Cop 28: una finestra quotidiana sul grande incontro sul clima
1° dicembre, Guterres e Re Carlo III aprono la Conferenza
Il vertice ha ufficialmente inizio. Dopo il segretario generale Onu e il sovrano d’Inghilterra, la parola agli altri leader. Firmato da 130 primi ministri e presidenti un accordo per la trasformazione dei sistemi alimentari. 2/12/23
Si fanno la mattina presto i conti sul fondo perdite e danni che assommano a un totale provvisorio di 489 milioni di dollari, un importante decimo della stima dei danni. Che si contano ogni anno. L’Ue ne ha stanziati 245, di cui 100 dalla Germania. 75 milioni di dollari vengono dal Regno Unito, 24,5 milioni dagli Stati Uniti e 10 dal Giappone. All’inizio della seconda giornata, il presidente del gruppo G77 più Cina – il blocco di 135 Paesi in via di sviluppo che ha svolto un ruolo chiave nella storica risoluzione sull’operatività del fondo per perdite e danni – ha affermato che si tratta di una pietra miliare in termini di creazione di un’atmosfera positiva per il processo molto, molto complesso sul global stocktake (Gst) che abbiamo davanti. Ma il fondo deve essere riempito il prima possibile.
Sono probabili ulteriori impegni man mano che i leader mondiali saliranno sul palco oggi e domani, ma alcuni Paesi hanno remore formali nel farsi carico di nuovi impegni e nel muoversi verso le sovvenzioni piuttosto che i prestiti. In giro c’è molto riciclaggio, ma il futuro dipende dal successo delle misure di mitigazione e adattamento, che dipendono tutte dal Gst e dai negoziati sui finanziamenti per il clima in corso. I mezzi di attuazione sono il singolo fattore trasversale più importante che consentirà ai Paesi poveri di passare in modo giusto ad un altro modello di sviluppo.
Gli interventi di Guterres e Re Carlo III aprono la Conferenza
La Cop 28 viene formalmente aperta dal segretario generale dell’Onu António Guterres, che richiama i contenuti dei suoi interventi più recenti, rimasti in gran parte inascoltati anche a causa della perdita di incidenza delle Nazioni Unite sulla pace nel mondo e delle critiche a lui rivolte per non aver attaccato i comportamenti dei terroristi di Hamas nei documenti votati in Assemblea generale.
Il premier inglese Sunak, leader della nazione all’avanguardia in fatto di lotta ai cambiamenti climatici, gli aveva vietato di andare a Dubai. La pubblica opinione gli ha imposto una precipitosa marcia indietro e così Re Carlo III è stato il primo leader mondiale a prendere la parola alla Cop 28 chiedendo con tutto il cuore che la Cop 28 possa essere un altro punto di svolta fondamentale verso un'autentica azione di trasformazione in un momento in cui, come gli scienziati avvertono da tempo, ci stiamo già avvicinando a punti di svolta (tipping point) allarmanti del sistema climatico. Siamo lontani, ha detto, dalla strada giusta negli sforzi per affrontare la crisi climatica. A meno che non ripariamo e ripristiniamo rapidamente l’economia della natura, basata sull’armonia e sull’equilibrio, che è il nostro principale sostentamento, la nostra stessa economia e la nostra sopravvivenza saranno messe in pericolo. Il mondo sta affrontando scelte gravi senza sapere quanto siamo pronti a compiere queste scelte per le generazioni future. Gli esseri umani stavano portando avanti un vasto e spaventoso esperimento, cambiando tutta in una volta ogni condizione ecologica, a un ritmo che supera di gran lunga la capacità della natura di farvi fronte. I delegati, ha affermato, dovrebbero ricordare ciò che la visione del mondo degli indigeni ci ha insegnato, cioè che siamo tutti interdipendenti, non solo come esseri umani, ma con tutti gli esseri viventi e tutto ciò che sostiene la vita… La terra non ci appartiene, noi apparteniamo alla Terra.
Chi ha voluto rappresentare Carlo con i suoi terribili avvertimenti? Non certo il governo del Regno Unito di Sunak, che ha cancellato i piani per la decarbonizzazione, espandendo il petrolio e il gas del Mare del Nord, e ora sta manipolando le cifre sulla finanza climatica. Sunak, come è tradizione dei Paesi ricchi dicono cose giuste mentre fanno cose sbagliate. Non va persa l’ironia, commentano gli attivisti inglesi, del fatto che il Re è affiancato al vertice da due uomini impegnati nelle politiche di distruzione del clima: un primo ministro che ha dichiarato apertamente di voler massimizzare il petrolio e il gas del Mare del Nord e un ministro degli Esteri, Cameron, che ha rapidamente abbandonato la sua stessa promessa di guidare il governo più green mai registrato, appena tre anni dopo essere stato eletto nel 2010.
