Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Progetti e iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Niccolò Gori Sassoli.
Scopri di più sull'ASviS per l'Agenda 2030

The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Editoriali

Di fronte a una guerra che si cronicizza dobbiamo salvare la qualità del dialogo

Il clima bellico incattivisce il dibattito politico e avvelena anche la cultura. Eppure ci sono scelte da portare avanti senza indugio, su clima ed Europa. Il governo deve dimostrare di avere la forza necessaria. 

di Donato Speroni

Nell’aprile del 1977, una squadra di operai che stava scavando le fondamenta per la costruzione di una banca al centro di Parigi, si imbatté nei resti di alcune teste scolpite nel tredicesimo secolo. Riemerse così una vecchia storia di intolleranza, ricordata da E.H Gombrich nell’ultima edizione della sua “Storia dell’arte”. Quelle teste appartenevano alle statue dei re del Vecchio Testamento che ornavano la cattedrale di Notre Dame. Nel corso della Rivoluzione francese la folla, pensando si trattasse dei ritratti dei passati monarchi di Francia, oltre al sovrano Luigi XVI in carne e ossa decapitò anche le statue della cattedrale, che furono restaurate solo molti anni dopo.

Non solo i Budda di Bamiyan fatti saltare dai talebani nel 2001, non solo i gravissimi danni inflitti dall’Isis al sito archeologico di Palmira nel 2013: anche la civilissima Europa ha avuto le sue fasi di intolleranza che prendevano di mira le opere d’arte in omaggio a una concezione del politically correct in vigore a quel tempo. Appartengono allo stesso modo di pensare l’abbattimento delle statue del “colonizzatore” Cristoforo Colombo nelle città degli Stati Uniti e la censura esercitata nei confronti di Dostoevskij annullando un corso alla Bicocca di Milano.

Rischiamo di perdere il senso della storia e la capacità di inquadrare le opere nel contesto dell’epoca. Correggere il libretto del “Ballo in maschera” di Giuseppe Verdi, come sta avvenendo alla Scala di Milano, perché contiene la frase “dell’immondo sangue dei negri” è come censurare “Il mercante di Venezia” di Shakespeare perché l’ebreo Shylock è un personaggio odioso.

Queste considerazioni mi sono suggerite dalla percezione che viviamo in tempi difficili, incattiviti dalle crisi, con la prospettiva di una guerra che potrebbe durare a lungo e avvelenare non solo i rapporti internazionali, ma anche le relazioni all’interno della nostra comunità e rendere più aspri i dibattiti, attizzando un clima di generale intolleranza.

Nel precedente editoriale e su Futuranetwork ho sottolineato la necessità di non usare l’abbandono dei consessi internazionali come strumento per ribadire la condanna della Russia: un punto che Mario Draghi ha affermato (parlando del G20) nel suo viaggio a Washington, in contrapposizione alla linea di Joe Biden. Non possiamo tagliare tutti i ponti che ci legano a quella parte del mondo che non ha condiviso le sanzioni dell’Occidente nei confronti di Mosca. Di questo tema discuteremo anche nel prossimo ASviS Live che si terrà il 23 maggio al Salone del libro di Torino e on line.

Rispetto per i valori culturali, dialogo, apertura al resto del mondo, ma anche impegno a tenere la barra dritta sui percorsi di sostenibilità, senza che il conflitto possa essere un alibi per rinunciare agli Obiettivi dell’Agenda 2030: questi mi sembrano punti importanti che dobbiamo ribadire. Le minacce della crisi climatica non ammettono ritardi perché “abbiamo altro da fare”, ma per fortuna su questo punto possiamo registrare un significativo consenso. Come ha riportato l’Ansa:

La ‘risposta alla crisi ucraina’ va di pari passo con una attuazione audace del Green Deal e serve un ‘Patto Verde di Emergenza’ per ridurre la dipendenza dell'Europa dalle fonti fossili ‘che finanziano la guerra’.

