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La plastica riciclata non sfonda, l’Ocse avanza proposte per intensificarne l’uso
A livello mondiale viene ancora prodotta una quantità otto volte maggiore di plastica nuova rispetto a quella riciclata. Qualità, infrastrutture ed economia di scala tra i problemi riscontrati dall’Organizzazione.
Un quarto dei rifiuti di plastica prodotti nel mondo finisce in discarica, viene bruciato all’aria aperta, incenerito o abbandonato lungo i lati delle strade, a discapito dell’ambiente. Solo il 15% di questa tipologia di rifiuto viene effettivamente avviato a riciclo e trasformato in materia seconda che, grazie alle buone pratiche dell’economia circolare, è reinserita nel sistema economico.
Il modo in cui viene trattata la plastica sul pianeta è quindi lontano dall’essere definito sostenibile. Basti pensare all’inquinamento marino che ne consegue: la plastica in mare aumenta al ritmo di un camion scaricato al minuto e nel 2050 rischiamo di avere più tonnellate di plastica che di pesci nei nostri oceani. Ma quali sono i maggiori ostacoli che frenano il riciclo della plastica?
È la domanda che si è posta l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che, nel suo rapporto “Improving Markets for Recycled Plastics”, analizza le difficoltà incontrate dal mercato del riciclo di questo settore.
Innanzitutto, si parte dalla scarsa qualità della plastica riciclata, unita ad una mancanza di incentivi sui prezzi che frenano l’esplosione del mercato secondario. È infatti, in molti casi, meno costoso produrre plastica da zero rispetto all’esborso sostenuto per riciclarla. Una differenza di prezzo che scoraggia il produttore e che si ripercuote sul consumatore. Inoltre la plastica secondaria spesso presenta tassi di contaminazione da sostanze esterne, come additivi chimici, che ne minano le proprietà. Motivi per cui, oggi, viene prodotta una quantità otto volte maggiore di plastica nuova rispetto a quella riciclata.
Il problema riguarda anche le difficoltà incontrate nella separazione delle varie tipologie di plastiche. Con percentuali di riciclo dei tipi di polimeri che variano di parecchio da un paese all’altro: i valori più alti, con un range che va da 19% a 85%, sono stati riscontrati per il Pet (polietilene tereftalato) e l’Hdpe (polietilene ad alta densità), i più bassi per polipropilene e polistirolo, con un range di variazione tra 1% e 21%. Per questo, sostiene l’Ocse, saranno fondamentali gli investimenti in nuove infrastrutture di raccolta capaci di separare i vari tipi di materiali direttamente alla fonte.
L’organizzazione raccomanda l’introduzione di nuove etichette ambientali per sensibilizzare i consumatori, contribuendo così a stimolare la domanda di plastica riciclata direttamente dal basso. In alcuni settori, poi, potrebbero essere imposte dalle istituzioni quantità minime di utilizzo di materie riciclate per dar vita a nuovi beni e servizi. Il rapporto suggerisce anche una tassazione più corposa per l’uso di plastiche monouso, tipo shopper, piatti, stoviglie, bicchieri, cotton fioc e cannucce.
In generale, il mercato trova difficoltà ad espandersi perché non gode di una propria anima: i prezzi della plastica secondaria viene formato in relazione a quella primaria, che dipende troppo dal petrolio, tenendo fuori costi di raccolta, selezione e trattamento del rifiuto. Inoltre, il settore del riciclo è troppo frammentato: i colossi che producono polimeri sono più competitivi, maggiormente in grado di resistere alle fluttuazioni del prezzo del petrolio (dunque di assorbire il colpo), sfruttando così le economie di scala.
Data, infine, la crescente preoccupazione dell'opinione pubblica, la posizione dell’Ocse che si legge nel rapporto è chiara. I governi di tutto il mondo devono necessariamente “agire con urgenza”.
di Ivan Manzo