Gli interventi dei leader
Il presidente brasiliano Lula da Silva ha aperto con un tema fondamentale: non è possibile affrontare il cambiamento climatico senza combattere le disuguaglianze. Il suo Paese sta dando l’esempio adeguando gli obiettivi climatici, che ora sono più ambiziosi di quelli di molti Paesi sviluppati. Abbiamo ridotto drasticamente la deforestazione in Amazzonia e la porteremo a zero entro il 2030, ha affermato. Ha chiesto ai Paesi sviluppati di investire di più per ridurre le emissioni di gas serra e per sostenere le nazioni in via di sviluppo che soffrono a causa degli impatti climatici. Nessun Paese risolverà i propri problemi da solo. Siamo tutti obbligati ad agire insieme al di là dei nostri confini. I trilioni di dollari spesi in armi dovrebbero essere usati contro la fame, la disuguaglianza e il cambiamento climatico. Le chiacchere e i fatti: ieri il suo ministro dell’energia aveva annunciato che il Brasile si integrerà più strettamente al più grande sindacato petrolifero del mondo, l’Opec, proprio mentre Lula dice che è necessario lavorare per un’economia meno dipendente dai combustibili fossili.
I discorsi dei leader proseguono con appelli alla Palestina e alle isole del Pacifico. Il Re di Giordania ha collegato l’emergenza climatica alla guerra in corso a Gaza. Mentre parliamo, ha detto, il popolo palestinese si trova ad affrontare una minaccia immediata alla propria vita e al proprio benessere. Decine di migliaia di persone sono rimaste ferite o uccise in una regione già in prima linea nella lotta al cambiamento climatico. Il blocco delle forniture d’acqua rende più gravi le minacce ambientali legate alla scarsità d’acqua e all’insicurezza alimentare. Le persone vivono senza acqua pulita e con un minimo di scorte di cibo e ha sottolineato che il cambiamento climatico esacerba la natura distruttiva della guerra. Non ha mancato di sottolineare che la Giordania non contribuisce in modo significativo al collasso climatico ma ne è fortemente colpita.
Il Re di Tonga ha espresso l’angoscia che la Cop 28 possa fallire e che i progressi sull’accordo di Parigi sono troppo lenti. Ogni anno sentiamo le suppliche angosciate di coloro che rappresentano i piccoli stati insulari che stanno letteralmente affondando sott’acqua: annualmente oltre 50mila abitanti delle isole del Pacifico vengono sfollati a causa della perdita delle loro case per via del collasso climatico.
Il presidente dello Zambia, Hichilema, ha denunciato che il suo Paese, privo di competenze sullo sviluppo di progetti sul carbonio e del sostegno delle organizzazioni internazionali, ha visto quest’anno i diritti su vasti tratti di foresta africana venduti in una serie di maxi-accordi di compensazione del carbonio (offsetting) che coprono un’area di territorio più grande del Regno Unito a una società con sede negli Emirati Arabi Uniti chiamata Blue Carbon. Non dovrebbe essere, ha detto, una corsa all’accaparramento delle risorse dell’Africa. Quando qualcuno viene nel nostro Paese e porta un’idea sul carbon offsetting, diciamo che non capiamo come risolvere questo problema. Ecco perché abbiamo chiesto alla Banca mondiale, al Fondo monetario internazionale, all’Organizzazione mondiale del commercio e alla Banca africana di sviluppo di metterci in condizione di gestire questa storia.
Lo ha rassicurato il nuovo presidente della Banca mondiale, Ajay Banga, promettendo che presenterà presto progetti forestali di alta qualità in tre Paesi che, spera, aiuteranno a placare le preoccupazioni sulla mancanza di integrità ambientale nei progetti di offsetting.
Il presidente del Kenya ha raccontato che la sua regione sta già affrontando gli effetti terribili del collasso climatico. Nell’Africa orientale, inondazioni catastrofiche hanno fatto seguito alla siccità più grave che la regione abbia mai visto in oltre 40 anni e gli studi indicano che le siccità sono ora 100 volte più probabili in alcune parti dell’Africa rispetto all’era preindustriale. Il mondo, ha detto, deve investire nell’energia verde e in altre infrastrutture in Africa. La tendenza a ignorare le esigenze di sviluppo e industriali dell’Africa non è più sostenibile. Trasformare l’Africa in una realtà green non è solo essenziale per il continente, ma è anche vitale per l’industrializzazione e la decarbonizzazione globale.
Il presidente del Paraguay ha dichiarato che, in Paraguay, tutta l’energia è pulita e rinnovabile. La diga di Itaipu, sul fiume Paraná, è una delle più grandi centrali idroelettriche del mondo e genera circa il 95% dell'elettricità del Paraguay, tutta rinnovabile. Il 44% della loro superficie terrestre è costituito da foreste. Inopinatamente ha chiesto alla Cina di consentire l’inclusione di Taiwan nel processo Cop: il piccolo Paese è attualmente escluso per volere del governo cinese.
Il presidente del Kazakistan si è impegnato ad aderire all’impegno globale sul metano. Ha detto che esiste uno straordinario potenziale per l’energia eolica e solare nel suo Paese – un importante esportatore di petrolio – e ha sottolineato inoltre che il Kazakistan è pronto a diventare una delle principali fonti di minerali e terre rare. Prevede di convocare un vertice regionale sul clima nel 2024 sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Il presidente della Serbia ha dichiarato che nel suo Paese la temperatura è già aumentata di 1,8°C. I serbi hanno sperimentato per la prima volta quest'ottobre le notti tropicali con temperature superiori ai 20 °C, senza precedenti per la regione.
Il presidente dell'Iraq ha avvertito che i fiumi del Paese sono minacciati e che la siccità nel Sud dell’Iraq, le temperature a livelli record, la desertificazione e le tempeste di sabbia hanno portato a sfide economiche che hanno esasperato la povertà e la migrazione interna. Ha condannato l’aggressione a Gaza.
Il presidente delle Seychelles si è detto scoraggiato dal fatto che gli impegni finanziari sul cambiamento climatico siano stati traditi. I piccoli Stati insulari in via di sviluppo sono in prima linea nella lotta al cambiamento climatico e hanno urgentemente bisogno di risorse per affrontare l’erosione costiera. È fondamentale che il fondo per perdite e danni sia equo e veramente utile. Le Seychelles sono un campione ambientale che protegge già il 32% del suo territorio marino, ma sono classificate come un Paese ad alto reddito e ciò influisce sulla loro capacità di accedere ai finanziamenti.
Per l’Europa Ursula von der Leyen ha chiesto al mondo di seguire l’Ue con la tariffazione del carbonio. Compiacendosi dei risultati su perdite e danni, ha detto che a questa Cop si farà un passo avanti decisivo per proteggere i cittadini più vulnerabili in tutto il mondo, noi saremo al loro fianco agendo tempestivamente. L’Ue contribuirà al nuovo fondo per perdite e danni e finora ha stanziato più di 316 milioni di euro. Ha detto poi che le emissioni globali devono raggiungere il picco entro il 2025 e che bisogna eliminare gradualmente i combustibili fossili e ridurre le emissioni di metano. In termini di finanza privata, l’Europa ha bisogno di riformare il sistema finanziario internazionale e di un mercato strutturato del carbonio.
Il ministro dell’ambiente canadese ha affermato che il fondo per perdite e danni e il completamento dell’impegno per il Green climate fund (Gfc) dovrebbero aiutare a ricostruire la fiducia tra il Nord e il Sud del mondo dopo anni di negoziati tesi. Stamattina il Canada ha stanziato 11,8 milioni di dollari per il nuovo fondo. Per 30 anni non abbiamo fatto alcun progresso riguardo a perdite e danni, ha ricordato. Siamo passati dal nulla circa un anno fa, a un fondo e a Paesi che oggi promettono denaro. Per ciò che riguarda il phase-out dei combustibili fossili, il Canada è aperto a diverse formulazioni nel testo finale e ha sottolineato che la produzione di combustibili fossili dovrebbe diminuire. Il mio Paese, ha detto, è felice di sostenere la riduzione dei combustibili fossili che sia coerente con l’obiettivo di neutralità carbonica del Canada entro il 2050. Non so quanto sia realistico dire che li elimineremo tutti, ma ciò che è importante è ridurre radicalmente la nostra dipendenza. E per quelli che stiamo utilizzando, dobbiamo catturare e sequestrare le emissioni. Non abbiamo scelta, ma non basta, occorre ridurre la produzione.
