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Violenza assistita, la brutalità sulle donne che fa male alle generazioni future
Il Rapporto di WeWorld onlus denuncia come i bambini che assistono a maltrattamenti in ambito domestico tenderanno a replicare lo stesso comportamento di vittima o di carnefice nella loro futura famiglia.
Esiste la violenza diretta e poi esiste la trasmissione intergenerazionale della violenza. Non tutti sanno che gli episodi di maltrattamenti contro le proprie madri a cui i bambini assistono rischiano di influire sulla loro formazione e percezione futura una volta adulti: è dimostrato infatti come nella maggior parte dei casi essi perpetueranno le violenze e i soprusi subiti. Così WeWorld onlus, da 15 anni attiva in Italia e nei Pesi in via di sviluppo per la difesa dei diritti di donne e bambini attraverso istruzione, salute e protezione, ricorda l'8 marzo, nel giorno dedicato all'empowerment femminile in tutto il mondo, quanto ancora ci sia da fare e soprattutto come queste brutalità rappresentino un fenomeno sociale che si ripercuote su tutta la società a partire già dalla formazione delle nuove generazioni.
Ecco perché, dal Rapporto “La violenza sulle donne colpisce anche i loro figli. WeWorld Reports n.5”, a cura di Elena Caneva e Stefano Piziali, appare ancora più urgente contrastare la violenza sulle donne, con progetti e investimenti ad hoc in un approccio multidimensionale che veda la collaborazione dei più livelli della società, ma anche considerare questi episodi come fortemente penalizzanti nei confronti proprio dei bambini. Nello studio si legge infatti che le bambine che sono state testimoni di violenze sulle proprie madri più probabilmente saranno esse stesse vittime di soprusi, mentre i maschietti che hanno assistito allo stesso tipo angherie spesso si trasformeranno in uomini abusanti. I piccoli svilupperanno così disturbi psicologici, emotivi e relazionali e tenderanno a replicare lo stesso comportamento di vittima o di carnefice in quella che sarà la loro futura famiglia. La ricerca di WeWorld onlus ha stimato che in Italia oltre due milioni di donne hanno subito durante la propria vita un qualsiasi tipo di violenza, fisica, sessuale o psicologica, da un compagno o da un ex, e di queste ben il 41,1% aveva dei figli che vivevano insieme a lei nel momento dei maltrattamenti. Di conseguenza, nel 64,8% dei casi, questi minori hanno assistito almeno una volta a uno degli episodi incriminati, e per il 22,5% addirittura spesso.
Riportando questi dati su scala nazionale e considerando un numero medio di 1,37 figli per ogni donna, si calcola che circa un milione e mezzo di bambini vivevano con la madre quando essa subiva i soprusi e per questo almeno un milione di questi bambini ha assistito ad almeno un episodio.
Su base annua si può invece ritenere che circa 224mila bambini vivano con la madre quando questa subisce un'aggressione tra le mura di casa e, di questi, 145mila sono presenti alla scena. E' difficile ad ogni modo rilevare quanti poi abbiano subito anche direttamente violenza. Da un'indagine dell'Istat del 2014 risultava che le donne vittime di maltrattamenti che denunciavano contestualmente abusi sui propri figli erano il 23,7%, di cui il 4,6% spesso: si tratta di almeno 53mila bambini che ogni anno hanno patito direttamente soprusi nel contesto di violenza domestica verso la loro mamma.
Al quadro drammatico appena delineato non aiuta la percezione dei cittadini italiani in merito alle violenze di genere. Se da una parte il 49% degli intervistati ritiene che le colpe dei maltrattamenti sulle donne siano da condannare senza se e senza ma ed evidenziano la necessità di una dimensione pubblica nella gestione e soluzione di questo problema sociale, dall'altra il 16% del campione sostiene che alla donna sia da addebitare parte della responsabilità e che l'uomo vada in una certa misura decolpevolizzato in quanto la violenza è un atto istintivo, reazione a una provocazione; in mezzo si colloca un 35% che dichiara che queste vicende vadano prima risolte entro le mura familiari invece di essere denunciate direttamente alle autorità pubbliche competenti. Essendo questo l'atteggiamento rispetto al fenomeno, non stupiscono i risultati che riguardano la percezione degli italiani sulla violenza assistita: ben il 49% dichiara di non aver mai sentito questo termine prima, il 36% ne ha vagamente un'idea e solo il 15% sa di cosa si tratti.
Per intervenire nelle situazioni di disagio e povertà WeWorld ha stabilito dal 2014 a Roma, Napoli e Palermo un programma a supporto delle donne in aree disagiate perché, anche se la violenza domestica è un fenomeno che riguarda tutte le classi sociali, è anche vero che alcuni elementi ne preparano il terreno, come appunto la povertà strutturale in zone ad alta disoccupazione e criminalità. Così la onlus ha aperto i propri sportelli nell'ambito del progetto Spazio donna, concentrandosi in quartieri particolarmente difficoltosi e con una diffusa povertà educativa. Alla base dell'approccio definito nei centri Spazio donna la parola “capacità”. Un concetto ma anche un acronimo di consapevolezza, partecipazione, tempo libero, autodeterminazione, cura di sé, indipendenza, salute e sicurezza: tutti valori che le donne devono fare propri per raggiungere l'empowerment a tutti i livelli.
Il programma nei tre anni di attività ha dimostrato che un'azione per determinare un'inclusione sociale dei bambini e delle bambine dei territori e nelle aree con particolari problematiche ha avuto subito un riscontro positivo sulla qualità della vita delle donne vittime, grazie alla creazione di spazi di socializzazione ben strutturati che riescono a tenere insieme diversi ambiti per lo sviluppo personale, dalla dimensione educativa, a quella lavorativa, ludica e sociale.
A livello politico, nel 2013 il Parlamento ha ratificato la Convenzione di Istanbul per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne. Nel 2015 poi è stato varato il Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, mentre nel 2017 sono state istituite delle garanzie per gli orfani di femminicidio. Inoltre nel 2018 sono state elaborate le linee guida ospedaliere per le donne vittime di violenza maschile.
“Non possiamo considerare queste pur positive iniziative il segno di una decisiva svolta nella consapevolezza politica di avere una strategia complessiva per il fenomeno sociale e strutturale della violenza domestica”, si legge nelle conclusioni del Rapporto, piuttosto è necessario e urgente creare una legge quadro che definisca molteplici azioni per affrontare il problema con un approccio strutturale e non temporaneo. Infine si dovrebbe istituire un Ministero per l'inclusione sociale, le pari opportunità e le famiglie, proprio per gestire il problema con una regia organica, a favore dei diversi modelli di famiglia, in un'ottica di pari opportunità e di prevenzione.
di Eis Viettone