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Accesso all’istruzione, quasi un quinto dei giovani non può andare a scuola
Nonostante l’impegno a garantire un’educazione inclusiva, in molti Paesi mancano ancora le politiche necessarie per mettere al centro del sistema educativo la diversità, secondo il Gem Report 2020 pubblicato dall’Unesco. 6/7/20
Circa 258 milioni di bambini, adolescenti e giovani, vale a dire il 17% del totale a livello mondiale, non hanno accesso alla scuola, e nell’Africa subsahariana la percentuale è in aumento. È un quadro preoccupante quello che emerge dal Global education monitoring (Gem) report 2020, il rapporto annuale sull’educazione prodotto da un gruppo indipendente di esperti e pubblicato dall’Unesco.
Il documento, diffuso il 23 giugno, analizza i progressi verso il raggiungimento del quarto Obiettivo di sviluppo sostenibile (“Istruzione di qualità”) dell’Agenda 2030, focalizzando l’attenzione quest’anno sulla capacità di inclusione dei sistemi educativi a livello globale. In particolare, lo studio esamina i fattori sociali, economici e culturali che alimentano la discriminazione o la marginalizzazione.
Dal Rapporto emergono i seguenti fattori chiave che interessano, direttamente o indirettamente,l’inclusione scolastica:
- l’identità, il background e le possibilità economiche condizionano fortemente le opportunità educative, tanto che in tutti i Paesi, ad eccezione di quelli ad alto reddito in Europa e Nord America, ogni 100 giovani appartenenti alle fasce più ricche della popolazione, solo 18 giovani provenienti dalle fasce più povere completano la scuola secondaria;
- i meccanismi di discriminazione e stigmatizzazione sono simili per tutti gli allievi a rischio esclusione: nonostante il 68% dei Paesi possa contare su una definizione di educazione inclusiva, solo il 57% di queste ricomprende effettivamente tutti i gruppi marginalizzati;
- nonostante i progressi, molti Paesi ancora non raccolgono o rendicontano i dati sui gruppi marginalizzati: dal 2015 il 41% dei Paesi non fornisce pubblicamente dati disaggregati sugli indicatori chiave in campo educativo;
- i dati globali sull’apprendimento mascherano quelli dei Paesi più svantaggiati: nei Paesi a medio reddito infatti, sebbene si sia registrato un incremento del 25% negli ultimi 15 anni, solo i tre quarti degli allievi frequenta ancora la scuola all’età di 15 anni;
- manca la convinzione che l’inclusione sia possibile e desiderabile: un insegnante su tre in 43 Paesi ad alto e medio reddito nel 2018 dichiarava di non aver adattato i propri insegnamenti tenendo conto della diversità culturale dei propri studenti;
- sebbene alcuni Paesi si stiano muovendo verso l’inclusione, la segregazione continua a prevalere: nel caso di studenti con disabilità, nel 25% dei Paesi la legge prevede disposizioni per un’educazione separata, con punte fino al 40% in Asia e America Latina;
- i finanziamenti devono essere destinati ai più bisognosi: tra i 32 Paesi Ocse, le scuole più svantaggiate da un punto di vista socio-economico hanno più probabilità di avere insegnanti meno qualificati;
- i docenti, i materiali e i contesti di apprendimento spesso ignorano i vantaggi dell’inclusività: un quarto degli insegnanti di 48 sistemi educativi denota un forte bisogno di sviluppo professionale per gestire studenti con bisogni speciali.
Partendo da tali dati e ribadendo come la diversità culturale degli studenti debba essere considerata una ricchezza da valorizzare e un prerequisito imprescindibile per il raggungimento dei Target previsti dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile, il gruppo di studiosi ha avanzato un decalogo di raccomandazioni::
- rafforzare la comprensione di cosa significhi realmente educazione inclusiva, ovvero un’educazione capace di coinvolgere tutti gli allievi a prescindere dalla loro identità biologica e culturale e dalle loro possibilità, senza nessuna discriminazione;
- destinare i finanziamenti ai più svantaggiati, perché non ci può essere una vera inclusione se milioni di individui non hanno accesso al sistema educativo a causa del lavoro minorile, dei matrimoni infantili o delle gravidanze in adolescenza;
- condividere esperienze e risorse per favorire la transizione verso l’inclusione, incentivando sistemi educativi flessibili e non-formali capaci di ripondere alle diversità;
- coinvolgere le comunità locali e i genitori nelle scelte, poiché non ci può essere inclusione vera con un’imposizione dall’alto; le scuole devono incrementare lo scambio con il contesto esterno e, in particolare, con le associazioni di studenti e genitori;
- incentivare la collaborazione trasversale tra istituzioni, enti e settori, dal momento che l’inclusione educativa non è altro che un sottinsieme dell’inclusione sociale;
- lasciare spazio agli attori non governativi affinché contribuiscano a rispondere alle sfide educative e al raggiungimento degli obiettivi fissati dalle politiche nazionali;
- applicare una visione universale dell’insegnamento che eviti gli stereotipi e possa rispondere in maniera flessibile e plurale a tutti i potenziali bisogni dei discenti;
- preparare, rafforzare e motivare i docenti affinché siano in grado di arrivare a tutti i loro studenti, compresi quelli con bisogni speciali;
- raccogliere dati su e per l’inclusione grazie alla colloraborazione tra le varie istituzioni e agenzie statistiche;
- imparare dagli altri, perché solo attraverso lo scambio, il confronto e i network si potrà davvero perseguire la via dell’inclusione.
di Elita Viola