Il turco Erdoğan è tornato sulla guerra di Gaza e la crisi climatica. La Turchia ha sostenuto la pace durante tutte queste crisi e lavora per trovare soluzioni sulla base dell’equità. Affrontiamo la questione del cambiamento climatico dalla stessa prospettiva. La Turchia è la seconda in Europa e la nona nel mondo per l'energia idroelettrica. Ha detto che, nonostante il devastante terremoto di febbraio, stanno riuscendo a mantenere il passo con i loro obiettivi e stanno curando le ferite del disastro costruendo strutture “rispettose del clima e dell’ambiente.
La presidente della Slovacchia ha chiesto al vertice: “Quanto ancora vogliamo danneggiare le generazioni future?” Le emissioni del suo Paese hanno già raggiunto il picco e sono inferiori del 55% rispetto al 1980. Prevediamo di utilizzare il 5% del Pil proveniente da fonti pubbliche per decarbonizzare il Paese ed entro la fine di quest’anno smetteremo di usare il carbone per generare elettricità.
Sotto il tiro di stampa e commentatori il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, che ha aperto dicendo che la politica climatica è vicina al punto di rottura. Ha detto perfino di aver annacquato le politiche climatiche del Regno Unito, mettendo potenzialmente in imbarazzo il Paese sulla scena mondiale. Ha aggiunto che i costi dell’inazione sono intollerabili, ma che abbiamo la possibilità di scegliere come agire. Ha affermato che lo zero netto può essere raggiunto solo in un modo che dia vantaggi al popolo britannico, aggiungendo di aver demolito i piani sulle pompe di calore e sull’efficienza energetica che sarebbero costati alle persone migliaia di sterline. Ha anche evidenziato il suo nuovo piano naturalistico, che è stato stroncato dalla critica. Nonostante ciò, ha detto agli altri Paesi che la scienza e le prove dei disastri legati al clima dimostrano che non ci stiamo muovendo abbastanza velocemente, e ha aggiunto che tutti possono fare di più. Ha invitato i principali emettitori (la Cina?) a ridurre le emissioni più rapidamente e ha affermato in maniera contradditoria che, secondo lui, il Regno Unito è il primo della classe. Abbiamo fatto abbastanza, la sua filosofia, non è ammissibile se il Regno Unito è e vuole restare il Paese guida. Le critiche interne sono feroci, anche qui a Dubai.
Emmanuel Macron, presidente della Francia, ha fornito un’analisi lunga ed esauriente dei numerosi cambiamenti che devono essere apportati alle strutture internazionali affinché l’azione sul cambiamento climatico possa essere ottimizzata. Il suo intervento si è concentrato sui percorsi di decarbonizzazione nel mondo e ha sottolineato la disfunzione dei sistemi di investimento che li gestiscono. Ha chiesto una completa inversione di marcia sulla questione del carbone, con i Paesi del G7 che devono dare l’esempio e impegnarsi a porre fine al carbone. La Francia chiuderà tutti gli impianti entro il 2027, ha promesso, e i Paesi più ricchi dovranno aiutare i Paesi in via di sviluppo a eliminare gradualmente il carbone. Ha affermato che il mondo deve anche smettere di sovvenzionare nuove centrali elettriche a carbone e deve cambiare le regole quando si tratta di finanziamenti privati: il settore privato non ha disincentivi e i nostri sistemi di investimento sono disfunzionali. Vuole che l’Organizzazione mondiale del commercio ridisegni le regole del commercio internazionale per consentire ai Paesi di sovvenzionare le industrie green e imporre tariffe sul carbone.
Il presidente di Cipro ha dichiarato al vertice che il suo Paese sta sperimentando gli effetti del cambiamento climatico, tra incendi, inondazioni e ondate di caldo estreme, con effetti devastanti sui mezzi di sussistenza. L’iniziativa sul cambiamento climatico nel Mediterraneo orientale e nel Medio Oriente sta lavorando a una risposta coordinata in tutta la regione. Uniamoci per costruire imprese e comunità resilienti e verdi del futuro, ha chiesto.
Pedro Sánchez, neo-presidente della Spagna, ha affermato che è necessario applicare il principio che chi inquina paga per le distruzioni che provoca.
Il primo ministro olandese, Mark Rutte, ha esortato all’azione, in particolare a nome dei giovani di tutto il mondo, e riconosciuto che la decarbonizzazione nei Paesi Bassi è stata complicata.
Il primo ministro del Giappone, Fumio Kishida, ha accolto con favore i piani del vertice per concludere il primo bilancio globale in assoluto, ma il mondo non è ancora sulla strada verso gli 1,5 °C. Ha delineato i piani finanziari ed energetici del Paese per la transizione, compreso l’obiettivo di rendere l’energia rinnovabile la sua principale fonte di energia: il Giappone è di fatto il terzo mercato mondiale per l’energia solare.
