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Alta sostenibilità: come gestire un futuro digitale tra rischi e opportunità
Per l’Ue la digitalizzazione deve essere una priorità per competere a livello globale e tutelare i cittadini. Se n’è discusso su Radio Radicale nella rubrica ASviS condotta da Manieri e Po, ospiti Di Marco, Di Minin, Geese. [AUDIO] 13/04/21
La transizione digitale è uno dei pilastri su cui poggiano sia il Next generation Eu che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Mai come durante la pandemia le tecnologie hanno dimostrato di essere imprescindibili per tutti (pubblica amministrazione, imprese, cittadini) e hanno messo in luce il profondo divario che divide il vecchio continente da Usa e Cina. Per colmarlo, arrivando a disporre di capacità digitali proprie, Bruxelles calcola che servano 125 miliardi di euro all’anno. Oggi, infatti, il 90% dei dati europei è gestito da colossi statunitensi come Microsoft, Google e Amazon, mentre in Europa il 42% della popolazione non ha competenze digitali di base, e in Italia quasi un italiano su cinque non ha mai avuto accesso a internet. Lo smart working e la didattica a distanza hanno reso ancora più evidente e urgente le profonde disuguaglianze digitali esistenti. Di questo e di molto altro si è discusso durante la puntata della rubrica ASviS “Alta sostenibilità” dal titolo “Vantaggi e rischi del futuro digitale”, andata in onda il 12 aprile su Radio Radicale e condotta da Valeria Manieri e Ruggero Po. Ospiti della puntata: Luigi Di Marco, curatore della rubrica ASviS sulle politiche europee, Alberto Di Minin, professore di Economia e gestione delle Imprese presso la Scuola Sant’Anna di Pisa, Alexandra Geese, membro del Parlamento europeo, Gruppo dei Verdi/Ale.
Luigi Di Marco, Curatore della rubrica ASviS sulle politiche europee
#AltaSostenibilità @RadioRadicale - @LuigiTMDM ASviS: “Bisogna intervenire, attraverso il #Pnrr, considerando la transizione digitale anche come strumento a supporto della scuola, del mondo del lavoro e soprattutto del #Greendeal".
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Secondo Di Marco, “bisogna intervenire, attraverso il Pnrr, considerando la transizione digitale non solo come dotazione infrastrutturale pro capite, ma come strumento da indirizzare per scopi sociali a supporto della scuola, del mondo del lavoro e soprattutto del Green deal europeo, ovvero senza nuocere all’ambiente”. Infatti, sottolinea Di Marco, “sia il Green deal europeo che il Pilastro europeo dei diritti sociali sono coerenti con l’Agenda 2030, quindi di fatto la transizione digitale è al servizio dell’attuazione degli SDGs e non la si può concepire dissociata dall’Agenda stessa”. L’Europa vuole e deve proporsi come leader nella regolamentazione dei mercati digitali per garantire parità di accesso, cyber sicurezza e rispetto dei diritti di tutti. Questo non solo è auspicabile ma, visto il cambio al vertice nell’Amministrazione americana, potrebbe avvenire nel quadro di un più ampio partenariato transatlantico capace di rendere la transizione effettivamente coerente e pronta a rispondere alle sfide del nostro millennio.
“La pandemia ha certamente dimostrato”, ha ribadito Di Marco, “che la priorità assoluta è l’istruzione digitale”. L’Europa in merito ha adottato un piano d’azione e ha fissato, al 2025, il target del 70% delle persone tra i 16 e i 74 anni che devono possedere le competenze digitali di base, cioè non solo saper usare i devices ma anche farne un uso consapevole, sapendone riconoscere le minacce e l’impatto ambientale che il loro utilizzo comporta.
Alexandra Geese, Membro del Parlamento europeo, Gruppo dei Verdi/ALE<block
#AltaSostenibilità @RadioRadicale - @AlexandraGeese @Europarl_EN: "il nodo da affrontare è il modello di business che si cela dietro ai colossi digitali che raccolgono dati sui cittadini per profilarli e indirizzarne i comportamenti. Un problema anche di tipo democratico".
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Geese, commentando la necessità dell’Ue di investire di più per creare cloud europei, ha ricordato come in occasione della definizione del Quadro finanziario pluriennale europeo gli Stati membri abbiano di fatto rifiutato di aumentare i fondi stanziati per questa voce. L’auspicio è quello di poter utilizzare i fondi del Next generation Eu, che tuttavia rischiano di non essere sufficienti perché saranno maggiormente destinati a combattere le disuguaglianze digitali. “Le tecnologie digitali di per sé non sono all’origine delle disuguaglianze; il vero nodo da affrontare è il modello di business che si cela dietro ai colossi digitali che raccolgono dati su tutti i cittadini per profilarli e indirizzarne i comportamenti”, questo il monito dell’eurodeputata. “Ciò rappresenta un problema non solo in termini geostrategici ma anche a livello democratico, perché queste aziende favoriscono la polarizzazione delle posizioni nei social con gravi ripercussioni sociali e politiche”, ha continuato. Per questo è necessario che l’Europa investa fortemente per favorire una digitalizzazione diversa che garantisca l’outsourcing, la sicurezza e sia davvero al servizio dei cittadini.
Alberto Di Minin, Professore di Economia e Gestione delle Imprese presso la Scuola Sant’Anna di Pisa.
#AltaSostenibilità @RadioRadicale - Alberto Di Minin @SantAnnaPisa: “La guerra tra piattaforme globali è una realtà da affrontare ma l’Europa non deve rinunciare a rimanere competitiva e sostenibile, continuando a tutelare i cittadini e i loro diritti digitali, i loro dati”.
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Di Minin, a proposito degli scenari futuri e del ruolo delle imprese nell’ambito della digitalizzazione, e in particolare sul nodo di come rendere compatibile un percorso di inclusione, sostenibilità e competitività, ha sottolineato come “la guerra tra piattaforme globali è una realtà da affrontare, ma l’Europa non deve rinunciare a rimanere competitiva e sostenibile pur continuando a tutelare i propri cittadini, i loro diritti digitali e i loro dati.”
Le piccole e medie imprese europee più innovative, a seguito della pandemia, stanno cambiando il loro modello di business tenendo in considerazione quattro “p”: in primis investendo sui processi, molto più digitalizzati; in secondo luogo chiamando le persone, i lavoratori, ad una sorta di “nuovo patto sociale” come è stato con l’introduzione massiccia dello smart working; la terza “p” è stata quella del “passato”, ovvero le aziende che hanno avuto un vantaggio competitivo sono state quelle che sin da prima della pandemia avevano ben chiara la loro mission e la loro identità; infine il “purpose” aziendale è stato un plus nella misura in cui le imprese hanno scelto di considerare l’innovazione non come un orpello ma come un driver strutturale cruciale per la sicurezza e la competitività. Per questo è importante riflettere sul ruolo della tecnologia che di per sé rappresenta un fattore abilitante, ma che deve essere finalizzata soprattutto alla generazione di un valore.
di Elita Viola
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