Cop 29: se l’obiettivo 1,5 gradi è morto, quale può essere il nuovo limite?
Il traguardo fissato a Parigi verrà superato, ma cambiare l’obiettivo potrebbe indebolire l’azione climatica. Discussione sul prossimo numero realistico. Gli Stati non mantengono gli impegni di contenimento della temperatura, ma aumentano i contenziosi nelle corti. [Da FUTURAnetwork.eu] 25/11/24
In un mondo che si riscalda sempre di più, ha senso continuare a parlare della soglia degli 1,5 gradi? È quello che si chiede Bloomberg Green in un approfondimento pubblicato in occasione delle negoziazioni della Cop 29, attualmente in svolgimento a Baku.
La battaglia per mantenere il riscaldamento globale entro +1,5°C (rispetto ai livelli preindustriali) stabilita nell’Accordo di Parigi è stato il mantra che ha portato avanti l’azione climatica degli ultimi anni. Il problema è che le temperature, a causa delle scelte politiche tardive, si stanno alzando sempre di più: secondo uno studio pubblicato su Nature geoscience, già nel 2023 il mondo era più caldo di 1,49 gradi, e quindi con buona probabilità la soglia di un grado e mezzo verrà superata molto presto.
“Il limite di 1,5 gradi è più morto di un morto stecchito”, ha commentato Zeke Hausfather, climatologo di Berkeley. E anche l’Onu sembra fare i conti con questa realtà. Nel suo Emissions gap report, il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (Unep) ha detto che il mondo è sulla “buona” strada per riscaldarsi di circa 3,1 gradi prima della fine del secolo, se non ci sarà un cambio di passo netto.
Presagio cupo condiviso da alcune dichiarazioni che vengono dalla Cop 29 in Azerbaigian, conferenza nata sotto i peggiori auspici, dopo i risultati delle elezioni americane e le assenze di rilievo di importanti leader globali. “Chiaramente, l’obiettivo 1,5°C è sempre più difficile”, ha detto Wopke Hoekstra, commissario europeo per l’azione per il clima, prima dell’inizio del summit. Ma ha anche aggiunto: “Non importa quanto sia difficile, non voglio rinunciare a quell'obiettivo, ben sapendo quale danno si celi all'altra estremità di quell’1,5”.
Questo numero è stato infatti fondamentale per spingere Stati e aziende a imboccare la strada della transizione verde, in modo sempre più incisivo e aggressivo, e abbandonarlo non sarebbe un processo così indolore. “Non è passato molto tempo da quando eravamo su una traiettoria di tre, quattro gradi”, ha ricordato Samantha Gross, direttrice dell'iniziativa per la sicurezza energetica e il clima presso la Brookings institution. Rinunciare all’obiettivo 1,5 gradi potrebbe infatti togliere forza a tutte le azioni climatiche compiute finora, che hanno impostato la loro narrativa su questo “numero magico”. Infine, un altro problema segnalato da Bloomberg riguarda il fatto che la scienza è discorde sull’obiettivo da abbracciare in seguito: 1,6 °C, 1,7 °C o di più? Qual è più realistico e allo stesso tempo motivante?
Anche i miliardari impegnati nel settore verde hanno espresso le loro opinioni a riguardo: alla Cop 28 dell'anno scorso, Bill Gates ha dichiarato che i due gradi non sono più così probabili, e che il mondo dovrebbe semplicemente assicurarsi di rimanere sotto i tre. Alcuni politici ed esperti stanno cominciando a cambiare sottilmente il modo in cui parlando del limite 1,5 °C, riferendosi alla possibilità di superarlo e poi rientrare nei ranghi attraverso la riforestazione e le tecnologie di cattura del carbonio.
Ma superare il grado e mezzo e poi tornare indietro non è la stessa cosa che non oltrepassarlo affatto, quel limite. Passare la soglia provocherebbe infatti un innalzamento del livello del mare ancora più disastroso di quello attuale, eventi climatici estremi e l’estinzione di alcune specie animali e vegetali, eventi da cui non si torna di certo indietro.
