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La prima stesura del piano globale per la biodiversità non tutela tutte le specie
È l’appello mondiale di 20 scienziati che chiedono di rivedere la strategia post 2020 sulla diversità biologica, includendo ogni specie del pianeta. “Quella attuale è una visione antropocentrica della biodiversità”, dice uno dei firmatari. 22/4/20
Esperti di conservazione uniti per salvaguardare la biodiversità di tutte le specie del mondo. È stato pubblicato sulla rivista Science l’appello “Post-2020 goals overlook genetic diversity”, sottoscritto a marzo da 20 scienziati di diverse università e istituti di ricerca di tutto il mondo[1], tra cui Cristiano Vernesi della fondazione Edmund Mach, per promuovere un piano d’azione che protegga la diversità genetica di tutte le specie animali e vegetali del pianeta.
L’assunto di base è che solo in presenza di una sufficiente diversità genetica le popolazioni naturali di qualsiasi specie possono affrontare le minacce del cambiamento globale, ovvero i cambiamenti climatici e l’uso del suolo. L’appello dei ricercatori ha raccolto molta attenzione da parte della comunità scientifica e dai media internazionali, tanto da essere ripreso anche dalla Bbc.
A gennaio il segretariato della Convenzione sulla diversità biologica (Cdb) ha pubblicato la prima bozza del quadro globale per la biodiversità post 2020. La Cdb è un trattato internazionale nell’ambito del Programma delle Nazioni unite per l’ambiente (Unep), che fu adottato al vertice della Terra di Rio de Janeiro nel 1992 e che è stato ratificato ad oggi da 195 Paesi. In questo periodo critico per la società e il pianeta, il documento quadro ha stabilito cinque obiettivi: “proteggere gli ecosistemi, proteggere le specie, proteggere i geni, promuovere lo sviluppo sostenibile e garantire un’equa condivisione dei benefici derivanti dall’uso della biodiversità”. È quindi incluso il mantenimento della diversità genetica.
Tuttavia gli scienziati criticano il fatto che gli indicatori di progresso considerino principalmente specie domestiche, specie coltivate e specie utili. Raccomandano che il documento quadro post 2020, definito “debole”, impegni esplicitamente i firmatari a mantenere la diversità genetica di tutte le specie. Non solo quella delle specie utili. Gli autori dell’articolo raccomandano inoltre di attuare strategie per fermare l’erosione genetica e preservare il potenziale adattivo delle popolazioni di specie selvatiche e domestiche.
L’appello dei ricercatori è stato deciso nel corso di una recente iniziativa della Cost action G-bike presieduta da Cristiano Vernesi, che ha spiegato all’ASviS il significato della mobilitazione: “Quella declinata nella bozza è una visione antropocentrica della biodiversità, che non abbraccia la complessità della diversità genetica. Non prendere in carico la diversità genetica di tutte le specie è un passo indietro nella discussione. Occorre considerare che esistono tanti ambienti naturali sui quali l’uomo interviene, per esempio la foresta amazzonica, che con il loro insieme di specie diverse forniscono all’umanità intera servizi ecosistemici fondamentali. Nuovi obiettivi saranno concordati alla Convenzione sulla diversità biologica di ottobre e in quell’occasione avremo bisogno di un deciso passo avanti”.
di Andrea De Tommasi
[1] Tra questi, Michael Bruford dell’università di Cardiff, Linda Laikre dell’università di Stoccolma, Gernot Segelbacher dell’università di Friburgo, Philip W. Hedrick dell’università dell’Arizona, Myriam Heuertz dell’università di Bordeaux.