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Allarme siccità: non solo un’emergenza, ma un problema da affrontare in modo sistemico
Tra reti idriche inefficienti, opere incompiute e sprechi, stiamo andando sempre più verso un mutamento irreversibile. Solo una strategia di lungo termine e un cambio culturale profondo potranno correggere la nostra rotta.
di Flavia Belladonna
I paesaggi aridi e gialli, il letto del fiume prosciugato, le autorità costrette a razionare l’acqua. Solo pochi mesi fa arrivava nei cinema italiani il film “Siccità” di Paolo Virzì, una storia che racconta in uno scenario apocalittico la vita in una Roma dove non piove da tre anni, e le abitudini delle cittadine e dei cittadini sono stravolte dal cambiamento. Una realtà delineata con l’immaginazione, eppure così terribilmente familiare e vicina alla nostra.
Secondo il Consiglio nazionale delle ricerche, infatti, una percentuale fra il 6% e il 15% della popolazione italiana vive ormai in territori esposti a una siccità severa o estrema. Dati alla mano, è lecito ritenere che, per almeno tre milioni e mezzo di italiani, l'acqua dal rubinetto non può più essere data per scontata, ha dichiarato il presidente dell'Associazione nazionale dei Consorzi di bonifica e irrigazione (Anbi), Francesco Vincenzi. La scarsità di pioggia (-61% nel bacino del Po e dell’Appennino) e neve (-53% sull’arco alpino) dell’ultimo mese rispetto alla media degli ultimi dieci anni preannuncia così quella che rischia di essere l’estate più siccitosa di sempre, dopo il pericoloso assaggio di un’Italia inaridita già avuto nel 2022.
Dunque, insieme alla turbolenta crisi energetica che ha colpito il nostro Paese, ci troviamo a dover fronteggiare anche una crisi idrica, entrambe riflesso di un modello di sviluppo che si manifesta in tutta la sua insostenibilità e che necessita di un cambiamento profondo, come da anni sottolinea l’ASviS. Ma che cosa ha portato a questa situazione? Quali sono realmente gli impatti sulla società e sulle nostre vite? Che cosa si sta facendo e possiamo fare?
Siccità vuol dire innanzitutto avere meno acqua a disposizione per gli usi civili: dall’interruzione dell’erogazione idrica nelle nostre case in determinati orari, a limitazioni sull’annaffiatura dei giardini, sul lavaggio delle automobili, sull’utilizzo di fontane, solo per citare qualche esempio. Vuol dire una minore disponibilità nelle industrie (inclusa la produzione idroelettrica) e soprattutto nei campi agricoli, con ripercussioni economiche per il Paese e riflessi sulla nostra alimentazione. La situazione è peggiore di quella dell’anno scorso, quando si era registrata una perdita di almeno sei miliardi di euro nei raccolti per siccità, e secondo Coldiretti “Con il Po secco rischia un terzo del made in Italy a tavola”. Le aziende agricole si trovano a dover ridurre la produzione di alimenti che richiedono molta acqua, come ad esempio il riso, su cui siamo i primi produttori a livello europeo, e a optare per cibi meno idrovori (come la soia), cambiare concimi, usare semi meno produttivi, con conseguenze dirette sulle nostre tavole a causa della minore qualità del cibo, della differente alimentazione e dei costi più elevati. Tuttavia, riconvertire i campi per non fallire non è sempre semplice, si pensi ad esempio ai costosi macchinari specifici per la risicoltura.
Per riconvertire i campi, si sta cercando anche di introdurre colture più resistenti: dall’individuazione di varietà naturali di grano che rispondono meglio alla siccità all’introduzione di nuove varietà dal Dna modificato per resistere allo stress idrico. Mentre in Valpadana, gli agricoltori si interrogano se mantenere le coltivazioni o puntare sull’installazione dei pannelli solari, dando vita al cosiddetto agrifotovoltaico: una nuova pratica, sintomo della fortissima accelerazione delle rinnovabili, che potrebbe supportare le attività agricole (riducendo ad esempio la richiesta idrica e lo stress termico sulle colture grazie alla protezione e all’ombreggiamento offerti dai pannelli), così come ostacolarle (riducendo le colture o scegliendo solo quelle più adatte).
