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L’aumento della temperatura del permafrost accelera il cambiamento climatico
I rapidi cambiamenti dei terreni ghiacciati potrebbero innescare il rilascio di grosse quantità di gas serra, accelerando la velocità del riscaldamento globale e intensificandone il potere distruttivo. 23/1/2019
Quanta CO2 possiamo emettere per restare nel target di 1,5 gradi, inteso come aumento medio della temperatura globale rispetto al periodo pre-industriale?
Secondo lo studio pubblicato lo scorso ottobre dall’Ipcc, ogni anno sforiamo di 42 Gt (giga tonnellate) la quantità di gas serra consentita. Per questo i governi dovrebbero pianificare, e con urgenza, azioni per velocizzare il processo di decarbonizzazione delle nostre economie.
In questo campo, però, ci sono diversi fattori ancora difficili da quantificare, su cui lo stesso Ipcc non fornisce una stima nei suoi lavori, ma che possono incidere in modo sensibile sul budget di CO2 a disposizione: ad esempio lo scongelamento del permafrost.
Il riscaldamento dei terreni ricoperti da permafrost è un campanello d’allarme importante per il clima del pianeta. Lo scioglimento del suolo ghiacciato nelle aree polari dell’Artico e dell’Antartico, in Siberia e nelle zone di alta montagna, possono far accelerare in un modo imprevedibile il cambiamento climatico.
Nonostante ciò, le modifiche del permafrost non sono ancora analizzate in modo corretto, il mondo scientifico non possiede modelli in grado di fornire scenari affidabili, soprattutto per mancanza di dati sull’argomento.
Per tenere maggiormente sotto controllo la situazione, arriva il primo studio che esamina il fenomeno su scala globale dal titolo “Permafrost is warming at a global scale”.
Il rapporto, reso noto il 16 gennaio dalla prestigiosa rivista scientifica “Nature”, descrive gli effetti della variazione della temperatura nelle regioni polari e ad alta quota, aumentata negli ultimi anni più rapidamente che altrove.
Il 17% della superficie delle terre emerse, un quarto dell’emisfero settentrionale, è ricoperta da permafrost, suolo perennemente ghiacciato che può raggiungere la profondità di 1500 metri (soprattutto in Siberia).
Il rischio è che al crescere della temperatura aumenti la degradazione dei terreni congelati dalle precedenti ere glaciali, con il conseguente rilascio di grandi quantità di carbonio stoccata in materia organica che, una volta iniziato il processo di decomposizione, viene trasformata in anidride carbonica e metano. E la quantità di metano intrappolata nel permafrost è davvero tanta: potrebbe far raddoppiare o addirittura triplicare l’effetto serra proveniente dalle “sole” attività antropiche. Anche perché, va ricordato, pur venendo assorbito prima dai nostri ecosistemi, il metano possiede un potere climalterante pari a circa 30 volte quello della CO2.
I test sono stati effettuati su 154 siti, di cui 123 hanno fornito dati sufficienti per tenere traccia della tendenza al riscaldamento nel decennio tra il 2007 e il 2016. In generale la temperatura è aumentata in 71 siti, diminuita in 12 e rimasta invariata in 40.
La variazione maggiore è stata riscontrata dove lo stato di congelamento è perenne. In particolare nell’Artico, alle latitudini boreali, e in Siberia settentrionale, l’aumento della temperatura del permafrost in profondità è arrivata a toccare quasi quota 0,4 gradi centigradi (0,39 C°).
Dove invece il permafrost ha presenza discontinua, in Siberia meridionale e Canada meridionale, la variazione è stata minore, pari a 0,2 C°.
In Antartide, invece, il riscaldamento si è attestato su livelli leggermente inferiori dell’Artico raggiungendo una variazione positiva di 0,37 C°.
I risultati di questo nuovo documento tendono a unire e rafforzare i precedenti, fornendo una visione più chiara su un fenomeno che, da solo, potrebbe incidere in modo significativo sul potere distruttivo del riscaldamento globale.
di Ivan Manzo