2021 l’Italia aumenta la copertura della rete Gigabit alle famiglie, posizionandosi in linea con l'obiettivo prefissato, mentre nel 2020 ha fatto progressi insufficienti per quanto riguarda la spesa in ricerca e sviluppo.

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Per evitare il disastro l’Ipcc fissa al 2025 il punto di svolta nelle emissioni

Rapporto sulla mitigazione: elettrificazione e investimenti sulle rinnovabili, sempre più convenienti, guidano le soluzioni. Ma per ora marciamo verso un aumento di oltre tre gradi a fine secolo.   6/4/22

Dopo la prima pubblicazione che ha spiegato perché il clima sta cambiando, la seconda che ha analizzato impatti e urgenza di adattarsi, con la terza parte dedicata alle politiche di mitigazione, diffusa il 4 aprile, è ora completo il sesto rapporto (assessment report 6) dell’Ipcc, il Panel intergovernativo che funge da supporto scientifico alla Conferenza Onu sul cambiamento climatico. Come le prime due parti, anche questa costituisce una sintesi tratta da migliaia di pubblicazioni scientifiche. Siamo di fronte al più ampio e accurato lavoro mai fatto sul cambiamento climatico.

 

La scienza è chiara: “the time for action is now”

È questa la frase chiave delle tre le pubblicazioni. Nella parte dedicata alla mitigazione viene descritto a quali cambiamenti e trasformazioni il mondo dell’energia e dei comportamenti individuali deve andare incontro per centrare il fondamentale obiettivo dell’Accordo di Parigi: arrestare l’aumento medio della temperatura terrestre entro i 2°C facendo il possibile per restare entro 1.5°C (rispetto ai livelli preindustriali), dato che in termini di impatti c’è una grossa differenza (molto minore nel secondo caso) tra questi due target.

Partiamo subito da un dato netto: nonostante le tante dichiarazioni dei leader globali a sostegno della battaglia climatica, tra il 2010 e il 2019 le emissioni medie annue di gas serra sono state le più alte della storia umana: il 12% in più rispetto al 2010 e il 54% in più rispetto al 1990 (come mostra la seguente immagine che divide le emissioni per tipologia).

Nell’ultimo decennio non c’è stato alcun tipo di diminuzione, semplicemente le emissioni hanno avuto un tasso di crescita minore nel 2010-2019 rispetto al 2000-2009. Non siamo dunque sulla buona strada per limitare il riscaldamento globale entro 1.5°C. Senza un rapido cambio di passo, l’aumento di temperatura potrebbe toccare i 3.2°C entro fine secolo: un vero e proprio disastro in termini di sconvolgimento dell’equilibrio climatico del Pianeta.

Ma la crisi climatica si intreccia con il tema delle disuguaglianze, basti pensare che a livello globale il 10% delle famiglie più ricche è responsabile del 40% dei gas climalteranti, mentre il 50% più povero contribuisce per meno del 15% delle emissioni.

Continuando a parlare di “responsabilità”, la causa principale del riscaldamento globale è ormai chiara da decenni: l’uso sfrenato di combustibili fossili. Se non cambieremo drasticamente le modalità di produzione di energia, basteranno le sole emissioni di CO2 provenienti dalle strutture esistenti e pianificate legate alle fonti fossili (attività di ricerca, estrazione, trasporto) per sforare di gran lunga il limite di 1.5°C. Neanche la pandemia ha potuto molto nel contrasto ai gas serra: la diminuzione delle emissioni prodotte dall’uso di combustibili fossili nella prima metà del 2020 è stata solo temporanea, visto che prima della fine dello stesso anno queste erano già risalite.

 

Prossimi anni cruciali. Entro il 2025 ci deve essere il picco delle emissioni

Il rapporto Ipcc, come da tradizione, costruisce una serie di scenari che ci mostrano come avere una buona probabilità per evitare i peggiori disastri imposti dalla crisi climatica.

