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Cittadini e aziende sono più informati e consapevoli sui cambiamenti climatici
Con la pandemia cresce la volontà di acquistare prodotti a basso impatto ambientale, dice un’indagine di Euromedia Research. Cambiano le abitudini in favore del clima, ma per molti l’attenzione all’ambiente non durerà a lungo. 23/11/20
Uno studio di Euromedia Research, commissionato da Engie Italia, ha indagato se e come l’emergenza da Covid-19 abbia mutato la sensibilità di cittadini e aziende rispetto ai cambiamenti climatici e ambientali. La ricerca, realizzata tra il 15 ottobre e il 10 novembre su un campione di 2.000 cittadini e 263 aziende, è stata illustrata nell’ambito dell’Engie green friday forum 2020, svoltosi venerdì 20 novembre.
Cambiamenti nelle scelte e negli stili di vita
Il 68,3% degli intervistati ha detto di aver modificato i propri comportamenti per contribuire a ridurre il cambiamento climatico. Un aumento di 12,4 punti percentuali rispetto al 2019. “Il modo con cui il Covid ha stravolto le nostre vite e abitudini ha evidentemente portato a una riflessione collettiva sulla fragilità dell'uomo e del pianeta e sull'importanza delle nostre scelte”, ha sottolineato Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research, durante il convegno di lancio. “A seguito della pandemia le persone sono più consapevoli dell'impatto negativo delle attività dell'uomo sull'ambiente, e quasi la totalità degli italiani ha deciso di modificare in modo virtuoso i propri comportamenti”. Il Covid-19 ha influito in modo significativo sulle scelte del 43,5% dei cittadini. Il dato sale al 56% per la Generazione Z (i giovani nati tra il 1995 e il 2010). Il 47,9% degli intervistati ha risposto che la pandemia ha fatto capire “la fragilità delle persone e del pianeta” (58% tra i 18 e i 24 anni), il 25,1% ha scoperto che basta poco per impegnarsi senza stravolgere la propria quotidianità (55,8% tra gli over 75), il 16,6% ha capito che grazie alle tecnologie può svolgere le stesse azioni, ma con minor impatto, l’8,9% ha riscontrato dei benefici reali.
Gli italiani sono sempre più intenzionati ad acquistare prodotti a basso impatto ambientale (km zero, marchi che garantiscono il rispetto dell’ambiente). Rispetto al 2019, questa propensione cresce di oltre 13 punti percentuali (35,6% a fronte del 22,5%). Vi è poi il 23,9% che sceglie trasporti non inquinanti e mezzi pubblici, l’8,9% che installerà a breve pannelli fotovoltaici (era il 5,4 nel 2019) e il 7% che acquisterà energia da fonti rinnovabili (7,2% nel 2019).
Gli effetti del lockdown sull’inquinamento
Il 77,3% degli intervistati ha notato una riduzione dell’inquinamento generale nella fase successiva al lockdown. La motivazione principale è stata per i cittadini la minore circolazione di auto (52,5%), ma anche la chiusura di molte fabbriche e aziende (28,2%), il comportamento più responsabile dei cittadini (8,9%), la riduzione del traffico aereo (6%) e la chiusura degli esercizi commerciali (2,4%). Quasi un intervistato sue due (48,8%) ha dichiarato che nella “fase 2” c’è stata una maggiore attenzione all’ambiente da parte dei cittadini, ma solamente il 10,7% pensa che questa attenzione si protrarrà nel tempo.
Il giudizio sulle politiche del governo in favore del clima
In generale, le politiche del governo per ridurre i cambiamenti climatici sono state accolte in maniera positiva (48,7%), soprattutto dai più giovani (60,6%), mentre il 31% è severo nei giudizi sull’esecutivo. Il 50,5% è convinto che queste iniziative potranno portare effetti positivi nel lungo periodo (57,2% al Sud e nelle Isole), il 30,7% esprime un parere contrario, con un’alta percentuale tra gli over 75 (49,1%).
Clima e pandemie
Il 37,1% ritiene che l’inquinamento sia la principale causa di una maggiore diffusione del virus, mentre per l’8,3% l’inquinamento ne rallenta la diffusione e per il 39,1% non c’è alcuna relazione tra virus e inquinamento. Interessante notare che tra i giovani e i giovani adulti (dai 18 ai 54 anni) prevalga la percezione che l’inquinamento abbia favorito la diffusione del Covid-19, al contrario i più adulti (dai 56 anni in su) pensano che non ci sia alcuna correlazione.
Tra gli italiani sono alti l’interesse e la ricerca di informazione in merito ai cambiamenti climatici: il 79,1% si dichiara informato sul tema (+2,4% rispetto al 2019), il 77,9% è interessato all’argomento (+1,8 rispetto al 2019). Alla domanda su quale sia il primo aggettivo o sostantivo che viene in mente pensando ai cambiamenti climatici, la parola “catastrofi” è al primo posto (32,9%), ma cresce l’importanza di “deglacializzazione” e “caldo”. Tra gli elementi ritenuti più inquinanti in atmosfera, l’anidride carbonica si attesta al primo posto (45,3%), seguita dalle polveri sottili (35,7%), le scie chimiche (9,4%) e il vapore acqueo (2,1%). Cresce, rispetto al 2019, la consapevolezza che bastino solo 2°C per generare un’escalation di alluvioni, tempeste e siccità.