Siccità vuol dire anche ripercussioni sulla nostra salute, non solo legate alle modifiche alimentari, ma anche all’aria che respiriamo: il climatologo Luca Mercalli ha definito “una camera a gas e polveri sottili” la condizione della Pianura Padana delle ultime settimane, causata dall’assenza prolungata di vento e precipitazioni; una situazione allarmante, se pensiamo che l’inquinamento atmosferico è responsabile, ogni anno, della morte prematura di circa 60mila persone, in media 165 ogni giorno.
Siccità significa però pure modifica del paesaggio, con una perdita non solo in termini di bellezza che questo patrimonio naturale costituisce, ma anche di biodiversità, a causa dell’alterazione degli equilibri ecosistemici. Scompaiono canneti, grandi pesci e rane, insieme a un paesaggio che non sarà più lo stesso.
Da non sottovalutare, poi, l’importante ruolo della neve. Oltre alla grave minaccia per gli sport invernali, con conseguenze sui lavoratori e sulle strutture turistiche (ancora ricordo l’allarme lanciato mesi fa dall’Onu che segnalava come a Cortina tra soli quattordici anni (!) potrebbe diventare impossibile sciare per mancanza di neve o a causa della neve bagnata), non va sottovalutato l’apporto della neve all’approvvigionamento idrico: la neve che si accumula in inverno è, infatti, acqua che useremo in estate.
La siccità comporta, dunque, gravi impatti ambientali ed economici, ma non dimentichiamoci che tutto questo sconvolgimento rappresenta anche un forte rischio sociale. Il film “Siccità” lo racconta molto bene, attraverso le immagini di rivolte, di lavori persi, ma anche di egoismi e paura: l’aridità dei paesaggi diventava metafora anche dell’aridità umana.
In questo mondo che si sgretola nella crisi idrica o nella prospettiva di una nuova pandemia, noi ci siamo inventata quella delle blatte e raccontiamo un mondo dove i lavori sono collassati - dice Virzì -, tutti i personaggi facevano altro: un autista di capi di Stato che si aggira per Roma, una persona che aveva una libreria e ora è cassiera... abbiamo raccontato la nuova Italia e il nuovo modo di reagire di fronte alle difficoltà. Salta agli occhi di tutti che le distanze sociali si accentuano e la ferocia alimenta sempre più conflitti che non sono più la riscossa gioiosa che ha nutrito la mia generazione, ma una rabbia sorda che porta all’autodistruzione o allo spirito reazionario.
In questo scenario apocalittico, il punto è capire dove abbiamo sbagliato e, soprattutto, che cosa possiamo fare. Già nel 2015, il World resources institute allertava che nel 2040 l’Italia si sarebbe trovata in una situazione di elevato stress idrico. Le cause di questa siccità sono da ricercarsi in primis, senza dubbio, nel cambiamento climatico: basti pensare che all’aumento di un grado della temperatura terrestre corrisponde una riduzione del 20% della disponibilità delle risorse idriche.
Ma la situazione deriva anche da una politica sorda a problemi del Paese che ci trasciniamo da decenni e da una politica del breve-termismo che insegue la logica emergenziale anziché dedicarsi a soluzioni strutturali. Ne è un esempio il “Piano invasi”, fermo dal 2017 e più e più volte presentato dall’Anbi per risolvere l’annoso problema idrico. L’allora ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti dichiarava, in quella che era l’estate più secca degli ultimi 200 anni, che contro la siccità servivano gli invasi, ovvero bacini artificiali per raccogliere l'acqua piovana e impedire a quella dei fiumi di correre troppo rapidamente verso il mare. Paolo Viana, su Avvenire, ripercorre il percorso arenato del piano, soffermandosi in particolare sul tema degli impianti largamente incompiuti, anche all'80-90%.
C’è poi il problema strutturale del cattivo stato delle infrastrutture, che porta la nostra rete idrica a sprecare il 40% dell’acqua trasportata. Un problema che l’ASviS denuncia da anni nel suo Rapporto annuale (in particolare sul Goal 6 sull’acqua), offrendo analisi e proposte di intervento, e che era stato affrontato nel Documento di economia e finanza del 2022, in particolare nell’allegato Infrastrutture, in cui fu quantificato in circa 12 miliardi l’importo degli investimenti necessari per mettere in sicurezza il sistema idrico italiano, sviluppando nuovi invasi ed evitando le perdite delle reti idriche. Il Governo Draghi decise di destinare subito circa cinque miliardi, un primo importante passo che rappresentava uno stanziamento senza precedenti in Italia per migliorare la situazione in maniera strutturata, soprattutto nel Mezzogiorno, introducendo anche una riforma nel Pnrr finalizzata a rafforzare la governance del settore. Riforma che ha introdotto tre sostanziali novità: 1) unificato i precedenti piani “Invasi” e “Acquedotti” in un unico piano integrato; 2) semplificato le procedure di elaborazione, attuazione e monitoraggio del nuovo “Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico”; 3) ridotto i tempi per l’erogazione dei finanziamenti ai soggetti attuatori, affidando al ministero l’attività di gestione e la valutazione degli interventi anche in base al criterio della sostenibilità.
Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS e allora ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, ha parlato del tema idrico il 10 febbraio nella rubrica “Scegliere il futuro” di Radio Radicale, specificando però che è importante che il Governo attuale e quelli futuri continuino a investire per assicurare la risorsa d’acqua necessaria, e che oltre ai fondi del Pnrr, i fondi europei per la coesione e il fondo sviluppo e coesione nazionale potrebbero essere utilizzati in questa direzione; ma ha ricordato anche che non è solo un problema di investimenti: c’è anche un problema culturale dal punto di vista di comportamenti e sprechi delle persone, di elevato uso in Italia rispetto agli altri Paesi europei di acque minerali al posto dell’acqua corrente per mancanza di fiducia, di necessità di migliorare i processi di produzione agricola (ad esempio, l’agricoltura di precisione, per ridurre il consumo di acqua).
SICCITÀ, CRISI CLIMATICA E ADATTAMENTO
Per fronteggiare l’emergenza idrica, mercoledì 1° marzo si è tenuto un tavolo interministeriale, presieduto dalla premier Giorgia Meloni e con la partecipazione dei ministri di Ambiente, Infrastrutture, Agricoltura, Affari europei e del dipartimento per la Protezione civile, che ha deciso di: istituire a Palazzo Chigi una Cabina di regia tra tutti i ministeri interessati per definire un piano idrico straordinario nazionale; lavorare a un provvedimento normativo urgente con semplificazioni e deroghe e accelerare i lavori essenziali per fronteggiare la siccità; avviare una campagna di sensibilizzazione sull’uso responsabile della risorsa idrica; individuare un Commissario straordinario con poteri esecutivi rispetto a quanto programmato dalla Cabina di regia.
La Cabina di regia è un’iniziativa senz’altro benvenuta, soprattutto se si considera che le competenze in materia idrica sono suddivise tra i vari ministeri. Crediamo, tuttavia, che non dovrebbe limitarsi a fronteggiare l’emergenza, ma dovrebbe lavorare in un’ottica pluriennale, al fine di rafforzare il coordinamento e la coerenza delle politiche.
In merito al commissariamento, nella puntata del 27 febbraio di Alta sostenibilità, dedicata proprio al tema siccità, gli ospiti hanno commentato la possibile figura del Commissario straordinario. In particolare Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente, ha ricordato che in Italia abbiamo avuto tanti casi di commissariamento (come quello sull’emergenza rifiuti) e la maggior parte di essi non è stata una grandissima esperienza; la figura del Commissario può essere un ulteriore mezzo per fronteggiare l’emergenza, “ma non è la soluzione a tutti i problemi” (specie se non viene supportata dalla Cabina di regia), perché oltre ad affrontare l’urgenza va risolto il problema a monte.
Mentre ci si prepara infatti a fronteggiare l’emergenza con le misure necessarie per superare l’estate, rimane il fatto che se non interveniamo con provvedimenti di lungo termine, il problema si ripeterà: la siccità non può più essere trattata come un’emergenza, ma va affrontata come un grave problema strutturale italiano da affrontare in maniera sistemica.
Per questo è fondamentale definire una strategia idrica nazionale di breve, medio e lungo periodo, come ha chiesto Legambiente al Governo, indicando otto interventi da attuare: dall’obbligo di recupero delle acque piovane al riuso in agricoltura delle acque reflue depurate, dalla riconversione del comparto agricolo verso colture meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti, fino alla ricarica controllata delle falde, facendo in modo che le scarse precipitazioni non scorrano subito fino al mare. Anche Utilitalia ha lanciato un pacchetto di otto proposte provenienti dalle imprese, che comprende un uso efficiente delle acque e la realizzazione di grandi e piccoli invasi.
