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FOCUS. Ritorno al futuro: dove ci può guidare l’auto elettrica
Il passaggio alla mobilità elettrica pone importanti quesiti, in termini di produzione delle batterie, rifornimento energetico, smaltimento. La questione, però, non è solo ambientale, ma anche geopolitica. 15/02/2021
Per viaggiare nel tempo c’è bisogno di elettricità.
Nel primo capitolo della saga Ritorno al futuro, Doc, il celebre scienziato che affianca Marty McFly nelle avventure spazio-temporali, alimenta l’automobile che permette di andare avanti e indietro nel tempo, la DeLorean, caricando barre di plutonio dentro il generatore Mr. Fusion Home Energy Reactor, meglio conosciuto come Mr. Fusion. Il plutonio genera, tramite una reazione nucleare, gli 1,21 gigawatt di potenza elettrica necessari al salto temporale. Il fatto è che il Doc del 1955 non dispone del plutonio che avrà trent’anni dopo, e per questa ragione invia Marty nel 1985, ricavando dalla scarica elettrica di un fulmine l’energia necessaria per il viaggio.
Noi, però, abbiamo bisogno dell’elettricità per andare avanti nel tempo?
La General Motors ha recentemente annunciato che intende raggiungere il traguardo delle emissioni zero entro il 2040, e, per farlo, porterà sul mercato 30 modelli 100% elettrici entro il 2025, investendo circa 27 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni.
Queste dichiarazioni – precedute e seguite da altri colossi di settore che approfondiremo in seguito – non tengono in considerazione però una domanda che molti, a oggi, si pongono: quanto sono effettivamente “pulite”, le auto totalmente elettriche? E soprattutto: saranno queste le automobili del futuro?
Un argomento che viene spesso avanzato per contrastare l'immagine ecologica di questi modelli è l'inquinamento generato dal processo di produzione delle batterie. Le batterie dei veicoli elettrici sono infatti più grandi di quelle utilizzate per le automobili a diesel, benzina e gas, e presentano un diverso tipo di chimica. Mentre questi ultimi veicoli tendono a usare batterie al piombo-acido, quelli elettrici si servono di batterie agli ioni di litio (lo stesso materiale che si trova nei cellulari e nei laptop). La produzione di questo genere di batterie richiede molta energia, e lo stesso vale per l'estrazione e il raffinamento di metalli come litio, nichel e cobalto: tutti questi processi – tanto di estrazione quanto di manipolazione – causano delle emissioni.
Tuttavia, come illustra un rapporto del 2018 dell'International council on clean transportation (Ictt), riportato su Forbes, le emissioni all’interno della produzione variano sensibilmente a seconda del Paese di provenienza, facendo delle infrastrutture e delle tecniche di produzione una chiave di volta significativa per il processo produttivo automobilistico. Secondo lo studio dell’Ictt, infatti, i produttori cinesi di batterie per veicoli elettrici emetterebbero fino al 60% di CO2 in più rispetto alle industrie di produzione per i motori Icev (acronimo per Internal combustion engine vehicle, motori a combustione interna, ovvero quelli della maggior parte delle automobili non elettriche). L’Ictt sottolinea però che, qualora la Cina adottasse tecniche di produzione già diffuse in America e in Europa, questo livello di emissioni si abbatterebbe del 66%.
Nel suo studio, l'Ictt sottolinea inoltre la differenza significativa che intercorre, nel corso della vita delle automobili, tra la combustione elettrica e Icev. Infatti, senza combustione e completa mancanza di emissioni dallo scarico, i veicoli elettrici producono la maggior parte delle loro emissioni attraverso il processo di produzione e l'approvvigionamento dell’energia, dando loro un importante vantaggio rispetto alle auto a benzina e diesel.
“L'impatto positivo dei veicoli elettrici è più pronunciato se si guarda al loro ciclo di vita completo” afferma sempre su Forbes James Ellsmoor, fondatore della Virtual Island Summit e divulgatore scientifico della rivista statunitense, “in questo campo i veicoli con motore a combustione non sono in grado di competere”.