Il nuovo accordo sull'alimentazione e l'agricoltura
I leader mondiali hanno firmato il 1 dicembre una Dichiarazione sulla trasformazione dei sistemi alimentari, la prima risoluzione della Cop che affronta direttamente la relazione simbiotica tra ciò che mangiamo e il cambiamento climatico. Più di 130 primi ministri e presidenti si sono così impegnati per un’agricoltura sostenibile, sistemi alimentari resilienti e l'azione per il clima: il primo impegno nel suo genere ad adattare e trasformare i sistemi alimentari come parte di una più ampia azione per il clima.
La dichiarazione non contiene impegni giuridicamente vincolanti. Inoltre, non ci sono obiettivi o misure chiare per affrontare le principali questioni legate al clima, come l’enorme quantità di sprechi alimentari in alcuni Paesi, il consumo eccessivo di carne prodotta industrialmente e di alimenti trasformati e l’enorme impronta di combustibili fossili dell’industria alimentare.
Tuttavia, è incoraggiante vedere che i sistemi alimentari stanno finalmente prendendo il loro posto al centro dei negoziati sul clima e ai più alti livelli di governo. Non possiamo raggiungere i nostri obiettivi climatici globali senza un’azione urgente per trasformare il sistema alimentare industriale, responsabile di un terzo delle emissioni di gas serra, proveniente soprattutto dall’agricoltura industrializzata, in particolare da bestiame e fertilizzanti. Ma anche se questo è un primo passo essenziale, il testo dell’accordo rimane molto vago e mancano evidentemente azioni specifiche e obiettivi misurabili.
Gli oltre 100 Paesi che hanno firmato la dichiarazione si sono impegnati a includere il cibo e l’uso del suolo nei loro contributi determinati a livello nazionale (Ndc) e nei piani nazionali di adattamento entro la Cop 30 nel 2025. Attualmente, oltre il 70% degli Ndc sono privi di un’azione adeguata sui sistemi alimentari anche dove c’è un reale potenziale per affrontare le emissioni e sbloccare i finanziamenti per il clima.
La crisi climatica sta già incidendo sull’agricoltura e sulla sicurezza alimentare, poiché eventi meteorologici estremi come inondazioni, siccità, ondate di caldo e incendi e impatti a insorgenza lenta come l’innalzamento del livello del mare e la desertificazione alimentano la crescita dei prezzi e le carenze alimentari nei Paesi di tutto il mondo.
Lungi dall’essere perfetta, la dichiarazione innovativa è stata accolta con favore dai piccoli agricoltori e dagli agricoltori indigeni che producono un terzo del cibo mondiale, così come dagli attivisti per il diritto all’alimentazione, dalle associazioni di consumatori e dai gruppi di piccole imprese.
La dichiarazione rappresenta una pietra miliare sulla strada verso un sistema alimentare più resiliente e sostenibile. Ora i governi devono collaborare con le reti di agricoltori familiari per garantire che queste promesse siano tradotte nelle politiche concrete e nei finanziamenti necessari per sostenere i produttori su piccola scala e promuovere il passaggio ad un’agricoltura più diversificata e rispettosa della natura, che è necessaria per salvaguardare la sicurezza alimentare.
L’International institute for environment and development (Iied) ha dichiarato che questo accordo è un primo passo provvisorio per affrontare uno dei problemi più spinosi della crisi climatica: i sistemi alimentari. È sconcertante che per così tanto tempo non vi sia stato l’obbligo di includere questo settore nei piani di riduzione delle emissioni. I sussidi governativi sostengono da tempo gli effetti inquinanti dell’agricoltura su larga scala, agendo come un freno nascosto all’azione per il clima. Questi incentivi dovrebbero essere reindirizzati in modo tale da consentire alle persone e alla natura di prosperare.
Secondo altre voci la dichiarazione non definisce come i governi affronteranno le emissioni alimentari e non fa alcun riferimento ai combustibili fossili, nonostante i sistemi alimentari rappresentino almeno il 15% dei combustibili fossili bruciati ogni anno, equivalenti alle emissioni di tutti i Paesi dell’Ue e della Russia messi insieme. Tuttavia, l’impegno a integrare cibo e agricoltura nei piani d’azione nazionali per il clima è benvenuto e atteso da tempo.
di Toni Federico, coordinatore del Gruppo di lavoro "Energia e Clima" (Goal 7-13) dell’ASviS e del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Gli approfondimenti completi sono disponibili sul sito della Fondazione.
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Fonte immagine: Ansa (2023)