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Buone pratiche: Altremani, la rete che unisce carcere, scuola e impresa

Nata in Romagna nel 2022, Altremani è un’impresa sociale che porta lavoro nelle carceri e dialogo nelle scuole. Un progetto corale che restituisce dignità alle detenute e ai detenuti e costruisce comunità più sicure e inclusive. 17/9/25

mercoledì 17 settembre 2025
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Il progetto “Altremani” non è nato da un calcolo economico, tantomeno da un piano di business studiato a tavolino. È frutto di un’urgenza. L’urgenza di restituire dignità a chi, dal carcere, rischia di perdere la libertà, persino la speranza. È il 2022 quando venti imprenditori e liberi professionisti della Romagna decidono di unire le forze e fondare un’impresa sociale fatta di “mani che lavorano” e che costruiscono, in grado di riscrivere il destino di una persona.

I soci oggi sono già 24 e continuano a crescere. Ma quello che conta non è il numero, bensì lo spirito con cui tutto è cominciato – ha raccontato Lia Benvenuti che collabora con il progetto -. Altremani ha due obiettivi chiari. Il primo è portare lavoro dentro il carcere, creare occasioni per chi sta scontando una pena o per chi è seguito dai servizi dell’esecuzione penale esterna. Non attività finte, di facciata, ma veri laboratori, vere commesse, veri contratti. Il secondo obiettivo è la prevenzione: andare nelle scuole, incontrare adolescenti e preadolescenti, parlare di legalità in modo diverso da quello a cui sono abituati. Non una la lezione frontale, ma un dialogo diretto con chi ha vissuto l’esperienza del carcere sulla propria pelle”.

Il risultato di questa esperienza è sorprendente. I ragazzi e le ragazze, davanti a un ex detenuto, non si fermano infatti alle curiosità un po’ più superficiali – del tipo: “hai il televisore in cella?”, “ti cucini da solo?”, “puoi avere il cellulare?” – ma vanno dritti al cuore: “Come ha reagito tua moglie quando ha saputo del reato?”, “E tuo figlio come l’ha presa?”, “Tu come ti sei sentito come padre?”. Domande che spesso spiazzano ma che in molti casi incentivano il detenuto a raccontarsi, a mettersi a nudo, senza aver paura di aprire nuove ferite, piuttosto guidati dalla voglia di generare nuova consapevolezza.

“Gli incontri con le scuole sono organizzati in una forma teatrale e potente: una doppia intervista, con un ex detenuto e un ex comandante penitenziario. Due voci che si intrecciano, due prospettive opposte che si incontrano davanti alle studentesse e agli studenti – ha sottolineato Daniele Versari, presidente di Altremani -. In questo modo l’impatto emotivo è fortissimo. I ragazzi e le ragazze ascoltano rapiti, fanno decine di domande, ridono, si commuovono. E i detenuti, a loro volta, trovano in quel confronto un’occasione di riscatto. ‘Vedi che non sei solo un numero’, sembra dirgli quel dialogo, ‘vedi che la tua esperienza, per quanto dolorosa, può servire agli altri’”.

Altremani non è però solo parole: è anche una iniziativa fatta di lavoro. E il lavoro, dentro un carcere, è molto più di una mansione, è una vera e propria ancora di salvezza. È la possibilità di sentirsi utile, di avere regole, di svegliarsi la mattina con uno scopo. Da vent’anni, a Forlì e Cesena, si sperimentano laboratori produttivi dietro le sbarre: assemblaggi, saldatura, falegnameria, riciclo di carta. Ogni mese 15-20 detenuti imparano un mestiere, ricevono un compenso, si allenano a una quotidianità fatta di impegno e responsabilità.

Chi lavora in carcere, lo dicono le statistiche ma soprattutto le storie, raramente torna a delinquere – ha continuato Versari -. È questa la differenza tra chi esce con una prospettiva e chi, invece, varca la porta del carcere per ritrovarsi nel vuoto. Perché senza un lavoro, senza relazioni, la tentazione di ricadere negli stessi errori è fortissima. C’è per esempio chi lo dice senza giri di parole. Ma c’è anche chi, una volta assaggiata la dignità di un lavoro, sceglie un’altra strada”.

Il carcere di Forlì, che si trova nel centro della città, all’interno della rocca di Caterina Sforza, non ha spazi adeguati, né ingressi per i camion. Ogni carico deve essere trasportato a mano, ogni consegna ha le sue difficoltà. A questo si aggiunge la priorità assoluta della sicurezza: basta un controllo straordinario per fermare le attività. Eppure, tra mille difficoltà, Altremani ha costruito una rete solida di imprese, enti locali, sindacati, associazioni di categoria. Un protocollo con 43 firmatari sostiene il progetto: non con finanziamenti, ma con formazione, promozione e collaborazione. In sostanza, è la comunità intera che si prende cura di questa esperienza.

La Romagna, del resto, ha una storica e consolidata tradizione di coesione sociale. Qui imprenditori, imprenditrici e istituzioni hanno mostrato più volte una responsabilità rara: la consapevolezza che reinserire un detenuto non è solo un atto di solidarietà, ma un investimento sulla sicurezza e sul futuro della comunità.

Guardando al futuro, la sfida è ampliare le opportunità di lavoro sia dentro sia fuori le carceri. Forlì rappresenta un modello, ma la speranza è che possa essere replicato altrove. Con una consapevolezza: da soli non si va lontano. “Tutto quello che abbiamo fatto – ha aggiunto infine Versari – è stato possibile solo grazie a una rete di collaborazioni. Qui gli imprenditori hanno mostrato un cuore grande e una forte responsabilità sociale. È questa coesione che ha fatto la differenza. Se questa manca, difficilmente un progetto di questo tipo può avere successo in altri contesti geografici”.

In fondo, il messaggio che arriva dalla Romagna è tanto semplice quanto radicale: il lavoro restituisce dignità, abbatte la recidiva, costruisce ponti tra carcere e società. Ma perché funzioni davvero, serve un territorio che ci creda, che sappia tenere insieme istituzioni, imprese e comunità. Altremani dimostra che tutto questo è possibile, che siamo ancora in grado di scrivere storie di comunità basate su un aspetto che oggi sembra diventato rivoluzionario: quello di non lasciare nessuno indietro.

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