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L’auto elettrica rimane vantaggiosa, ma l’efficienza non è premiata dal fisco
L’analisi di Ecco: alle colonnine pubbliche la ricarica lenta per l’elettrico ha il 45% di tasse in più rispetto alla benzina, 85% in più sul diesel e il 407% sul Gpl. Una divergenza in netto contrasto con il principio “chi inquina paga”. 24/10/24
In Italia chi ricarica un’auto elettrica paga più tasse di chi utilizza benzina, diesel o Gpl per far muovere la propria auto. Un paradosso che si ingigantisce con gli oneri fiscali in relazione alle emissioni di CO2 prodotte: paga di più chi possiede un’auto elettrica nonostante tali emissioni siano, com’è noto, assenti almeno in fase di trazione. È quanto emerge dalla prima analisi comparata dei costi di ricarica elettrica e di rifornimento di carburanti “tradizionali” per l'automobile. Lo studio a opera di Ecco, dal titolo “La fiscalità dell’energia nella transizione all’auto elettrica”, è stato pubblicato lo scorso 3 ottobre e presentato nel corso di un evento sul tema il 24 ottobre.
La differenza di tassazione tra ricarica elettrica ed endotermica
L’analisi approfondisce l’evoluzione del gettito delle componenti fiscali e parafiscali dei vettori energetici della mobilità privata su strada, evidenziandone la relativa incidenza per unità energetica, percorrenza ed emissioni specifiche di CO2. L’organizzazione Ecco sottolinea che la maggiore tassazione delle ricariche elettriche è dovuta soprattutto agli oneri generali di sistema che gravano sulle ricariche alle colonnine pubbliche e sulle ricariche private (domestiche e non, come i contatori condivisi condominiali), e che solo la “maggiore efficienza energetica delle auto elettriche rende vantaggioso guidare l’elettrico per i consumatori”. L’auto elettrica permette, infatti, di percorrere con la stessa quantità di energia distanze da tre a cinque volte superiori rispetto agli equivalenti mezzi con motore endotermico.
Per quanto riguarda la ricarica domestica l’onere fiscale è più elevato di almeno il 5% e il 30% rispetto a benzina e diesel, e di addirittura il 265% rispetto al Gpl. Il confronto si estende anche alle ricariche effettuate in azienda (+22% di oneri rispetto a benzina, +52% e +327% in confronto a diesel e Gpl) e alle colonnine pubbliche. In questo ultimo caso occorre distinguere tra quelle a bassa potenza (Ac) e quella ad alta potenza (Dc). Quelle in Ac fanno registrate il 45% di oneri in più rispetto alla benzina, +81% sul diesel e +407% nel confronto con il Gpl. Quelle in Dc fanno segnare un +202% di oneri rispetto alla benzina, +275% sul diesel e +954% sul Gpl.
In base agli oneri in relazione alle emissioni di CO2, considerando le diverse fonti di energia che concorrono a produrre l’elettricità, in Italia alla ricarica elettrica è applicato un carico fiscale e parafiscale pari a un costo medio equivalente di 415 euro per tonnellata di CO2, contro un valore medio di 252 €/tCO2 per i carburanti fossili. “Una divergenza in evidente contrasto con l’applicazione del principio comunitario ‘chi inquina paga’ oltre che con gli impegni profusi per il miglioramento della qualità dell’aria nelle città”, si legge nello studio.
I problemi da risolvere
In questo periodo tiene banco il discorso dell’accisa sul diesel, dato che il governo prevede un “allineamento” con l’accisa della benzina. Attualmente il minor prezzo dell’accisa sul diesel costa alla Stato 3,5 miliardi di euro in termini di mancate entrate. Uno sconto, quello sul diesel, considerato un Sussidio ambientalmente dannoso (Sad) che, per impegni presi in sede comunitaria, deve essere progressivamente eliminato. “La proposta del governo di mettere mano alla differenza di accisa tra diesel e benzina è una decisione inevitabile, sia per le evoluzioni attese del mercato dell’auto sia per le esigenze di gettito dello Stato – ha dichiarato Matteo Leonardi, co-fondatore e direttore di Ecco, il think tank italiano per il clima -. È essenziale che la fiscalità dei beni energetici sia coerente con l’evoluzione del mercato e a sostegno della transizione. Spetta al governo decidere se i meccanismi con cui correggere questa esigenza fiscale possano essere diluiti in un periodo più ampio, in base alle dinamiche di penetrazione sul mercato dell’auto elettrica, o maggiormente concentrati per esigenze di bilancio. Certamente questi aumenti devono essere accompagnati da strumenti di garanzia per i consumatori finali. Il meccanismo introdotto dal decreto Legge nr. 5 del 2023 va in questa direzione”.
Altra questione posta sul tavolo da Ecco riguarda la diffusione dell’auto elettrica in Italia. In sostanza, più sarà diffusa e più si verificherà una riduzione dei consumi energetici per via della maggiore efficienza dell’auto elettrica. Ciò comporterà una riduzione del gettito dello Stato stimato in un miliardo di euro al 2030. Un fattore che non deve tradursi in un aumento del peso della fiscalità sull’elettricità, dato che renderebbe i costi insostenibili per le famiglie e le imprese. In sostanza, chi guida un’auto elettrica paga già più tasse e non si può pensare di penalizzare ulteriormente chi ha optato per un sistema di trasporto più efficiente. “Con il progressivo passaggio alla mobilità elettrica, nel breve e medio termine, stimiamo una riduzione del gettito da oneri fiscali e parafiscali applicati alle ricariche e ai carburanti relativamente contenuta, sia per il permanere di auto tradizionali, sia per il dispiegarsi dell’effetto del meccanismo Emission trading scheme (Ets) esteso ai trasporti su strada. Stiamo procedendo verso una sempre maggiore integrazione dei sistemi energetici, che convergono sull’elettrico sia per il servizio di trasporto che per quote importanti di calore domestico e industriale. Sistemi fiscali e strutture tariffarie devono prendere atto di questo e distribuire i costi e le attese di gettito in maniera coerente con la realtà, non in base a schemi passati”, ha infine evidenziato Massimiliano Bienati, Responsabile del programma trasporti di Ecco.