Cop 28: una finestra quotidiana sul grande incontro sul clima
3 dicembre, salute e pace, resilienza e benessere
Alla Conferenza Onu sul clima si è tenuta per la prima volta una Giornata della Salute. Rilevate contraddizioni a causa delle difficoltà sempre maggiori di raggiungere un accordo sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili. 4/12/23
I leader se ne sono andati con i loro jet e la Cop 28 prende il passo incerto ed estenuante che le è proprio. Ufficialmente da ora in poi le giornate sono tematiche. Quella del 3 dicembre è stata “Health, relief, recovery and peace”. Soprattutto sull’ultimo punto, la pace, non si capisce bene cosa si possa fare alla Cop 28, specialmente in un contesto di agibilità ridotta per le manifestazioni. Riferisce il Guardian che centinaia di persone, vestite di bianco, si sono riunite per chiedere un cessate il fuoco in occasione di un evento di solidarietà palestinese. Le regole dell'Unfccc vietano le bandiere o qualsiasi menzione di Paesi. L'evento è iniziato con la lettura dei nomi di alcuni degli oltre 15mila palestinesi uccisi da Israele a partire dal 7 ottobre, da due giovani organizzatori, che piangevano mentre invocavano i nomi di neonati, bambini e anziani. “Siamo venuti qui come movimento per condannare l’occupazione, l’apartheid, il silenzio del mondo”, ha detto l’organizzatrice, una volontaria colombiana per la giustizia climatica.
La Cop 28 ha ospitato la prima Giornata della Salute in assoluto alla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, in collaborazione con la World metereological organization (Wmo). Nel primo giorno dedicato alla salute in un vertice sul clima, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) è impegnata in una missione per far capire ai politici che la crisi climatica è una crisi sanitaria. Nessuno lascerà questa Cop dicendo che non sapeva che la salute fosse compromessa, hanno dichiarato. Non si tratta solo di clima, orsi polari e ghiacciai, ma dei nostri polmoni. I combustibili fossili uccidono milioni di persone ogni anno solo a causa dell’inquinamento atmosferico che provocano. Dovremmo creare per ogni singolo sindaco del mondo, e ogni singolo primo ministro, un protocollo di controllo sanitario in cui li rendiamo responsabili di tutte le decisioni che prendono in termini di salute e lo stesso vale per i negoziatori della Cop. Il Green climate fund (Gfc), il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) e l’Oms uniscono le forze per aumentare il sostegno alla salute per i Paesi in via di sviluppo. Con una sovvenzione di 1,5 milioni di dollari del Gfc, uno identico da parte dell’Undp e dell’Oms, spiccioli, questo programma istituirà lo strumento di co-investimento per il clima e la salute. Inoltre, il Gcf e il Global fund, i due maggiori fondi multilaterali rispettivamente per il clima e la salute, uniranno le forze per affrontare l’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute. A Dubai sono cinque i temi chiave della giornata:
- mettere in luce una base di prove e chiari nessi tra cambiamento climatico e salute umana.
- Promuovere argomenti sanitari a favore dell’azione per il clima e i benefici collaterali della mitigazione per la salute.
- Evidenziare esigenze, barriere e migliori pratiche per rafforzare la resilienza climatica dei sistemi sanitari.
- Identificare e ridimensionare le misure di adattamento per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute umana, anche attraverso l’approccio One Health.
- Agire sul nesso tra salute e benessere, ripresa e pace.
Alla vigilia della Giornata della salute, un Rapporto Xdi ha rivelato che, a meno che i combustibili fossili non vengano gradualmente eliminati, un ospedale su 12 in tutto il mondo è a rischio di chiusura totale o parziale perché non assicurabile ai livelli attuali di rischio climatico. Un promemoria da parte del Brasile (il Globo) segnala 200mila casi di malattie diarroiche durante la siccità in Amazzonia perché i bassi livelli dei fiumi portano ad una minore qualità dell’acqua e al degrado della foresta Amazzonica di cui i popoli indigeni sono le vittime.
