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La lobby fossile intralcia il Trattato per ridurre l’inquinamento da plastica
A Busan non è arrivato l’accordo per limitare l’uso di polimeri pericolosi. Servirà un nuovo incontro, ma preoccupa la posizione dei Paesi produttori: la salute umana riuscirà a prevalere sugli interessi economici? 5/12/24
Il quinto ciclo di negoziati del Comitato intergovernativo di negoziazione (Inc-5) delle Nazioni Unite per lo sviluppo di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante (Ilbi) sull’inquinamento da plastica si è concluso con un fallimento. Anche questa volta, come per la Cop 29 sul clima, l’opposizione delle lobby legate ai combustibili fossili è stata determinante per bloccare un accordo. Dopo due anni di discussioni, la settimana di colloqui di Busan dal 25 novembre al 1° dicembre, in Corea del sud, non è dunque riuscita a risolvere le profonde divisioni che caratterizzano i Paesi.
Non c’è accordo sulla plastica
I partecipanti dovevano trovare una quadra su tre questioni principali: ridurre la quantità di plastica che ogni anno viene prodotta; stabilire una serie di prodotti o molecole considerati pericolosi per la salute umana; indentificare la quantità di finanziamenti da orientare verso i Paesi di sviluppo per la costruzione di sistemi di gestione efficace dei rifiuti.
Durante la sessione plenaria conclusiva dell’Inc-5, un gruppo di circa 100 Paesi provenienti da diverse regioni del mondo, tra cui l’Unione europea, ha ribadito la necessità di istituire un Trattato contenente misure globali vincolanti e l’eliminazione graduale delle sostanze chimiche e dei prodotti in plastica più problematici, come gli articoli monouso. I grandi produttori di petrolio, come Arabia Saudita e Russia, non hanno però cambiato la propria posizione, contraria al Trattato, mantenuta dalla nascita del processo negoziale del 2022.
Il risultato è che non c’è stato accordo neanche sulla definizione stessa di prodotto o rifiuto di plastica. Anche l’ambito di applicazione del Trattato è rimasto oggetto di forti contrasti: da un lato, i Paesi più ambiziosi spingevano per una drastica riduzione della produzione; dall’altro, gli Stati petroliferi puntavano a limitare il più possibile il miglioramento dell’azione di riciclo.
Juliet Kabera, direttrice generale dell'autorità di gestione ambientale del Ruanda, in una dichiarazione a nome dei Paesi con grandi ambizioni ha affermato: "Esprimiamo le nostre forti preoccupazioni in merito alle continue richieste di un piccolo gruppo di Paesi di rimuovere dal testo le disposizioni vincolanti che sono indispensabili affinché il trattato sia efficace".
Abdulrahman al-Gwaiz, il delegato saudita, ha invece sostenuto che se si affronta l'inquinamento da plastica “non dovrebbero esserci problemi con la produzione di plastica. Perché il problema è l'inquinamento, non la plastica stessa".
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Servirà un nuovo incontro
C’era grossa attesa su questo round negoziale sulla plastica: doveva infatti essere quello che avrebbe portato a un Trattato condiviso, l’ultimo di un ciclo fatto da cinque incontri.
Visto l’esito, durante i colloqui di Busan la direttrice esecutiva dell’Unep, Inger Andersen, ha sottolineato che occorre pianificare un prossimo summit e che prima, però, è necessario affrontare "conversazioni significative" per superare le profonde differenze che ancora dividono i negoziatori.
Al momento non sono state fissate date o luoghi per riprendere i colloqui. Tuttavia, alcuni Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, stanno spingendo per posticipare i negoziati, almeno oltre la metà del 2025.
Un elemento che ha caratterizzato l’incontro di Busan è stata la massiccia presenza di lobbisti dell’industria della plastica, con un numero record di 220 rappresentanti provenienti dai settori del chimico e dei combustibili fossili. Secondo un’analisi del Centro per il diritto ambientale internazionale (Ciel), questi lobbisti costituivano il gruppo più numeroso, superando perfino le delegazioni dell’Unione europea (191 membri) e del Paese ospitante, la Corea del sud (140 membri).
"Fino a oggi abbiamo visto i lobbisti del settore circondare i negoziati con tattiche tristemente note di ostruzione, distrazione, intimidazione e disinformazione. La loro strategia, tratta direttamente dal manuale dei negoziati sul clima, è progettata per preservare gli interessi finanziari dei Paesi e delle aziende che antepongono i loro profitti derivanti dai combustibili fossili alla salute umana, ai diritti umani e al futuro del pianeta”, ha dichiarato Delphine Levi Alvares, coordinatrice della campagna petrolchimica globale presso Ciel.