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La corrente del Golfo rallenta: le conseguenze potrebbero essere drammatiche

La crisi climatica incide sull’Amoc, uno degli elementi cardine per la regolazione del clima mite terrestre: mai così debole da oltre un millennio. Aumento del livello del mare, tempeste e ondate di calore più intense tra gli effetti.  17/03/21

La corrente del Golfo sta rallentando. Secondo lo studio “Current atlantic meridional overturning circulation weakest in last millennium” pubblicato il 25 febbraio da Nature Geoscience, alla base di questo insolito fenomeno (parliamo di un processo naturale che non subiva modifiche del genere da almeno mille anni) dovrebbe esserci la crisi climatica.
La corrente del Golfo dell’oceano Atlantico regola il sistema meteorologico mondiale, ed è capace di incidere tanto sul clima europeo quanto su quello americano. La modifica dell’Atlantic meridional overturning circulation, che gli studiosi abbreviano in “Amoc”, può infatti indurre a pesanti cambiamenti: si va dalla crescita nel numero e nell’intensità delle tempeste e degli uragani che colpiranno l’Europa, fino all’aumento del livello del mare sulla costa est degli Stati Uniti. Ma non siamo di fronte a un fatto nuovo al mondo scientifico, che già da diversi anni monitora la situazione e mette in guardia sulle conseguenze legate alla modifica dell’Amoc. Inoltre, si tratta di un fattore previsto dai modelli climatici, come quelli dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change), l’ente scientifico intergovernativo a supporto della Conferenza Onu sul cambiamento climatico.
"Sapevamo che un indebolimento della corrente del Golfo avrebbe aumentato la gravità e il numero di bufere che colpiscono il Regno Unito e avrebbe portato nuove ondate di calore in Europa”, ha dichiarato il coautore dello studio Stefan Rahmstorf, del Potsdam institute for climate impact research, “i dati ci dicono che il fenomeno è in atto. Fino a ora la circolazione è rallentata del 15%. Tra 20 o 30 anni è probabile che si indebolisca ulteriormente, e questo influenzerà inevitabilmente il sistema climatico, in particolare quello del Nord America e dell’Europa”.

 

Come funziona la corrente del Golfo e perché si sta indebolendo

L’Amoc regola il clima terrestre da sempre. È capace di modellare il sistema climatico in Europa, in America, e in Africa. Le correnti oceaniche, infatti, oscillano dall’Africa verso l’America del nord, per poi spingersi verso l’Europa. Il processo è spiegato benissimo in questo lavoro grafico del New York Times. Ma ora nel nord dell’oceano Atlantico gli scienziati hanno scoperto una “cold blob”, una sorta di bolla fredda (si veda l’immagine in basso). In pratica, questo “braccetto” settentrionale della corrente si sta raffreddando troppo, rallentando così la sua corsa e, di conseguenza, facendo venire meno una “forza” che regola il complesso sistema climatico nel quale viviamo. Tra le teorie più accreditate in ambito accademico, si pensa che il raffreddamento e il rallentamento dell’Amoc siano dovuti all’acqua fredda proveniente dalla fusione dei ghiacciai della Groenlandia, che avviene per via dell’aumento della temperatura. Le correnti atlantiche, ricorda lo studio, sono alimentate da tre fattori: vento, salinità e calore. Se viene meno una parte fondamentale su cui si basa l’azione della corrente del Golfo, e cioè il calore, tutto rischia di modificarsi pesantemente. “Sono risultati preoccupanti”, ha continuato Rahmstorf, “se continua così potremmo avvicinarci lentamente a un punto di non ritorno, dove questa circolazione si destabilizza del tutto. Non sappiamo quanto ancora sia lontana questa soglia, ma limitare l’aumento medio della temperatura terrestre a 1,5°C potrebbe metterci in salvo. Segnalo, però, che il mondo non è su questa traiettoria e, al ritmo attuale delle emissioni, corriamo il serio rischio di far collassare tutto”.
Per comprendere la portata del fenomeno, basti pensare che l’Amoc muove nell’oceano Atlantico una massa d’acqua pari a circa 30 volte quella trasportata da tutti i fiumi di acqua dolce del mondo messi insieme. Senza questa incredibile corrente, verrebbe meno una grossa fonte di calore su scala planetaria, e il mondo sarebbe parecchio diverso da come lo conosciamo oggi.

Fonte: immagine tratta dal lavoro del New York Times

 

Siamo in presenza di un “tipping point”

I tipping points, conosciuti anche come “punti di non ritorno”, rappresentano delle soglie, dei limiti che la comunità scientifica consiglia di non superare per evitare l’innesco di una serie di conseguenze che potrebbero mettere in discussione persino l’esistenza umana sul Pianeta. La questione si lega con forza a quella della resilienza dei nostri ecosistemi: quanto possono essere messi sotto stress prima che oltrepassino il punto di non ritorno smettendo così di fornire beni e servizi all’umanità?
L’Amoc è un fattore che descrive perfettamente i pericoli che stiamo correndo, una sorta di interruttore che una volta acceso non può essere più spento.
Tra gli altri tipping points che gli scienziati stanno monitorando c’è la fusione del permafrost artico. Si tratta di una zona che copre il 17% dell’intera superficie terrestre (un quarto dell’emisfero settentrionale) perennemente ghiacciata ma che, a causa della crisi climatica, ha dato inizio alla sua fusione. Un grosso pericolo per il clima, se si pensa che in quei terreni ghiacciati è intrappolata una quantità di metano che potrebbe far accelerare il cambiamento climatico di due o addirittura tre volte, secondo lo studio “Permafrost is warming at a global scale” pubblicato a gennaio 2019 su Nature Communications.
Stesso discorso per gli oceani che diventano sempre più caldi. Si parla di un ecosistema che fino a ora è stato in grado di immagazzinare circa il 90% del calore in eccesso generato dal cambiamento climatico, secondo l’Ipcc, ma che ora per via delle alte temperature sta perdendo l’efficacia di questa sua fondamentale funzione. Un’efficacia, tra l’altro, minacciata anche dal rallentamento della corrente del Golfo. Il classico “effetto feedback” descritto dagli scienziati.

di Ivan Manzo

mercoledì 17 marzo 2021

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