Per affrontare i disastri naturali, secondo un Rapporto Onu presentato il 3 dicembre alla Cop 28, 101 Paesi si sono dotati di sistemi di allarme rapido per inondazioni, siccità, tempeste, ondate di caldo e altre minacce, sei in più rispetto allo scorso anno e il doppio rispetto al 2015. In occasione della presentazione del Rapporto, i Paesi si sono impegnati a fornire finanziamenti aggiuntivi per aiutare a espandere questi sistemi, tra cui 8 milioni di euro dalla Francia, 6 milioni di euro dalla Danimarca e 5 milioni di euro dalla Svezia, tutti nel quadro del sostegno finanziario all’adattamento, argomento che, fino a questo momento, è stato la Cenerentola della Cop 28.
Global stocktaking
Non ci sono notizie incoraggianti da questa sezione cruciale del negoziato. I leader ne hanno parlato poco o niente nei primi due giorni ed ora la Cop si trova a fronteggiare le ben note ed inconciliabili contraddizioni. Nuovi dati, confermati da inchieste di stampa, stanno dimostrando che i Paesi e le aziende non riescono a comunicare accuratamente le proprie emissioni, nonostante gli impegni presi con i contributi determinati a livello nazionale (Ndc) e dai privati. Tra i Paesi ricchi spicca il caso dell’Australia, grande consumatore del proprio carbone ed esportatore netto, che ha sottoscritto l’impegno di triplicare la capacità energetica rinnovabile entro il 2050, ma il suo ministro del clima ha rifiutato di dire se il Paese spingerà affinché nel documento finale della Cop 28 venga inclusa una clausola sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili. L’Australia è stata uno dei governi più recalcitranti nei colloqui sul clima, bloccando i progressi verso la riduzione dell’uso di combustibili fossili. Con il nuovo governo laburista le cose dovrebbero migliorare, ma il punto di partenza è disastroso. En passant l’Australia vorrebbe ospitare la Cop 31.
Phase-out dei fossili
Al Jaber, presidente degli Emirati Arabi Uniti della Cop 28, ha dichiarato in una riunione (The Guardian) che non esiste alcuna scienza che dimostri che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili sia necessaria per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C sopra i livelli preindustriali. Si tratta di negazionismo puro. Secondo lui l’eliminazione graduale dei combustibili fossili non consentirebbe lo sviluppo sostenibile a meno che non si voglia riportare il mondo all’età delle caverne, il più antico dei luoghi comuni dell’industria dei combustibili fossili. Tanto è bastato perché da autorevoli soggetti, non solo del mondo della ricerca scientifica, sia arrivata una richiesta di dimissioni di Al Jaber.
Un gran numero di compagnie oil&gas ha sottoscritto un documento per la decarbonizzazione, l’Eni tra queste che, però, non fa cenno della produzione e del consumo del loro prodotto fossile, ma solo dei processi di estrazione e distribuzione. L’impegno è volontario e non ci sono né obiettivi né tempi. In tal modo l’iniziativa è ininfluente per il Global stocktake. Di positivo c’è che la Norvegia ha annunciato che non finanzierà più progetti fossili.
Alla luce dei commenti di Al Jaber, secondo il Lancet countdown, la giornata della salute sembra una completa ipocrisia. È un enorme tradimento invitare la comunità sanitaria al tavolo ma ignorare tutti gli avvertimenti e la scienza che sottolineano quanto disastrosi siano gli impatti dei combustibili fossili sulla nostra salute e sul nostro futuro. Un risultato che non affronti la progressiva eliminazione dei combustibili fossili sarebbe un risultato fallimentare.
Una docente della Università di Melbourne ha dichiarato che non ci si può aspettare che le foreste e la natura rimuovano il carbonio e risolvano la crisi climatica e poi suggerire che i combustibili fossili non debbano essere gradualmente eliminati. L’esistenza futura delle foreste dipende dalla nostra capacità di porre fine alle continue emissioni. Al proposito un nuovo studio mappa le minacce dei combustibili fossili agli hotspot della biodiversità, nominalmente classificati come aree protette. A livello globale, almeno 918 aree protette subiscono progetti di estrazione di combustibili fossili in corso o pianificati all’interno dei loro confini, con un totale di 2.337 progetti di estrazione di petrolio, gas e carbone attivi o proposti all’interno di aree legalmente protette.