Occorre poi dare seguito al Piano invasi (rilanciato dall’Ambi insieme a Coldiretti come “Piano Laghetti”), per realizzare in sette anni 10mila bacini per la raccolta di acqua piovana, anche allineandoci ad altri Paesi europei esposti a temperature elevate (l’Italia è ferma all'11%, in Spagna sfiorano già il quadruplo, e la nostra capacità di invaso potrebbe aumentare di oltre il 60%), per ampliare gli invasi esistenti e per realizzare una manutenzione straordinaria della rete idrica. Il Piano potrebbe portare a un incremento di quasi 435mila ettari di superfici irrigabili e generare 16.300 nuovi posti di lavoro.
Ma ricordiamo che il Piano invasi è solo uno dei tasselli fondamentali. L’impegno avviato dal Governo Draghi, attraverso la riforma del settore idrico nell’ambito del Pnrr, va proseguito e intensificato nei prossimi anni. Il nuovo Piano nazionale, infatti, supera la precedente logica segmentata, adottando una gestione integrata. Gli strumenti per mettere in sicurezza le infrastrutture idriche del Paese ci sono, ora serve la volontà politica per elaborare e attuare il Piano.
Oltre ad attrezzarci per avere meno falle nel sistema e più acqua a disposizione, infine, dobbiamo capire come possiamo prelevare meno acqua e ridurre la nostra impronta idrica (cioè la quantità di acqua usata per produrre beni o servizi), cambiando il nostro modello di consumo affinché sia più sostenibile. Questo è possibile attraverso iniziative di sensibilizzazione per la popolazione italiana che, come fa notare Il Fatto alimentare, resta
la più sprecona d’Europa: solo un italiano su due è cosciente di quanta acqua consuma effettivamente ogni giorno (il 68% dei cittadini ritiene che il consumo per famiglia sia inferiore ai 100 litri giornalieri laddove il volume reale è cinque volte superiore).
In generale, il consumo di acqua risulta oggetto di scarsa attenzione da parte delle famiglie anche perché le nostre tariffe sono tra le più basse d’Europa e pesano quindi meno sulle tasche degli italiani. Per ridurre gli sprechi si possono adottare molte buone pratiche, non solo la chiusura del rubinetto: dall’uso delle lavatrici e lavastoviglie a pieno carico al riutilizzo dell’acqua di cottura della pasta, dallo scarico intelligente a doppio flusso al minore consumo di carne, che ha un impatto idrico 100 volte superiore a quello degli alimenti di origine vegetale (ad esempio, 1 kg di carne di manzo richiede 15mila litri d’acqua, a fronte di 200 litri per la stessa quantità di pomodori).
La lotta al cambiamento climatico e alla sfida idrica potrà essere vinta, però, solo unendo all’impegno delle cittadine e dei cittadini anche una volontà politica stabile nel prossimo decennio, in grado di seguire una strategia unica e di orientare gli investimenti nella giusta direzione. L’ASviS continuerà a sollecitare il Governo su questa strada, continuando anche a confrontarsi al suo interno per proporre soluzioni nuove e concrete grazie alle centinaia di esperti dei suoi Aderenti. In particolare si segnala, tra le novità della settimana (oltre alla pubblicazione sul sito del nuovo Statuto), la decisione presa all’ultima Assemblea del 28 febbraio di costituire un Gruppo di lavoro dedicato al Mezzogiorno. Le esperte e gli esperti coinvolti proverranno da ambiti diversi (sociale, economico e ambientale) proprio per toccare tutti i nodi che interessano l’area (non mancherà dunque quello delle infrastrutture idriche meridionali), con un approccio integrato, per cercare di continuare a costruire un futuro più sostenibile, anche per le generazioni che verranno. Vorrei concludere con una citazione dal film “Siccità”, tratta da uno dei dialoghi tra una figlia e suo padre (Valerio Mastandrea):
“Ma ti rendi conto di cosa sta succedendo? E la colpa è nostra! Anzi vostra e del mondo che ci avete lasciato”. “Colpa nostra…” “Beh non colpa tua…” “Ma perché ti preoccupi così te? Amore di papà, hai 16 anni, devi ridere e innamorarti…”
Ma per fortuna, tante ragazze e ragazzi continuano a ricordarci di lottare per un futuro migliore, come quelli dei Fridays for future, che proprio oggi saranno in piazza per richiamare la nostra attenzione.