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Rapporto Antigone: “vi è un obbligo costituzionale nel punire i torturatori”
Il 2022 ha registrato il più alto numero di persone che si sono tolte la vita negli istituti di pena, per un totale di 85, una cifra mai registrata prima. Mentre il reato di tortura è sotto attacco della maggioranza in Parlamento. 12/6/23
La tortura di Stato in Italia esiste. Lo mostrano le sentenze, come quella dello scorso 9 marzo emanata dal tribunale di Siena, che ha condannato cinque poliziotti penitenziari per avere torturato un detenuto nel carcere di San Gimignano nel 2018. Lo mostrano anche le inchieste della magistratura, come quella che ha portato all’arresto di cinque agenti della Questura di Verona il 6 giugno. Eppure, tramite una proposta di legge, prima firmataria la deputata Imma Vietri, Fratelli d’Italia è intenzionato ad abrogare questa norma.
Il Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia stilato dall’associazione Antigone, arrivato alla sua 19esima edizione e pubblicato il 29 maggio, afferma la netta contrarietà dell’organizzazione a questa iniziativa legislativa, che mercoledì 14 giugno arriverà al Senato, in commissione Giustizia. Nel documento, intitolato “È vietata la tortura”, la coordinatrice nazionale di Antigone Susanna Marinetti evidenzia che il reato di tortura è stato introdotto in Italia nel 2017 a seguito dell’intervento della Corte europea dei diritti umani. Con questo, Marinetti sottolinea che l’articolo 117 della Carta obbliga “l’Italia a recepire i vincoli dell’ordinamento comunitario”, e quindi che “qualsiasi ipotesi di riforma della legge sulla tortura non può non considerare che il campo giuridico di riferimento non è dato solamente dalla discrezionalità parlamentare”. Inoltre, Marinetti fa notare che “esiste un obbligo costituzionale diretto: ‘è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà’”, come è affermato al quarto comma dell’articolo 13 della Carta.
Nel focus dedicato alla difesa del reato di tortura, Antigone ha riportato i racconti di alcuni dei processi per tortura dove si è costituita parte civile. Tra questi si conta anche il resoconto del processo penale relativo ai fatti avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020, che vede 107 imputati tra le forze dell’ordine, tra cui i vertici della catena di comando.
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Il reato di tortura nel mondo e in Europa
La Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura (Uncat), nata nel 1984, conta a oggi 173 Paesi firmatari, tra cui l’Italia e tutti gli Stati europei. L’articolo 4 dell’Uncat, scrive Sofia Antonelli, ricercatrice presso Antigone, “prevede che ogni Stato Parte provveda affinché qualsiasi atto di tortura costituisca un reato nel proprio diritto penale”. A marzo 2023, secondo l’ultimo rapporto della Special Rapporteur dell’Onu sulla tortura Alice Jill Edwards, erano 108 i Paesi nel mondo che avevano una norma specifica che punisce la tortura.
Tra i 46 Paesi membri del Consiglio di Europa, dieci Stati (Bulgaria, Danimarca, Germania, Islanda, Monaco, Polonia, San Marino, Svezia e Ungheria), non prevedono un reato autonomo nel codice penale che incrimini la tortura, anche se sono tutti firmatari del Uncat. In Germania, Svezia e Svizzera esiste un “paradosso” legato al fatto che nei codici penali di questi Stati la tortura non esiste in quanto reato specifico, ma è riconosciuta e perseguita come reato universale. In altre parole in questi Paesi non possono essere perseguiti “i cittadini che commettono tortura in patria, mentre i cittadini stranieri presenti nel territorio dello Stato sono perseguibili per atti commessi altrove”.
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I numeri dei suicidi
Durante lo scorso anno, 85 persone rinchiuse negli istituti di pena della nostra penisola si sono tolte la vita, in media una persona ogni quattro giorni. “Un numero così alto non si era mai visto prima, tanto da far parlare di una vera e propria ‘emergenza suicidi’”, viene sottolineato nel Rapporto Antigone.
Per fare un paragone con il resto della società, nel 2019 secondo l’Oms il tasso di suicidi in Italia era uguale a 0,67 casi ogni 10mila abitanti. Mettendo questo dato in relazione con il tasso di suicidi in carcere, si evince che nel 2022 i casi di suicidio della popolazione in carcere sono stati 23 volte superiori rispetto a quelli della popolazione in libertà; da notare il fatto che nel 2019 questo rapporto era di 1 a 13.
Per quanto riguarda il rapporto tra suicidi e permanenza in carcere, il documento evidenzia che 50 persone, ossia il 60% del totale, hanno messo fine alla propria vita nei primi sei mesi di detenzione, dieci persone addirittura nelle prime 24 ore dall’arrivo nel penitenziario.
Il sovraffollamento in carcere
Il Rapporto di Antigone comprende anche un’analisi sulle condizioni di vita quotidiane della popolazione carceraria italiana. “I numeri del carcere in Italia continuano lentamente, ma inesorabilmente, a crescere. A fronte di una capienza ufficiale di 51.249 posti, i presenti nelle nostre carceri al 30 aprile erano 56.674. Le donne, 2.480, rappresentavano il 4,4% delle presenze. Gli stranieri, 17.723, il 31,3%”, si legge nel documento.
Rispetto a un anno fa, la capienza ufficiale nelle carceri è cresciuta dello 0,8% ma le presenze negli istituti sono aumentate del 3,8%: in altre parole, lo spazio per chi vive in prigione si è ridotto. Il tasso di affollamento ufficiale medio è del 110,6%, ma il tasso reale si attesta al 119%, con picchi che in alcune regioni raggiungono percentuali che il Rapporto definisce “preoccupanti”: in Friuli-Venezia Giulia è del 135,9%, in Puglia del 145,7% mentre in Lombardia, maglia nera, del 151,8%.
Secondo i dati dell’Osservatorio Antigone raccolti nel 2022, nel 35% delle celle visitate dall’associazione non erano garantiti i tre metri quadri calpestabili per ogni persona, nel 45% dei casi non era garantita l’acqua calda per tutto il giorno e per tutto l’anno, nel 10% dei casi il gabinetto non era posto in un ambiente separato e nel 57% dei casi non era presente la doccia in cella.
di Milos Skakal
Fonte copertina: thawornnurak, da 123rf.com