In questo scenario, raggiungere un accordo sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili è sempre più difficile. C’è da fare i conti su ciò che i Paesi in via di sviluppo considerano la doppiezza e l’ipocrisia dei Paesi sviluppati. Al meeting del 2 dicembre del gruppo G77+Cina che rappresenta 135 Paesi, il presidente cubano ha denunciato i doppi standard dell’Occidente sui combustibili fossili: spingono per il phase-out globale dei fossili e aumentano la loro produzione fossile mangiandosi il carbon budget. Tuttavia, non tutto fila liscio tra i Paesi in via di sviluppo, i piccoli stati insulari vogliono il phase-out mentre gli stati arabi no. Si fa il caso dell’Oman che fa l’80% del Pil con il petrolio, dichiara che tutti i nuovi progetti energetici saranno rinnovabili per ridurre le emissioni del 21% entro il 2025 rispetto al 2022, ma il green riguarda solo la produzione mentre i consumatori dovranno pensare loro a cavarsela con la Ccs. Il ministro dell’ambiente dell’Oman ha detto candidamente che finché ci sarà una domanda di combustibili fossili, le nazioni arabe continueranno a produrli.
Finanziamento e mercato del carbonio
Riguardo alle condizioni del Green climate fund, ad un decimo dei 100 miliardi di dollari all’anno promesso, possiamo registrare che l’Italia farà la sua parte, con 300 milioni di euro (Meloni) e che la vicepresidente americana Kamala Harris ha promesso un contributo di 3 miliardi di dollari da parte degli Stati Uniti, sempre che il Congresso lo consenta. Scomparso il discorso dei fondi e dell’obiettivo globale unico per l’adattamento. La Svizzera (Ecco) ha promesso 17 milioni di euro. C’è il rischio che molti dei Paesi donatori equivochino sugli impegni per perdite e danni figurandosi che siano fondi per l’adattamento.
Il 4 dicembre si tiene l’Adaptation Fund High-Level Contributor Dialogue. L’obiettivo 2023 è di 300 miliardi di dollari. L’Italia non ha soldi per il proprio Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) e dovrà ammetterlo nel Gst, come potrà contribuire al fondo? Secondo la McKinsey&Co la decarbonizzazione dell’economia globale necessaria per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050 richiede 9,2 trilioni di dollari di spesa media annua in beni fisici.
Il Fondo per le perdite e i danni ha raggiunto la cifra di 655,9 milioni di dollari. Mancano però regole, obiettivi e target per passare dalla elargizione occasionale ad un finanziamento strutturale. Una iniziativa patrocinata dalla Francia ha proposto di fare ricorso alla tassazione sul carbonio. A tal proposito sono apparsi nuovi testi negoziali sulle regole del mercato del carbonio dell’accordo di Parigi. Secondo lo Ieta, quasi l’80% dei Paesi che fanno affidamento sui mercati del carbonio e sull’offsetting per rispettare gli obblighi di Parigi giocheranno un ruolo importante nel garantire il successo complessivo dell’accordo. Una volta operativo il mercato del carbonio, i grandi inquinatori come il Regno Unito e l’Arabia Saudita potranno acquistare crediti di carbonio da Stati con importanti pozzi di carbonio come Brasile e Indonesia per raggiungere i propri obiettivi nazionali. Alcuni osservatori temono che regole deboli su ciò che conta come credito di carbonio potrebbero significare che i Paesi finiscano per scambiare aria calda per soddisfare i propri Ndc mentre il pianeta continua a riscaldarsi. Altri temono che se le regole saranno troppo restrittive, i finanziamenti per il clima non arriveranno. Una questione chiave è quali Paesi sono autorizzati a commerciare. Se un Paese decide di non estrarre petrolio, dovrebbe ottenere crediti di carbonio? Se uno stato ripristina vaste aree di foresta o elettrifica la rete di trasporti di un altro Paese, come dovrebbe essere conteggiato? L’elenco dei potenziali problemi è lungo e i negoziatori stanno facendo fatica a trovare una risposta.
di Toni Federico, coordinatore del Gruppo di lavoro "Energia e Clima" (Goal 7-13) dell’ASviS e del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Gli approfondimenti completi sono disponibili sul sito della Fondazione.
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Fonte copertina: World Meteorological Organization, da flickr.com