Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Progetti e iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Niccolò Gori Sassoli.
Scopri di più sull'ASviS per l'Agenda 2030

The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Approfondimenti

Gen-Z e lavoro: come conquistare i talenti più giovani nel “new normal”

di Gonzalo Riera-Ripoll, Rebecca Gabbi, Ruben Vermierdt, Zakaria Bekkali

Cosa cercano ragazze e ragazzi nel mercato del lavoro? Più responsabilità e autonomia, e servono leader in grado di creare senso di connessione e appartenenza.

15 aprile 2022

“Questa tendenza verso una maggiore flessibilità potrebbe essere permanente” afferma Karin Kimbrough, capo economista di LinkedIn. Dopo due anni di distanziamento sociale, lockdown e vita da remoto, le persone in cerca di lavoro hanno rivalutato le proprie esigenze. Non è più tempo di pendolarismo cinque giorni a settimana, riunioni necessariamente di persona e orari di lavoro rigidi: la crescente tendenza del modello di caring-life-work sfuma i confini tra le iniziative strettamente aziendali e il benessere dei singoli dipendenti. 

Questa inversione di trend, definita da Karin come un “Great reshuffle” (grande rimpasto) è particolarmente diffusa tra i giovani e futuri lavoratori. Secondo il World economic forum, più della metà dei giovani tra i 18 ed i 25 anni stanno già considerando le dimissioni. Quindi noi giovani lavoratori cosa cerchiamo nel mercato del lavoro? E, cosa più importante, come possono cercare le aziende di adattarsi alle nostre esigenze? 

L’iniziativa di benessere più desiderata è senza dubbio la creazione di una cultura di leadership volta alla valorizzazione dei dipendenti. Noi giovani diamo grande valore all’accettazione degli sbagli, delle difficoltà ed insicurezze sul posto di lavoro. Un contesto aziendale basato sulla fiducia e sul sostegno reciproco, piuttosto che sul sospetto rende più facile l’introduzione di nuove prospettive e lo scambio di opinioni, indipendentemente dalla differenza di anzianità tra colleghi. 

Inoltre, essere in grado di comunicare liberamente il nostro bisogno di equilibrio tra vita personale e lavoro va di pari passo con trasparenza e flessibilità, due tra i valori più rivendicati dalla nostra generazione.

Mentre molteplici aziende stanno già facendo passi significativi verso una maggiore elasticità, altre stanno riscontrando forti difficoltà. Da un sondaggio che abbiamo lanciato in vista di uno dei webinar della serie “Be smart be equal”, tenutosi lo scorso dicembre, risulta che il 68% degli intervistati considera la maggior parte delle aziende incapaci di realizzare gli obiettivi prefissati in materia di benessere al lavoro. Crediamo che questo possa essere dovuto all’orizzonte ristretto delle iniziative proposte. Un pass gratuito per la palestra, ad esempio, offre sicuramente un momento di svago dal lavoro ai dipendenti, ma ciò che davvero conta è che, una volta tornati alle scrivanie dal tapis roulant, vi siano leader in grado di creare un senso di connessione ed appartenenza. 

È proprio questa mancanza di connessione e di appartenenza che spinge molti giovani lavoratori a dimettersi. Per entirci valorizzati, noi giovani chiediamo alle aziende di darci più responsabilità e autonomia, sfidando la mentalità vecchio stampo secondo cui i nuovi arrivati devono guadagnarsi il diritto di esprimere le proprie idee. E spesso è proprio perché i giovani si ritrovano costretti ad aspettare il loro turno per avere un po’ visibilità che la leadership non riesce a intercettare e sfruttare al meglio le nuove tendenze di mercato, come ad esempio i canali digitali di vendita e gli influencers, ormai fondamentali per sopravvivere alla competizione in un mercato che si sta progressivamente spostando verso il metaverso. 

Alcune imprese hanno affrontato questo problema creando uno “shadow board”, ovvero un comitato di dipendenti che supportano i dirigenti su iniziative strategiche. Gucci, ad esempio, ha creato uno shadow board composto da Millenials che dal 2015 incontrano regolarmente il senior team. Negli ultimi anni, le vendite Gucci sono cresciute del 136%, un aumento spiegato in gran parte dal successo delle strategie digitali della casa di moda italiana. C’è dunque anche un forte argomento economico perché le aziende si convincano a valorizzare le intuizioni dei più giovani e diversificare il bacino di idee e prospettive a cui i dirigenti sono esposti. 

