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Wwf: stretto legame tra distruzione della natura ed “emergenza Coronavirus”
Uno studio del Wwf spiega come la modificazione dell’ambiente abbia agevolato il passaggio dei virus dagli animali all’uomo. “Queste non sono delle catastrofi casuali, ma la conseguenza del nostro impatto sugli ecosistemi naturali”. 17/3/20
"Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie”. È la citazione scelta dal Wwf Italia per introdurre il suo ultimo rapporto che, pubblicato il 13 marzo in piena “emergenza Coronavirus”, mostra la relazione presente tra distruzione delle risorse naturali e diffusione di nuove malattie.
Una relazione documentata dai diversi studi che si sono susseguiti nel corso degli anni, capace di descrivere come molte malattie recentemente emerse, per esempio Ebola e Sars, o prima ancora l’Aids, dipendano dal difficile rapporto che intercorre tra attività umana e biodiversità. Ed è il caso anche del virus Sars-Cov-2 che, una volta entrato nell’organismo umano, provoca la malattia Covid-19.
“L’uomo con le proprie attività ha alterato in maniera significativa i tre quarti delle terre emerse e i due terzi degli oceani, modificando a tal punto il Pianeta da determinare la nascita di una nuova epoca denominata Antropocene”, si legge nello studio “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi”, queste a cui assistiamo non sono dunque delle catastrofi casuali ma “la conseguenza del nostro impatto sugli ecosistemi naturali”.
Come indica la seguente immagine, le ultime epidemie che si sono diffuse sul Pianeta hanno più o meno la stessa origine: tutto parte da mercati di metropoli asiatiche o africane, dove spesso si praticano attività illecite e incontrollate di vendita di animali selvatici vivi (il contagio da Sars-Cov-2 nell’uomo sembra essere partito dal grande mercato di animali di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei, e si è manifestato in modo palese nel dicembre 2019). Parliamo di scimmie, pipistrelli, rettili, mammiferi e uccelli. Nei luoghi indicati si crea l’occasione perfetta di “contatto tra l’uomo e le malattie di questi organismi, offrendo il fianco allo sviluppo di vecchie e nuove zoonosi, ovvero di malattie infettive che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo”. Recenti studi dimostrano che il Sars-Cov-2 sia stato passato all’uomo da un pipistrello, che a sua volta era stato contagiato da un altro animale, ancora non identificato. Un meccanismo già visto in passato, basti pensare che un virus, forse originatosi nei pipistrelli, nel 2012 si adattò ai dromedari e successivamente alle persone causando nella penisola arabica l’epidemia di Mers.
È l’effetto “spillover”, il salto di specie di cui parlano gli scienziati, ben documentato anche dall’omonimo libro pubblicato nel 2014 dall’autore della citazione presente in apertura del rapporto Wwf, il giornalista scientifico David Quammen.
Il nuovo virus che sta colpendo il mondo intero fa parte della numerosa famiglia dei “Coronavirus”. Questi, ma anche batteri, archea (altra suddivisione della vita cellulare) e ulteriori microrganismi come protozoi e funghi, sono fondamentali per la biosfera. Costituiscono, infatti, “il presupposto per la nascita e persistenza della vita sulla Terra che si è andata formando 3,8 miliardi di anni fa e sono nella stragrande maggioranza dei casi assolutamente innocui, spesso essenziali per gli ecosistemi e la salute umana”. Alcuni di essi però, è il caso del Sars-Cov-2, possono avere effetti pesanti sull’uomo e per questo lo spillover deve essere sempre evitato. Come? Attraverso politiche di tutela e salvaguardia dell’equilibrio naturale dato che “il passaggio di patogeni (come i virus) da animali selvatici all’uomo è facilitato dalla progressiva distruzione e modificazione degli ecosistemi dovuta alla penetrazione dell’uomo nelle ultime aree incontaminate del Pianeta”, si legge dal Rapporto che prosegue, “queste malattie emergenti possono avere un costo drammatico in termini di vite umane e forti impatti socio-economici”. Un aspetto che proprio in questo momento è sotto gli occhi del mondo e in particolare di noi italiani.
Tra le azioni che portano all’esplosione di un’emergenza sanitaria su larga scala, il Wwf annovera la deforestazione. Come ricorda l’associazione ambientalista, già nel 2005 il “Millenium ecosystem assessment” delle Nazioni unite sottolineava il ruolo della deforestazione nell’aumentare “il rischio di malaria in Africa e in Sud America, in larga parte imputabile allo stravolgimento degli equilibri ecologici che riducono la diffusione delle zanzare”.
Le foreste sono dunque il nostro antivirus naturale, coprono il 31% delle terre emerse e rappresentano un rifugio per l’80% della biodiversità planetaria. La perdita di questo habitat naturale è “responsabile dell’insorgenza di almeno la metà delle zoonosi emergenti. La distruzione delle foreste può quindi esporre l’uomo a nuove forme di contatto con microbi e con specie selvatiche che li ospitano. Nelle foreste incontaminate dell’Africa occidentale, per esempio, vivono alcuni pipistrelli portatori del virus Ebola”.
A oggi, però, bisogna ricordare che abbiamo distrutto quasi la metà della superficie forestale con la conseguente perdita di tutti i servizi ecosistemici annessi: protezione da eventi estremi, stoccaggio di CO2 nel terreno, purificazione dell’aria e così via. “Secondo lo studio ‘Mapping tree density at a global scale’, si stima che all’inizio della rivoluzione agricola vi fossero sulla Terra circa 6mila miliardi di alberi, mentre oggi ne restano circa 3mila miliardi”.
Lo spillover sembra avvenire con una costanza sempre maggiore e, anzi, per il futuro si teme anche la comparsa di un “big one”: una epidemia di proporzioni catastrofiche che potrebbe decimare l’intera popolazione umana. Cosa fare dunque per evitare uno scenario ben peggiore di quello odierno? “La soluzione per un futuro meno legato a ospedali sempre più grandi, vaccini sempre più potenti, disinfettanti sempre più tossici, passa anche attraverso la ricostruzione di quello che abbiamo distrutto, rimettendo insieme i pezzi degli unici sistemi in grado di proteggerci da epidemie e catastrofi: gli ecosistemi naturali”.
L’Onu ha dedicato il decennio appena iniziato proprio al ripristino degli ecosistemi. Come sempre “Dipende tutto da noi e dalle nostre scelte”, ricorda infine il Wwf.
di Ivan Manzo