Quasi in concomitanza con i risultati dell’Ictt, usciva però uno studio del Center for Economic Studies (Ces) di Monaco, che affermava: “L'attuale mix energetico della Germania e la quantità di energia utilizzata nella produzione di batterie per i veicoli elettrici sono, nel migliore dei casi, leggermente superiori a quelle di un motore diesel: spesso sono altamente superiori”. Sebbene possa sembrare un'accusa schiacciante sulle prestazioni dei veicoli elettrici, il documento del Ces di Monaco è stato rapidamente smentito dagli esperti del settore. Oltre a presentare informazioni precedentemente screditate – come le batterie delle auto elettriche che diventerebbero “rifiuti pericolosi” dopo 150mila chilometri – o travisare i dati del governo per adattarsi alla loro ricerca, lo studio descriveva anche emissioni Icev non corrispondenti alla realtà. “Si tratta di una teoria della cospirazione non scientifica” ha affermato a questo proposito il dottor Markus Lienkamp, capo del dipartimento di ingegneria automobilistica dell'Università tecnica di Monaco.
Man mano che la tecnologia diventa più diffusa, inoltre, è probabile che l’efficienza e la sostenibilità delle infrastrutture aumenti.
“Le economie di scala andranno a vantaggio della produzione di veicoli elettrici fornendo infrastrutture migliori, tecniche di produzione più efficienti, opzioni di riciclaggio e riducendo la necessità di estrazione di nuovi materiali” afferma ancora Ellsmoor. “I veicoli elettrici non sono una panacea, ma combinati con una maggiore diffusione delle energie rinnovabili e la decarbonizzazione della rete elettrica offrono un percorso per ridurre notevolmente le emissioni di gas serra”.
La General Motors, ad esempio, ha annunciato che, nel complesso dei 27 miliardi precedentemente menzionati, gli investimenti includeranno un’implementazione delle tecnologie applicate alle batterie Ultium – che saranno dotate di densità energetica (ovvero la quantità di energia immagazzinata in un dato sistema per unità di volume o per unità di massa) superiore del 60% rispetto a quella delle auto attualmente in commercio, a un costo di produzione nettamente inferiore – nonché l’aggiornamento di strutture come Factory zero nel Michigan e Spring hill manufacturing nel Tennessee, deputate alla costruzione di veicoli elettrici. Entro il 2030 i siti statunitensi saranno infatti alimentati al 100% da energia solare, eolica o idroelettrica (soluzioni che verranno applicate a tutte le sedi e le strutture entro il 2035). La General Motors sta inoltre lavorando in collaborazione con EVgo per triplicare la rete di ricarica rapida statunitense, aggiungendo oltre 2700 caricatori rapidi entro il 2025 (che saranno alimentati da energia rinnovabile al 100%). Per bilanciare le emissioni di carbonio – che comunque usciranno fuori dal ciclo produttivo delle auto elettriche – la General Motors ha promesso di investire in crediti compensativi di carbonio.
Volkswagen, da parte sua, ha piani di investimento per veicoli elettrici particolarmente ambiziosi e ha recentemente affermato che parte dell’accordo con Lg Chem (uno dei suoi principali rifornitori di batterie), richiede che l'azienda le produca soltanto tramite fonti energetiche rispettose dell'ambiente. Tesla, contemporaneamente, ha dichiarato che la sua gigafactory di batterie in Nevada funzionerà presto interamente a energia rinnovabile.
Tesla e Bmw si stanno anche impegnando in programmi di riciclaggio delle batterie, che l'Icct riporta come altro sistema efficiente per ridurre le emissioni dell’apparato produttivo.
Nel complesso, la decarbonizzazione delle reti elettriche, il riciclaggio delle batterie e l'aumento della densità di energia delle stesse potrebbero ridurre le emissioni dell’apparato produttivo fino al 49%, secondo le stime dell'Icct.
Per Matteo Di Castelnuovo e Andrea Biancardi, Just Energy Transition Team presso SDA Bocconi School of Management, però, la produzione di automobile elettriche non deve tenere in considerazione solamente la questione climatica, ma anche i suoi effetti geopolitici, specialmente per quanto riguarda la detenzione delle materie prime.
