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Nature: una carbon tax è possibile se si reinveste su clima e sociale

Uno studio analizza gli effetti di una tassa sul carbonio, e individua un unico grande ostacolo: manca il supporto dell’opinione pubblica. I Paesi in via di sviluppo rischiano però di pagare un costo più alto. 6/2/2019

“Imporre un costo sul carbonio è il modo economicamente più efficiente per ridurre le emissioni di gas serra” afferma Stefano Carattini, professore associato presso la Georgia State University’s Andrew Young School of Policy Studies, a capo della ricerca pubblicata su Nature How to win public support for a global carbon tax

“Molte giurisdizioni hanno introdotto tasse sul carbonio (Cile, Finlandia, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e altri) o sistemi di scambio delle emissioni (California, Unione Europea, Quebec, Ontario e Corea del Sud)”. Con questo metodo, circa il 20% delle emissioni globali di gas a effetto serra sono state coperte, o lo saranno presto. D’altro canto, però, “quasi la metà di queste emissioni ha un prezzo inferiore a 10 dollari per tonnellata di anidride carbonica”, cifra troppo bassa per rispettare gli impegni dell’Agenda 2030. 

Un sistema mondiale capillarmente diffuso di tariffazione del carbonio, invece, accelererebbe le riduzioni delle emissioni, impedendo anche il trasferimento di industrie inquinanti da zone più restrittive ad altre meno. In poche parole, se gli emettitori di energia fossile pagassero di più, passerebbero a pratiche più pulite.

Se la soluzione è così semplice, dove si trova l’ostacolo? Anzitutto, nel supporto pubblico. Tasse in più raramente sono ben accolte, anche se si tratta di ambiente. Ad esempio, nel 2015 il 92% degli elettori svizzeri ha respinto una tassa sull'energia non rinnovabile. Nel 2016 e nel 2018, più della metà degli elettori nello stato di Washington si è opposta a una tassa sul carbonio. Il movimento dei gilet gialli è esploso in tutta Francia proprio per un’imposta sulla benzina, parte della strategia francese verso il 2030.

“Ma anche i benefici di queste politiche dovrebbero essere chiari”, dichiara il ricercatore. Dopo che la British Columbia, provincia del Canada, ha introdotto una tassa sul carbonio nel 2008, infatti, le richieste di eliminare la tassa sono svanite quando i residenti hanno ricevuto sconti sulle imposte e, al tempo stesso, sono diminuite le emissioni. Justin Trudeau, primo ministro canadese, estenderà presto questo modello a tutto il Canada.

Non è stata di questo tipo invece la politica promossa dal presidente francese Emmanuel Macron, che ha previsto netti aumenti dei prezzi senza che le entrate fossero reinvestite a sostegno dei cittadini. In questo modo, l’imposta petrolifera ha colpito più duramente le famiglie a basso reddito e rurali.

“La maggior parte delle persone sottovaluta i benefici delle basse emissioni e ne sopravvaluta gli inconvenienti come la perdita di posti di lavoro”, aggiunge Stefano Carrattini. Una cosa comunque è certa: il consenso aumenta dopo l'attuazione della politica, e l'implementazione di un'imposta del genere ha maggior successo col passare del tempo, basta cominciare. 

Questa ricerca si è dunque occupata di intervistare 4.997 cittadini in cinque Paesi, presentando ai soggetti una serie di politiche fiscali e chiedendo agli intervistati la loro opinione a riguardo.

Nello specifico, il questionario prendeva in considerazione tre diverse ipotetiche tasse globali sul carbonio da introdurre dopo il 2020: 40, 60 e 80 dollari per tonnellata di CO2, in linea con le raccomandazioni della Banca mondiale. Gli studiosi hanno poi identificato sei opzioni diverse per spendere il denaro raccolto: sostenere i progetti di mitigazione del clima a livello nazionale; sostenere i progetti nei Paesi in via di sviluppo; sostenerli in tutti i Paesi; distribuire un dividendo pro-capite a livello nazionale o globale; utilizzare i soldi per abbassare le imposte sul reddito domestico. 

L'opzione maggiormente condivisa è risultata un sistema globale di tasse sul carbonio armonizzate, in cui i Paesi mantengano il controllo sulle entrate. Infatti, la ridistribuzione delle entrate all'interno di un Paese consentirebbe ai governi di mantenere costante il carico fiscale totale, adattandolo ai propri bisogni. Tuttavia, molti Paesi in via di sviluppo stanno facendo pressioni per ottenere maggiori finanziamenti internazionali per passare alle rinnovabili, ad esempio attraverso il Fondo verde per il clima, che negli ultimi anni si è dimostrato di scarsa utilità.

Una volta raccolti i dati, i ricercatori hanno simulato le possibili influenze di ogni politica proposta sull’economia mondiale entro il 2030, con i seguenti risultati:

1. Aliquote fiscali più elevate comporterebbero maggiori riduzioni delle emissioni di gas serra (di un terzo a 80 dollari per tonnellata o un quinto a 40 dollari). Il reinvestimento dei ricavi in progetti di mitigazione velocizzerebbe tutto il processo.

2. Il costo energetico a carico degli utenti è modesto nei Paesi con impianti sostenibili diffusi (nel Regno Unito i prezzi dell'elettricità aumenterebbero del 12% con un'aliquota di 60 dollari per tonnellata di CO2). Maggiore sarebbe invece il peso che sopporterebbero i Paesi che fanno affidamento sui combustibili fossili, come il Sudafrica, dove il prezzo dell’elettricità raddoppierebbe con una tassa di 60 dollari.

3. Una tassa sul carbonio a livello mondiale non distruggerebbe l'economia, ma comporterebbe costi che rallenterebbero la crescita. Le perdite modeste del Pil, però, potrebbero essere contenute specialmente se le entrate fossero utilizzate per ridurre le imposte sul lavoro e stimolare l'economia. Di nuovo, le economie ad alta intensità di carbonio, come l'India e il Sudafrica, dovrebbero affrontare le perdite più elevate (2% e 5% del Pil, per un'aliquota fiscale di 40 dollari). Se raggruppati globalmente, il pagamento medio affrontato dai cittadini mondiali per una tassa di 40 dollari sarebbe di 189 dollari a persona. 

Inoltre, dalla ricerca risulta che un fondo internazionale per il clima potrebbe diventare efficiente se le sue entrate fossero assegnate e ridistribuite a tutti i Paesi. Trasferire la ricchezza dai Paesi sviluppati ai soli Paesi emergenti potrebbe innescare l'opposizione dei primi.

Le tasse sul carbonio dovrebbero essere al centro delle discussioni sul clima per il 2020. A quel punto, infatti, “i Paesi presenteranno il prossimo round di contributi nazionali per gli accordi di Parigi e dovranno aumentare l'ambizione delle loro politiche climatiche”. 

di Flavio Natale

mercoledì 6 febbraio 2019

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