È la proposta di undici ex commissari e presidenti della Commissione europea, tra cui Romano Prodi. In una lettera indirizzata alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e al vicepresidente Frans Timmermans il gruppo chiede una ‘mobilitazione’ economica da ‘tempo di guerra’ che aumenti l'ambizione dei target clima.

Anche il World economic forum, nel rapporto “Fostering effective energy transition” diffuso l’11 maggio, ribadisce che

Il ritmo della transizione energetica deve essere accelerato, come dimostrato dalla recente impennata dei prezzi dei combustibili, dalle sfide relative alla sicurezza
energetica e dai progressi troppo lenti nella lotta alla crisi climatica.

Riusciremo in Italia a far fronte a questo impegno? Una risposta realistica viene dall’articolo sul Sole 24 Ore del sottosegretario Bruno Tabacci che nell’ambito della presidenza del Consiglio sovraintende al Cipess e quindi alle politiche complessive di sviluppo sostenibile legate all’Agenda 2030:

Si è molto parlato in questi giorni dei ritardi burocratici accumulati negli ultimi anni a livello di amministrazioni centrali e locali nel rilascio delle autorizzazioni necessarie alla realizzazione di nuovi impianti. Dal 2017 a oggi, ad esempio, sono state richieste autorizzazioni per un totale di 23 GW da fonte eolica: soltanto 651 MW, meno del 3%, sono stati autorizzati a seguito della Valutazione di impatto ambientale, mentre l'89% è ancora in una fase iniziale del processo. A livello di impianti fotovoltaici poi, la situazione è ancora più grave. Il presidente del Consiglio ha impegnato il governo a trovare soluzioni in tempi rapidissimi per superare i ritardi burocratici che frenano da anni il Paese. Per rientrare nei parametri del Green Deal, il patto elaborato dalla Commissione europea in vista del 2050, già entro il 2030 avremo bisogno di accrescere l'utilizzo di solare, eolico e idroelettrico di oltre il 60%, così come dovremo aumentare il ricorso alle rinnovabili per usi termici e per i trasporti di circa il 40 per cento.

Questo significa che dovremo installare da qui al 2030 quasi 30 nuovi GW da fonti rinnovabili programmabili (geotermia, biomasse, idroelettricità, ndr) e oltre 80 GW da fonti non programmabili, in particolare eolico e solare. Numeri che tracciano obiettivi ambiziosi, ma che rischiarano solo una parte del problema. Perché quando si parla di fonti non programmabili si solleva implicitamente un'altra questione al momento poco discussa e che invece andrebbe tenuta presente nel dibattito pubblico tanto quanto quella del passaggio alle fonti rinnovabili: mi riferisco al tema degli stoccaggi. Senza infrastrutture di stoccaggio rischieremmo di trovarci di fronte a un castello di carte. Accumulare e conservare l'energia prodotta è indispensabile per non disperdere la produzione che inevitabilmente, si pensi al solare, conosce picchi e cadute nell'arco delle 24 ore. Ancora una volta un sostegno fondamentale è arrivato dall'Europa - cui il nostro futuro è sempre più legato come hanno dimostrato prima il Covid 19 e poi la guerra - e dal Pnrr. In quest'ottica il ministero dello Sviluppo economico ha deciso di destinare un miliardo di euro a investimenti nel campo delle rinnovabili e delle batterie.

Tabacci tratta il tema con concretezza e ci mostra che le difficoltà sono superabili solo con una forte volontà politica. Ma c’è questa volontà? Come ha sottolineato Ferruccio de Bortoli sul Corriere della sera, la mancanza di un effettivo piano nazionale di transizione alle rinnovabili rende incerte anche le scelte dei privati.

