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Può la finanza sostenibile combattere la diffusione delle disuguaglianze globali?
Secondo il Forum per la finanza sostenibile, lo sviluppo delle periferie è una questione centrale per incidere sulla riduzione dei divari. Gli investimenti devono tener conto della componente sociale, economica e ambientale. 28/11/2018
La crescita delle disuguaglianze incide sui redditi della classe media nel lungo periodo, favorendo così fenomeni di instabilità politica e sociale tra cui il diffondersi della povertà, dei conflitti e delle attività migratorie. Per questo motivo, il Forum per la Finanza Sostenibile, insieme all’Unicef (Fondo delle Nazioni unite per l’infanzia) e all’Acri (Associazione di fondazioni e casse di risparmio), ha avviato un Gruppo di lavoro rivolto al settore finanziario, alle fondazioni e alle organizzazioni del terzo settore, con l’obiettivo di rispondere alla seguente domanda: può la finanza sostenibile invertire questa tendenza?
Il risultato del confronto è racchiuso nel manuale dal titolo “Investimento sostenibile nelle aree emergenti”, reso noto il 20 novembre in occasione del “Milano Luiss Hub for makers and students”, laboratorio che riunisce attività di alternanza scuola-lavoro e iniziative di formazione manageriale avanzata, startup emergenti ed eventi aperti al territorio.
Lo studio parte facendo il punto su come la distribuzione della ricchezza è avvenuta nel mondo dagli anni in cui ha avuto inizio il processo della globalizzazione. Viene citato, per esempio, l’ultimo rapporto Oxfam, secondo il quale l’82% dell’incremento di ricchezza globale registrato nel 2017 è andato a vantaggio dell’1% più ricco della popolazione, mentre oltre un miliardo di persone vive ancora con meno di 1,25 dollari al giorno. Per il Global Risks Report 2018, l’aumento della disuguaglianza rappresenta un fattore di sicurezza globale nei prossimi dieci anni: è in grado di esacerbare i fenomeni legati alle tensioni sociali e alle migrazioni.
Ci sono poi diversi dati interessanti che emergono dall’analisi degli ultimi anni. Per la prima volta dalla rivoluzione industriale, la disuguaglianza globale non è legata all’aumento del divario tra Paesi, e in termini di distribuzione della ricchezza sono le classi medio-basse dei Paesi più ricchi ad essere i principali perdenti. Al contrario, sono le economie emergenti asiatiche, soprattutto Cina ma anche India, Tailandia, Vietnam e Indonesia, a godere dei maggiori benefici.
In termini assoluti, la classe media emergente dei Paesi asiatici resta comunque più povera di quella occidentale: possiede infatti un livello di reddito pro-capite tra i mille e i 2mila dollari l’anno, mentre il reddito della classe media nei Paesi occidentali è compreso tra i 5mila e i 10mila dollari (sempre annui).
In generale, sono però i “plutocrati globali” i reali vincitori. In pratica, quelli che hanno visto aumentare significativamente i propri redditi tra il 1998 e il 2008 (in maggioranza persone che vivono o negli Stati Uniti o in Europa), con gli effetti della crisi finanziaria che non hanno fatto altro che accrescere la loro ricchezza.
Tracciato il quadro generale delle disuguaglianze, lo studio cerca di individuare come l’integrazione dei criteri ambientali, sociali e di governance, nelle scelte di investimento, possa ridurre i divari presenti tra le fasce della popolazione.
Di particolare importanza, per far leva sul cambiamento, è il binomio centro-periferia. Dallo studio si legge infatti che “mentre il centro attira varie forme di capitale (finanziario, economico, umano, …) e garantisce elevanti standard di vita dal punto di vista del reddito, dell’accesso ai servizi e della qualità dell’ambiente, le periferie si trovano spesso deprivate di opportunità di sviluppo ed esposte a rischi di natura economica (povertà relativa e assoluta), sanitaria (difficoltà di accesso ai servizi), sociale (isolamento e conflittualità), ambientale (inquinamento e degrado)”.
In quelle zone maggiormente sensibili a fragilità economica e sociale, la finanza tradizionale non riesce a determinare un miglioramento della situazione: è troppo soggetta ai rendimenti di breve periodo e non tiene conto dei risultati ambientali e, inoltre, spesso diventa complice di un ulteriore peggioramento della situazione.
Rispetto a questo tipo di criticità, è proprio l’investimento sostenibile che deve svolgere un ruolo cruciale, di motore per lo sviluppo. Innanzitutto, perché in grado di integrare nella valutazione per l’investimento gli aspetti di carattere sociale, ambientale e economico, e poi perché mira a proporre soluzioni innovative sulla base delle esigenze espresse dalla società. Influendo, così, in termini positivi pure sulla riduzione delle disuguaglianze.
Infine, il manuale presenta alcune iniziative virtuose, sia italiane che europee, e fornisce una valutazione degli strumenti finanziari in grado di mitigare gli effetti prodotti dall’accentramento del potere finanziario nel mondo.
di Ivan Manzo
Scarica il manuale “Investimento sostenibile nelle aree emergenti”