Questo confronto intergenerazionale non dovrebbe tuttavia limitarsi a questi board, ma dovrebbe consolidarsi come fondamento della cultura di un’organizzazione, a partire dai team.

Fuori dall’università, comprendere e adattarsi ai meccanismi del mondo professionale non è scontato, nessuno te li insegna prima di laurearti. E così ci ritroviamo con la paura di non soddisfare le aspettative e di essere puniti per un errore, dimenticandoci che in fin dei conti coloro che oggi siedono ‘ai piani alti’ erano una volta nella nostra stessa posizione, con gli stessi dubbi e timori. Spetta dunque alla leadership creare un ambiente più permissivo, dove le persone possano sentirsi libere di sbagliare, ammettere ed imparare dagli errori, senza temere di essere ridicolizzate o ricevere reazioni negative. 

La parola d’ordine qui, sempre più diffusa nell’ambito della diversità e dell’inclusione, è psychological safety, o sicurezza psicologica, che può essere descritta come l’insieme di comportamenti, stili di leadership e strutture organizzative che promuovono inclusione, appartenenza e rispetto in un team.  Coniato da Amy Edmondson, professore di leadership ad Harvard, questo termine è stato reso famoso dal progetto Aristotle, con cui Google ha dimostrato che ciò che fa performare bene un team non è necessariamente il giusto mix di competenze, ma la creazione di un ambiente psicologicamente sicuro in cui tutti sono considerati, ascoltati, capiti, e presi in considerazione per le loro idee. Affinché questo accada, è fondamentale che ci siano fiducia reciproca e accettazione collettiva del fallimento, così che ci si senta liberi di fare e ricevere critiche costruttive e comunicare idee incomplete che possano essere sviluppate e arricchite dialogando.

Abbiamo bisogno e vogliamo abbandonare l’idea che una volta entrati in ufficio dobbiamo necessariamente lasciare la nostra vita personale fuori dalla porta ed indossare la maschera del professionista infallibile. Questa convinzione atavica, spesso trasmessa a noi come un consiglio per proteggerci, non fa altro che permettere allo status quo e alle idee dei più forti di imporsi sulle altre e annulla qualsiasi forma di diversità. Quando non si trova un posto adatto a condividere le proprie idee e vederle crescere, la conclusione più naturale per molti giovani come noi è conformarsi silenziosamente alla maggioranza o, sempre più spesso, licenziarsi per cercare un ambiente migliore, in molti casi all’estero dove gli stipendi e le prospettive di carriera sono più interessanti.

Il termine work-life balance ci suggerisce che questi due termini non devono escludersi a vicenda, ma anzi è possibile e necessario garantire che il lavoro sia solo un mezzo e non il fine della nostra vita. Davanti ai trend inarrestabili della sostenibilità, in tutte le sue dimensioni e inclusa quella umana, le imprese sono chiamate ad adottare misure per promuovere un ambiente in cui i dipendenti vedano l’ufficio come uno spazio sicuro per la creatività al contrario di una  ‘escape room’ per 5 giorni a settimana. Se per certi versi è vero e naturale che i giovani abbiano poca esperienza, è altrettanto vero che noi siamo il futuro di oggi e scegliere di includere le nuove generazioni e abbracciarne le prospettive nei processi decisionali dovrebbe cominciare ad essere visto dalle organizzazioni come un prerequisito fondamentale per raggiungere il successo nel medio e lungo termine.

 

"Be smart be equal" è stato un evento organizzato dalle Ambasciate di Norvegia e Svezia in Italia, in collaborazione con Afuture e Global shapers milano con il patrocinio di ASviS e nordic council of Ministers

 


Nella sezione “approfondimenti” offriamo ai lettori analisi di esperti su argomenti specifici, spunti di riflessione, testimonianze, racconti di nuove iniziative inerenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli articoli riflettono le opinioni degli autori e non impegnano l’Alleanza. Per proporre articoli scrivere a redazioneweb@asvis.it. I testi, tra le 4mila e le 10mila battute circa più grafici e tabelle (salvo eccezioni concordate preventivamente), devono essere inediti. 

venerdì 15 aprile 2022

Aderenti