Per centrare l’obiettivo 1.5°C, per esempio, lo studio ci dice che dobbiamo raggiungere il picco delle emissioni gas serra entro e al massimo il 2025, per poi ridurle di almeno il 43% entro il 2030 rispetto all’anno 2019. Nello stesso periodo la dispersione di metano in atmosfera, che è un gas serra più potente della CO2 ma viene assorbito prima dagli ecosistemi (fino a 85 volte più impattante ma viene assorbito nel giro di 15-20 anni rispetto ai decenni della CO2), deve essere ridotta di almeno un terzo (34%). Fondamentale sarà poi continuare con politiche di riduzioni drastiche per arrivare alla neutralità carbonica al 2050, orizzonte intorno al quale la temperatura media globale si stabilizzerà. Va detto, però, che anche con tagli rapidi sicuramente e almeno temporaneamente verrà superata la soglia di 1.5°C. Dobbiamo fare il possibile per rendere reale quel “temporaneamente”.

Per contenere invece l’aumento medio di temperatura entro 2°C, il picco massimo deve avvenire sempre entro il 2025, e dobbiamo ridurre le emissioni di almeno il 27% al 2030 rispetto ai livelli del 2019. Qui il limite di zero emissioni di CO2 viene spostato al 2070 ma l’Ipcc ricorda che devono essere ridotte in modo sostanziale anche le emissioni degli altri gas climalteranti.

Un ruolo importante per la neutralità climatica sarà poi giocato anche dalle tecnologie di rimozione dei gas climalteranti, molte ancora in fase di sviluppo e oggetto di discussione. Tecnologie che però serviranno per rendere “neutrali” emissioni difficili da azzerare, come quelle del settore dell’aviazione, dell’agricoltura e di alcuni processi industriali.

 

Rinnovabili ed elettrificazione guidano le soluzioni al riscaldamento globale

Passiamo alle “buone notizie” del Rapporto. Nonostante i tempi siano incredibilmente stretti, anche e soprattutto per via dei decenni persi, le soluzioni per mettere in sicurezza il benessere della popolazione globale e dei nostri ecosistemi ci sono. In tutti i settori sono infatti disponibili opzioni in grado di dimezzare le emissioni entro il 2030. In quello energetico, lo sforzo di riduzione passerà per una sostanziale rinuncia ai combustibili fossili. La parola d’ordine è elettrificazione del sistema energetico, alimentato dalle rinnovabili e accompagnata da una serie di combustibili alternativi e di misure basate sul risparmio e l’efficienza energetica. Da annotare, in positivo, che dal 2010 al 2019 i costi relativi al fotovoltaico e ad altre fonti pulite sono andati velocemente giù, diventando in molti casi più competitivi dei combustibili fossili (la fascia grigia dei grafici in alto della seguente immagine mostra il costo delle tecnologie fossili, in blu il drastico calo dei costi delle tecnologie a basse emissioni). Si sono infatti verificate diminuzioni dei costi dell’energia solare dell’ordine dell’85%, dell’energia eolica del 55%, delle batterie a litio dell’85%. Anche per questo motivo, sono cresciute le loro distribuzioni, per esempio la produzione di energia alimentata dal Sole e i veicoli elettrici sono aumentati in un numero pari a 10 e 100 volte nell’ultimo decennio.

Grossi cambiamenti dovranno investire anche il settore dei trasporti, che però dipende strettamente dalla decarbonizzazione dell’intero sistema energetico, basti pensare alle enormi potenzialità offerte dalla mobilità elettrica, dall’idrogeno verde per il trasporto marittimo e aereo, e dalle batterie per l’elettrificazione dei camion, in modo da favorire un trasporto merci più green che dovrà sempre più essere integrato alla rete ferroviaria.

Nel rapporto si legge che entro il 2050 il cambiamento della domanda, e quindi anche dei comportamenti delle persone, potrebbe incidere fortemente: la combinazione di politiche efficaci, di migliori infrastrutture e di nuove tecnologie permetterebbe una riduzione che varia dal 40% al 70% delle emissioni di gas serra. Anche una dieta a base vegetale, soprattutto nei Paesi ad alto reddito, riuscirebbe a dare un grosso contributo all’azione in favore del clima.