“Bisogna garantire il sicuro approvvigionamento delle materie prime necessarie per la produzione” affermano gli studiosi. Litio, cobalto, nichel, manganese e grafite sono infatti le risorse principali del settore, “e la loro domanda è aumentata notevolmente negli ultimi anni, così come il loro prezzo, cresciuto in misura significativa”.
La Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, detiene il 51% delle riserve mondiali di cobalto e controlla il 71% della produzione (mentre la Cina è leader nel processo di raffinazione del cobalto, importato in buona parte proprio dalla RDC). Il 55% della produzione di litio è invece stanziato in Australia, e il Cile detiene una quota di mercato del 23%, possedendo il 51% delle riserve mondiali. La Cina, per garantire un approvvigionamento continuo di questi materiali preziosi (da Australia e America Latina), ha investito, negli ultimi anni, 4,2 miliardi di dollari.
La quota di mercato del nichel è invece posseduta per il 30% dall’Indonesia, mentre per il manganese i produttori più importanti sono Sud Africa (29%) e Australia (17%). Alluminio e grafite sono infine prodotti principalmente dalla Cina, per il 56% e il 63% della produzione mondiale. “Vi è infine la questione delle terre rare” ricordano i due studiosi, “un gruppo di 17 elementi dalle proprietà particolari, che vengono impiegati per la produzione di motori a magneti permanenti delle auto elettriche, per le batterie delle auto ibride e altri prodotti ad alto contenuto tecnologico presenti nelle auto”. La Cina, anche in questo caso, agisce da protagonista, detenendo il 63% della produzione mondiale, e quasi monopolizzando la raffinazione, rendendosi unico attore integrato di tutta la filiera.
Per evitare possibili monopoli gli studiosi auspicano dunque che “la recente interruzione, a causa del Covid-19, di molte filiere di produzione globalizzate potrebbe riportare l’attenzione dei policy-maker e leader d’azienda sulla necessità di garantire alternative più sicure alle attuali forniture di metalli e risvegliare l’interesse per la ricerca, l’estrazione e la raffinazione di metalli sul suolo europeo”.
Ma a conti fatti: si arriverà mai a una vera diffusione delle auto elettriche?
Secondo il Guardian, i veicoli elettrici sono vicini al tipping point, ovvero il punto di svolta per l’adozione di massa. Questo fattore, nota Damian Carrington, environmental editor del quotidiano inglese, sarebbe dovuto in particolare al crollo del prezzo delle batterie.
“Le vendite globali sono aumentate del 43% nel 2020, ma si prevede una crescita ancora più rapida, quando il continuo calo dei prezzi delle batterie porterà quello delle auto elettriche a scendere al di sotto dei modelli a benzina e diesel, anche senza sussidi” afferma Carrington. “Le ultime analisi prevedono che ciò avverrà tra il 2023 e il 2025”.
Il punto di svolta è già stato superato in Norvegia, dove le agevolazioni fiscali hanno reso le auto elettriche più economiche delle competitor a diesel e benzina. La quota di mercato delle auto alimentate a batteria, salita al 54% nel 2020 nel paese nordico, lo pone in netto distacco rispetto al resto del continente, dove la quota è arrivata a meno del 5%.
“I trasporti sono una delle principali fonti di emissioni di carbonio, e le auto elettriche sono fondamentali negli sforzi per combattere la crisi climatica” sottolinea Carrington. “Ma il loro prezzo di acquisto più elevato è un ostacolo all'assorbimento di massa”.
Un altro fattore chiave è la cosiddetta “ansia da autonomia” delle auto elettriche, preoccupazione che verrà però combattuta con la costruzione (già in atto) di batterie in grado di fornire, ad esempio, una carica di 321 chilometri in cinque minuti.