Quasi due italiani su tre (67,4%) ritengono che le cause dei cambiamenti climatici siano da attribuire soprattutto ad attività umane, il 24,3% indica le emissioni delle industrie, il 18,1% la produzione di energia utilizzando fonti fossili non rinnovabili. Per contrastare il cambiamento climatico, il 17,4% sarebbe disposto a ridurre l’uso della plastica, il 14,9% a migliorare la raccolta differenziata, mentre il 9,9% acquisterebbe prodotti a basso impatto ambientale.
Il mondo delle imprese
Un italiano su due (50,1%) ha percepito in questa fase una maggiore attenzione agli aspetti ambientali da parte delle aziende. A livello istituzionale, invece, secondo gli intervistati, è il governo che ha “maggiore potere” nell’indirizzare la cittadinanza verso comportamenti più ecosostenibili (40,9%), seguito da istituzioni locali (25%), aziende (14,8%) e pubblica istruzione (8,1%). Gli intervistati hanno alta fiducia nella digitalizzazione, che secondo il 74,3% influisce sul miglioramento generale della sostenibilità ambientale. Aumenta anche la percentuale di coloro che sono a conoscenza di siti e app che permettono di calcolare le emissioni di CO2 prodotte nella vita quotidiana.
Dal lato delle aziende, il 48% è consapevole che i cambiamenti climatici influenzeranno significativamente la propria attività e il proprio settore nei prossimi cinque anni. Già prima dell’emergenza da Covid-19, quasi un’azienda su due (42,6%) aveva programmato interventi per migliorare la sostenibilità ambientale. Tuttavia, il 54,6% delle aziende ha dovuto rivedere i propri piani aziendali per l’impatto della pandemia. Del ruolo fondamentale delle tecnologie digitali per una maggiore sostenibilità è convinto il 69,2% delle aziende (con una quota maggiore pari al 72,2% se guardiamo al solo settore dei servizi). Il digitale è considerato ancora più importante per il monitoraggio delle attività in ottica di rispetto dell'ambiente (79%, che raggiunge l'81,3% nei servizi). Il 60,4% delle aziende ha percepito i vantaggi derivanti dall’introduzione dello smart working e il 91,7% ritiene che questa modalità continuerà anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria (90,9% tra le aziende del Sud e le Isole). Sale la percentuale di aziende che, pensando agli sviluppi dei prossimi 2-3 anni, ritiene importante l’immagine green dei propri prodotti e servizi (67,3%, + 11,3% rispetto al 2019). Infine, la maggioranza dei leader aziendali (87,8%) afferma di essere sensibile in merito all’inquinamento e ai cambiamenti climatici e il 19% delle imprese effettua le misurazioni delle emissioni di CO2 relative alle attività aziendali (il 29,7% nel settore manufatturiero).
Gli interventi al Green Friday forum
Alla tavola rotonda moderata dalla conduttrice televisiva Tessa Gelisio è intervenuto Enrico Giovannini, portavoce dell’ASviS, che ha sottolineato: “La pandemia ha evidenziato le connessioni tra ambiente, economia e società. La vulnerabilità emersa in questa crisi poteva essere contrastata creando resilienza economica, sociale, ambientale. Negli ultimi 40 anni abbiamo creato una classe dirigente convinta che il mercato risolvesse tutto. La Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen ha dato una nuova e decisiva direzione nel senso della transizione energetica. Una sterzata che si riflette anche nel Piano di ripresa e resilienza italiano. I fondi del Next Generation Eu non devono essere utilizzati per recuperare qualche decimale di Pil ma per rendere il nostro Paese più resiliente ai futuri shock”, ha concluso Giovannini.
Barbara Gallavotti, biologa e divulgatrice scientifica, ha detto che “l'emergenza del Covid ci ha fatto toccare con mano quanto la nostra specie continui ad essere fragile, ma ci ha anche costretto a sperimentare soluzioni che avremmo detto quasi impraticabili, ci ha dimostrato quanto rapidamente possono cambiare le nostre abitudini, e non ultimo ha messo in luce l'importanza di discutere dei temi di scienza sulla base di informazioni corrette”.
Damien Térouanne, Ceo di Engie Italia, ha evidenziato come la transizione energetica sia una scelta obbligata e urgente. “È necessario ripensare il nostro sviluppo futuro: uno sviluppo più resiliente, durevole e sostenibile. Raggiungeremo l’obiettivo solo grazie alla combinazione di tutti gli sforzi: globali, dei singoli Paesi, ma anche delle città, delle aziende così come a livello residenziale”.
di Andrea De Tommasi