Secondo l'organizzazione no-profit Climate action tracker, pochissimi Stati firmatari dell’Accordo di Parigi hanno messo in campo politiche o stabilito obiettivi per rimanere entro un riscaldamento di 1,5 gradi. Perfino il partito laburista australiano, che fa dell’azione climatica uno dei suoi cavalli di battaglia e che si è proposto di ospitare la Cop 31 nel 2026, ha delineato obiettivi di riduzione del carbonio per il 2030 che corrispondo a +1,6 gradi o +1,7. Da questo punto di vista la riunione Cop 30 del prossimo anno in Brasile sarà un vero test per la tenuta della soglia 1,5 gradi come stella polare della futura azione climatica.
Una questione di giustizia
Se gli Stati non stanno mantenendo i loro impegni sottoscritti a Parigi, qualche speranza in più arriva dal moltiplicarsi delle azioni dal basso, attraverso le corti di giustizia. Le cosiddette climate litigation, termine che riunisce le cause legali fiorite negli ultimi anni riguardo i danni all’ambiente provocati da Stati o grandi corporation. E anche di questo (ovvero di come aggiornarsi e metterle a sistema) si sta parlando a Baku.
I contenziosi climatici sono in aumento in tutto il mondo, con la società civile che sta cercando di portare governi e aziende in tribunale per i danni al pianeta. Tuttavia, le istituzioni giudiziarie non hanno sempre tenuto il passo rispetto a queste evoluzioni.
Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’Unep, ha evidenziato in un incontro sul tema a Baku come il riconoscimento dei diritti ambientali nei quadri multilaterali e altre tendenze giuridiche giocheranno un ruolo cruciale nei prossimi anni, richiedendo un impegno più deciso dello stato di diritto e un supporto istituzionale maggiore da parte dei principali corpi giudici.
Luiz Alberto Figueiredo Machado, ambasciatore brasiliano per il Cambiamento climatico, ha parlato del ruolo dei giudici nell'affrontare le controversie legate al clima, ruolo che deve andare oltre la semplice applicazione e interpretazione della legge, evolvendosi in senso più “proattivo”.
Christine Adam, segreteria della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), ha sottolineato la crescente integrazione dei diritti umani nell'azione per il clima, diventata la base delle rivendicazioni davanti ai tribunali, sia nazionali che internazionali. Ha parlato anche delle recenti tendenze nei contenziosi climatici, che includono: integrazione dei diritti umani nella giusta transizione; impegno per i popoli indigeni e le comunità locali; inclusività nelle politiche e nei quadri giuridici.
Christina Voigt, presidente della Commissione mondiale per il diritto ambientale dell'Unione internazionale per la conservazione della natura (Wcel Iucn), ha portato in esame alcuni recenti pareri consultivi dei tribunali internazionali, citando in particolare quello emesso dall'International tribunal law of the sea. La legge afferma infatti che le emissioni di gas serra assorbite dall'oceano costituiscono inquinamento marino, e dunque gli Stati che hanno adottato la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare sono obbligati ad adottare le misure necessarie per proteggere e preservare gli ambienti marini.
Antonio Herman Benjamin, membro dell’Alta Corte del Brasile e presidente dell’Istituto globale giudiziario sull’ambiente, ha infine discusso la necessità di rivedere gli standard giuridici su diverse questioni, tra cui: legittimazione ad agire in giudizio; approccio basato sulla negligenza e sulla responsabilità oggettiva nei contenziosi sul clima; misure di emergenza; diritto sostanziale e procedurale.
Che si parli del limite 1,5 gradi o delle climate litigation, il mondo delle politiche climatiche è dunque in una fase di aggiornamento, per restare al passo con un mondo che cambia. Sperando che il cambiamento proceda sempre nella direzione migliore.
Copertina: Marcin Jozwiak/Unsplash