“Le sovvenzioni governative e le agevolazioni fiscali hanno ridotto il costo delle auto elettriche in alcuni Paesi, ma il punto in cui diventeranno più economiche senza sussidi è fondamentale” ha affermato James Frith, responsabile dell'energy storage presso BloombergNEF: "Questo è sicuramente un punto di svolta. Vedremo decollare presto l'adozione di veicoli elettrici, in concomitanza con una reale penetrazione nel mercato”. Il professor Tim Lenton, dell'Università di Exeter, ha dichiarato: “C'è stato cambiamento significativo in un Paese, la Norvegia, e questo grazie ad alcuni incentivi fiscali intelligenti e progressisti. Poi i consumatori hanno deciso tramite i loro portafogli”.
I dati dell'ultimo studio di Tim Lenton hanno infatti dimostrato che nel 2019 i veicoli elettrici in Norvegia erano dello 0,3% più economici e avevano una quota di mercato del 48%, mentre nel Regno Unito – dove le auto elettriche erano più costose dell'1,3% – la quota di mercato era solo dell'1,6%. Una volta superata la linea di parità di prezzo, Lenton ha affermato: “Bang - le vendite salgono. Siamo rimasti davvero colpiti da quanto l'effetto sembri non lineare”.
Un’analisi recentemente pubblicata da BloombergNEF prevede inoltre che i costi delle batterie agli ioni di litio diminuiranno ancora di più, e le auto elettriche corrisponderanno al prezzo delle auto a benzina e diesel entro il 2023 (mentre Lenton suggerisce il 2024-2025). Il Global Energy Perspective 2021, pubblicato da McKinsey, afferma che "i veicoli elettrici diventeranno probabilmente la scelta più economica nei prossimi cinque anni in molte parti del mondo".
“Le analisi strategiche dei costi della mobilità elettrica devono tener conto della rapida evoluzione sia del contesto regolatorio sia delle tecnologie” sottolinea a questo proposito Oliviero Baccelli, direttore del Master in Economia e Management dei Trasporti, Infrastrutture e Supply Chain dell’Università Bocconi. “Entrambi questi fattori impattano fortemente sulle scelte di produzione delle case automobilistiche, sulle economie di scala nella produzione, frutto anche di nuove partnership aziendali come quelle fra i gruppi Psa e Fca o fra Volkswagen e Honda, o sui costi di componenti hardware e software delle batterie”.
Questi fattori, secondo lo studioso, incidono fortemente sul differenziale di costo fra auto a motore endotermico ed elettrico, e secondo gli analisti l’attuale differenza di prezzo, dovuta in particolar modo alle batterie, si ridurrà in breve tempo fino ad appiattirsi del tutto. “Ad esempio, Bloomberg New Energy Finance evidenzia nel rapporto Electric Vehicle Outlook 2019 come nel corso degli ultimi nove anni il prezzo delle batterie a ioni di litio sia passato da 1160 dollari (a parità di potere d’acquisto al 2018) del 2010, ai 577 del 2014 e ai 176 del 2018”. Inoltre, ricorda sempre Baccelli riportando il caso della E-Golf della Volkswagen, si può notare come, negli ultimi quattro anni, a parità di peso la quantità di energia accumulata nella batteria sia più che raddoppiata, prevedendo per il futuro un ulteriore miglioramento.
Tutt’altro dibattito quello che riguarda la scelta tra automobili a idrogeno ed elettriche, questione che richiederebbe un approfondimento su misura, e per la quale si rimanda qui e qui per alcune interessanti analisi (che includono l’inquinamento nella produzione dei rispettivi mezzi, ma anche l’efficienza e la distribuzione della rete di rifornimento).
In conclusione, l’auto elettrica può essere considerata una buona alternativa che ha bisogno, però, di essere ottimizzata sotto vari punti di vista, tanto nella fase di estrazione di materiali, quanto nello smaltimento delle batterie e del rifornimento su strada (tramite pannelli solari per le torrette di energia). Superati questi scogli, le auto elettriche potrebbero costituire un’alternativa per un cambiamento che deve avvenire in tempi rapidi.
E comunque, questa rimarrà un’opzione migliore della DeLorean di Ritorno al futuro, che, fuor di viaggi nel tempo, andava a benzina, come ricorda Doc a Marty: “Il generatore di fusione dà energia ai tempo-circuiti e al flusso canalizzatore, ma il motore a combustione interna funziona con la normale benzina, lo ha sempre fatto”.
di Flavio Natale