Tabacci fa riferimento all’Europa, che continua a essere il perno per qualsiasi politica di sostenibilità anche a livello nazionale. La crisi in corso deve essere una occasione di progresso. Con la chiusura della Conferenza sul futuro dell’Europa si dovrebbe aprire una fase nuova nella costruzione del progetto di integrazione europea: i cittadini dell’Unione si sono espressi in una esperienza di deliberative democracy che si è concretizzata in 49 proposte, e tocca ora ai governi dare corso a queste nuove idee e più in generale a una più stretta integrazione, che superi la barriera delle decisioni all’unanimità, unendo solo gli Stati decisi a fare un passo avanti nella costruzione europea. Con una ulteriore struttura delineata da Emmanuel Macron (e prima di lui da Enrico Letta): un patto esteso ai Paesi candidati, come l’Ucraina e i Balcanici, che li leghi politicamente all’Unione anche se il processo di adesione a pieno titolo è lungo e complesso.

Come ha scritto lo stesso Prodi sul Messaggero,

Dato che per superare l’unanimità è necessario un voto unanime, Macron ha presentato l’unica proposta ragionevole, che da anni sosteniamo: procedere, come si è fatto per l’adozione dell’euro, ad una cooperazione rafforzata nell’ambito della quale non tutti i Paesi partecipano alle nuove decisioni della politica europea, ma solo chi ne ha la volontà. Una proposta che parte da una ispirazione comune dei principali Paesi europei (Francia, Italia, Germania e Spagna) e che è un pilastro fondamentale degli accordi fra la Francia e Italia. A questa proposta si sono naturalmente ribellati i Paesi europei più riluttanti nei confronti di una politica comune più avanzata. Essi considerano questi passi in avanti ‘sconsiderati e prematuri’. Questi Paesi debbono essere liberi di non partecipare alla cooperazione rafforzata, ma non hanno il diritto di rallentare il cammino di chi vuole davvero costruire l’unica Europa che ci permette di essere parte attiva nella politica mondiale, a cominciare dal ruolo che non siamo stati in grado di svolgere nemmeno per favorire il processo di pace in Ucraina.

Non tutte le forze politiche italiane sono d’accordo su questa prospettiva ed è molto importante come se ne discuterà, se in modo costruttivo o solo con slogan elettorali. Ci sono dunque temi e valori fondamentali, che il clima guerresco non ci deve far dimenticare, mentre forniamo all’Ucraina tutto l’aiuto di cui siamo capaci. Sarà possibile mantenere il tono del dibattito politico su un livello civile mentre si avvicinano le elezioni? I segnali non sono confortanti, tanto da spingere un economista prudente e moderato come Carlo Cottarelli sulla Stampa a dire che,

a meno di un cambio di passo da parte dei partiti che dovrebbero sostenere in pieno il governo Draghi, ma che invece sembrano più interessati a posizionarsi per le prossime elezioni, credo ci siano vari motivi per considerare di anticipare le elezioni politiche a inizio autunno.

Noi ci auguriamo che questo non sia necessario, perché il ruolo dell’attuale governo nell’impostazione e nell’avvio all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza resta fondamentale. Ha dichiarato il ministro Renato Brunetta a Marco Zatterin della Stampa in risposta a Cottarelli:

Togliere dal campo il ‘fattore Draghi’ per l'Italia significherebbe perdere la faccia, smarrire la credibilità e la reputazione che il premier e il suo governo hanno riconquistato sullo scacchiere internazionale e sui mercati.

Tuttavia, come Cottarelli, anche noi dobbiamo registrare che il clima politico non è buono. Nel Rapporto dello scorso anno, l’ASviS raccomandava

l’adozione di un codice di condotta per i partiti politici che preveda il rispetto di criteri di comunicazione e linguaggio non ostile nelle attività di promozione politica e di campagna elettorale - offline ed online - perseguendo la finalità di contrasto alla violenza e all’odio, nonché per garantire nel rapporto tra politica e cittadini il perseguimento di principi cardine quali integrità, trasparenza, corretta informazione, educazione civica, tolleranza e inclusione sociale.

Non ci stanchiamo di rilanciare questa proposta, oggi più che mai attuale se non vogliamo scivolare in un clima di maccartismo e di guerra fredda.

 

La foto di copertina rappresenta le teste originali di Notre Dame, Museo di Cluny - Copyright Garlands in Paris, Marina Gross-Hoy, 2015

venerdì 13 maggio 2022

Aderenti