Inoltre, per avere città a zero emissioni bisogna spingere fortemente su modelli di consumo e produzione sostenibili e (anche qui) su elettrificazione e sistemi basati sul verde urbano, per assorbire meglio le emissioni di carbonio. Per decarbonizzare gli edifici in questo decennio, obiettivo ritenuto fondamentale, bisogna prendere esempio dal mix di buone pratiche già reali e che si basano anche su un minor spreco di risorse; per l’industria la riduzione delle emissioni comporterà un uso più efficiente dei materiali, il riutilizzo e il riciclo di determinati prodotti, e la riduzione al minimo della quantità di rifiuti.

Infine, nel ventaglio delle soluzioni troviamo anche l’uso dei terreni agricoli, delle foreste e del suolo. Elementi fondamentali della mitigazione, che se da una parte sono chiamati a ridurre le emissioni, dall’altra rappresentano un’enorme aiuto nella rimozione della CO2 in atmosfera attraverso il prezioso servizio ecosistemico dello stoccaggio. Qui le attività di mitigazione, come quelle basate sulla natura (nature based solutions), possono apportare benefici alla biodiversità, aiutare a mettere in piedi le pratiche di adattamento (che ricordiamo sono state oggetto della seconda parte dello studio Ipcc), e garantire risorse per mezzi di sussistenza necessari all’umanità, come cibo, acqua e legno. La seguente immagine mostra le potenzialità dei diversi settori nel ridurre i gas climalteranti.

 

Gli investimenti pubblici e privati devono essere orientati all’azione climatica

Non c’è più spazio per nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi. I soldi per accelerare la transizione in modo da raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi ci sono. L’Ipcc infatti scrive che c’è talmente tanta liquidità del mondo che se riuscissimo a orientare grossa parte di questa non avremmo problemi in termini di “trasformazione”. Tuttavia, in questo momento, i flussi finanziari indirizzati alle politiche climatiche sono insufficienti, e troppo soldi vanno ancora ai combustibili fossili. Si stima che per raggiungere il limite di 1.5°C i flussi finanziari per la transizione energetica devono aumentare di sei volte entro il 2030, di tre volte, invece, se intendiamo restare al di sotto di 2°C.

Serve però un grande lavoro di coordinamento tra Paesi. Ancora una volta l’Ipcc con questa pubblicazione ribadisce che senza il multilateralismo non saremo in grado di metterci al riparo dalla crisi climatica. Nuovi strumenti normativi ed economici, pacchetti di politiche che devono incentivare l’utilizzo di nuove tecnologie, investimenti in ricerca e sviluppo: “la cooperazione internazionale è fondamentale per raggiungere obiettivi climatici ambiziosi”.


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Senza azione climatica non si potrà dare attuazione all’Agenda 2030

La lotta alla crisi climatica, pur essendo nello specifico individuata nel Goal 13, attraversa tutti gli altri Goal e temi dell’Agenda 2030. L’Ipcc ricorda che con una transizione giusta ed equa si potrà più facilmente raggiungere gli ambiziosi target di decarbonizzazione creando, al tempo stesso, più posti di lavoro duraturi e sicuri, in grado di assorbire anche lo spostamento occupazionale che ci sarà da un mondo basato sui combustibili fossili a uno più pulito e rinnovabile. Sicurezza alimentare, povertà energetica, lotta alle disuguaglianze, ogni ambito dello sviluppo sostenibile trarrà benefici da una efficace azione climatica.

Anche se negli ultimi anni c’è stata una maggiore attenzione rivolta alla lotta alla crisi climatica, in termini di politiche e leggi che hanno per esempio migliorato l’efficienza energetica, ridotto tassi di deforestazione e diffuso le rinnovabili, siamo ancora lontani dagli sforzi di decarbonizzazione necessari a mettere in sicurezza il benessere del Pianeta e delle persone che lo abitano.
Vista la fondamentale data del 2025, anno entro il quale le emissioni dovranno raggiungere il picco massimo per poi calare velocemente e costantemente, questo rapporto Ipcc rappresenta l’ultima grande chiamata ad agire. La prossima revisione dovrebbe infatti arrivare tra tre anni.
Abbiamo le soluzioni e sappiamo come e in che tempi farlo: la scelta se andare verso un’economia decarbonizzata che eviterà il disastro climatico e il collasso di interi ecosistemi è prettamente politica.

 

di Ivan Manzo

mercoledì 6 aprile 2022

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