Approfondimenti
L’attività di lobbying e gli obiettivi di sviluppo sostenibile
Le Nazioni Unite, approvando i 17 Obiettivi, hanno compreso che per realizzare un mondo in cui ci siano "Giustizia e Pace”, bisogna agire su processi decisionali inclusivi e partecipativi, dando in questo modo dignità all’attività di lobbying.
Febbraio 2017
L’attività di lobbying non è esplicitamente menzionata all’interno di Agenda 2030 e dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, anche se sono presenti tra i 169 target alcuni rimandi interessanti. In particolare, all’obiettivo 16 “Giustizia e Pace” è legato il target 16.7 “Assicurare un processo decisionale reattivo, inclusivo, partecipativo e rappresentativo a tutti i livelli”, in cui è evidente il riferimento ad un meccanismo che coinvolga tutti gli stakeholder di riferimento ed i portatori di interessi legittimi.
È quindi interessante notare che le Nazioni Unite, approvando i 17 obiettivi, abbiano ben compreso che, per realizzare un mondo in cui siano presenti “Giustizia e Pace”, è necessario agire su processi decisionali inclusivi e partecipativi, dando in questo modo dignità all’attività di lobbying, che diventa un elemento utile a realizzare il mondo sostenibile a cui tutti aspiriamo.
E quindi evidente che l’attività di lobbying abbia molto a che fare con la sostenibilità, proprio perchè legata al target 16.7.
Coinvolgere tutti i portatori di interesse nel processo normativo, attraverso il quale si prendono decisioni su un determinato tema, vuol dire assicurare trasparenza e far conoscere al pubblico i motivi sottostanti una scelta piuttosto che un’altra, secondo il fondamentale concetto di accountability o di responsabilità del proprio operato. Inoltre coinvolgimento significa anche far conoscere la propria posizione su un determinato tema e permettere a coloro che sono toccati da una decisione regolatoria/legislativa di non subirla passivamente, ma di avviare un dialogo con i vari livelli decisionali.
In ultima analisi, coinvolgimento vuol quindi significare il rafforzamento del sistema democratico di un Paese.
Tuttavia, data la sensibilità della discussione sul lobbying ed i rischi legati a possibili conflitti di interesse, è opportuno adottare o rafforzare un sistema di controlli e sanzioni per garantire il massimo della trasparenza a vantaggio della sostenibilità.
In Europa già dal 2011 è presente un registro della trasparenza dell’Unione europea a cui sono iscritti più di 10.000 soggetti tra organizzazioni non governative (l’ASviS stessa è tra queste), aziende, associazioni di categoria, società di consulenza ed università. Sebbene l’iscrizione non sia obbligatoria, ma solo volontaria, ed esistano scarsi controlli per monitorare la veridicità delle informazioni contenute, il registro è un buon punto di partenza perché è in grado di dare alcune indicazioni di massima a chi lo consulta. Vengono infatti indicati il numero delle persone accreditate e quanto viene speso per svolgere l’attività di lobbying, anche se, per l’appunto, tali dati sono a volte inesatti o incompleti.
Inoltre, l’iscrizione al registro permette di essere aggiornati sull’apertura di consultazioni relativi a progetti legislativi in essere ed eventualmente prendervi parte, presentando posizioni e proposte. Da ultimo, sempre a livello comunitario, è possibile reperire dati relativi agli incontri svolti tra le lobby ed esponenti della Commissione europea (sia Commissari che staff). Combinando l’iscrizione al registro, la possibilità di partecipare a consultazioni con le informazioni relative agli incontri con la Commissione, emerge con chiarezza come si stia cercando di perseguire l’obiettivo di garantire un processo decisionale inclusivo e partecipativo a tutti i livelli, soddisfacendo il target 16.7 relativo all’obiettivo di sviluppo sostenibile “Giustizia e Pace”.
In Italia purtroppo non esiste ancora una completa e chiara regolazione. Sono in essere alcuni lodevoli tentavi come l’Istituzione di un registro della trasparenza presso il Ministero dello Sviluppo Economico a settembre 2016, che conta circa 130 organizzazioni coinvolte, o la recentissima adozione di un regolamento sui lobbisti presso la Camera dei deputati, che finalmente regolerà gli accessi dei portatori di interesse in Parlamento.
Ma tutto ciò non basta ancora: manca infatti un impianto corale, in grado di normare in maniera chiara ed univoca l’attività e prevenire, o perlomeno limitare, conflitti di interesse ed abusi.
In Parlamento giacciono abbandonati numerosi disegni di legge in materia, frutto di confronti aperti con i lobbisti; tali progetti, però, in mancanza di una chiara volontà politica rimangono lettera morta.
E questa situazione risulta tanto più paradossale se si considera che esistono numerose disposizioni nazionali o prassi legislative comunemente adottate, che vanno invece in direzione opposta. Ci si riferisce in particolare alle norme, purtroppo quasi sempre disattese riguardanti l’AIR (Analisi di impatto della regolazione), che dovrebbe essere svolta a monte e a valle dell’approvazione di provvedimenti normativi del Governo, per misurare effetti e risultati anche attraverso un processo di ascolto dei soggetti che da queste stesse disposizioni sono toccati.
O ancora si considerino le audizioni parlamentari e le indagini conoscitive, che altro non sono se non delle alte forme di democrazia aperta in cui, rispettando la massima einaudiana del “conoscere per deliberare”, il legislatore si dispone all’incontro con i soggetti coinvolti per capire il loro punto di vista e tenerne conto nel momento in cui avviene la decisione.
ASviS stessa, con la regia di Astrid, uno dei principali think tank italiani e proprio associato, ha da poco avviato un gruppo di lavoro che mira a fare proposte sul tema dell’AIR, volto ad includere nell’analisi anche il tema della sostenibilità, in modo che per ogni proposta legislativa possa essere fatto, sulla base di parametri prestabiliti, un vaglio vero e proprio, che permetta di comprendere quanto essa sia in linea con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile.