Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Progetti e iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Niccolò Gori Sassoli.
Scopri di più sull'ASviS per l'Agenda 2030

The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Approfondimenti

La pratica del riutilizzo da priorità astratta deve trasformarsi in una misura concreta

di Alessandro Giuliani, Occhio del Riciclone

Il settore del riutilizzo è in grado di raccogliere le future sfide di mercato. Il sostegno che chiedono gli operatori dell’usato parte dalla corretta classificazione delle loro attività e dalla sistemazione di una serie di storture legislative.

21 aprile 2023

Il settore del riutilizzo italiano è particolarmente vivo, variegato e innovativo. Si basa, da una stima di Rete Onu, sul lavoro di circa un milione di addetti dell’usato che nel corso degli ultimi decenni hanno saputo reinventarsi e adattarsi ai nuovi stili di vita e modelli di consumo, oltre che su svariate decine di piattaforme che, negli ultimi anni, si sono sviluppate esclusivamente online.

Queste piattaforme online sono principalmente degli strumenti che permettono di far incontrare i privati, i quali andranno ad effettuare un’operazione peer to peer: diversamente quindi da un operatore dell’usato che svolge un’attività di intermediazione tra privati oppure di acquisto e rivendita. Possiamo dunque affermare che in Italia, per un consumatore, reperire un bene usato è molto facile: libri, vestiti, mobili, elettrodomestici, oggettistica e quant’altro sono a disposizione a ottimi prezzi nei tremila negozi dell’usato conto terzi, nei numerosissimi mercatini di piazza, presso i punti vendita dell’economia sociale, oppure direttamente da una piattaforma online.

Peraltro, molti operatori dell’usato si sono evoluti strutturando proposte online di “local e-commerce”, attraverso il quale i clienti, prima di visitare i negozi, sanno già esattamente quali sono gli articoli che troveranno e in molti casi li possono prenotare direttamente.

In questo settore, far sì che l’offerta incontri la domanda non è un lavoro semplice.

Gli operatori devono conoscere alla perfezione le esigenze dei loro clienti, saper approvvigionarsi delle merci giuste, creare i giusti assortimenti nelle loro esposizioni, azzeccare il prezzo di ogni singolo pezzo e avere il pieno controllo dei flussi stagionali in base ai quali le persone si disfano dei loro beni.

Nel caso delle piattaforme online di scambio diretto tra privati la difficoltà maggiore è invece quella di proporre uno strumento di facile utilizzo che ingaggi il maggior numero di contatti, ma senza applicare provvigioni di alcun tipo e vivendo solo di pubblicità. Uno schema che ha permesso loro di crescere esponenzialmente negli ultimi anni ma senza basarsi su una formula che finora abbia dimostrato di potersi sostenere economicamente; finora quindi tutto si basa sulla volontà degli investitori di continuare a puntare su questo modello, il cui futuro è però un’incognita. 

Al di là di queste considerazioni, si può ragionevolmente affermare che la tendenza attuale del mercato del riutilizzo è oggi rappresentata da un mix di online e offline dove il know how professionale degli operatori del riutilizzo e l’efficacia dell’online costituiscono un patrimonio indispensabile perché l’economia del riutilizzo prenda finalmente piede.

Eppure il settore del riutilizzo, in particolar modo quello degli operatori dell’usato, tende a essere ignorato dalle istituzioni, le quali tendono a voler inventare qualcosa di nuovo, basandosi sulla percezione che il settore del riutilizzo non sia strutturato e soprattutto non concorra ad un’importante quota di riutilizzo. Dalle stime di Rete Onu il settore del riutilizzo reimmette però sul mercato, già oggi, circa 500 mila tonnellate annue di oggetti riutilizzabili che potrebbero essere raddoppiate con pochi accorgimenti legislativi.

Spesso il riutilizzo viene relegato dalle istituzioni a una sfera ludica e sperimentale, per sostenere la quale sono necessari costanti finanziamenti a beneficio di associazioni o degli stessi Comuni. Questo tipo di formule però, oltre che a essere insostenibili economicamente, non sono in grado di garantire una quota di riutilizzo apprezzabile e continuativa.

Dall’altro lato, chi si occupa di “second hand economy” in modo professionale è, quando va bene, ignorato e quando male è addirittura vessato.

L’economia del riutilizzo non può contare oggi su alcun tipo di agevolazione, per esempio, dal punto di vista burocratico e fiscale.

Il regime agevolato denominato “forfetario” è incompatibile, per legge, con il regime del margine applicabile all’usato. Non potendo adottare il regime forfetario, l’operatore dell’usato deve sostenere direttamente un’Iva del 22%, nonostante l’articolo usato sia un bene post consumo sul quale l’Iva è già stata assolta.

Spesso la Tari (tariffa rifiuti di competenza dei Comuni) imposta a un operatore dell’usato non tiene conto né della valenza ambientale né del fatto che con questa attività non vengono prodotti rifiuti generati da imballaggi. La Tari viene quindi applicata come se il negozio dell’usato fosse una normale attività commerciale. Paradossalmente l’invenduto e il residuo (che in ogni esercizio dell’usato rappresentano una quota strutturale) non possono essere conferiti gratuitamente al servizio pubblico.

Infine, chi si approvvigiona di beni usati grazie allo sgombero locali e li rivende nei mercati deve affrontare una insormontabile quantità di zone grigie che lo condannano all’informalità de facto (riferendosi ai decreti applicativi della riforma del commercio del 1998, le categorie professionali della rigatteria ambulante sono state praticamente depennate dal novero dei lavori legittimi).

Il riutilizzo, inserito all’inizio delle famose “quattro erre”, si trova in cima alla gerarchia dei rifiuti stabilita dalla direttiva europea 98/2008. La sua preferibilità è dovuta a considerazioni di tipo ambientale e sanitario, ma occorre prendere atto che è la migliore opzione anche sul piano della creazione di ricchezza e di posti di lavoro. Inoltre, fa parte della prevenzione dei rifiuti ed è strettamente integrabile alla “preparazione per il riutilizzo”, che è una pratica di trattamento dei rifiuti finalizzata ad alimentare le filiere del riutilizzo e che si trova anch’essa in cima alla gerarchia dei rifiuti stabilita dalla legge.

Con il pacchetto “economia circolare”, ratificato dall’Italia nel 2020 con specifiche modifiche alla legge 152/06, la preparazione per il riutilizzo rientra a pieno titolo tra le operazioni di recupero dei rifiuti e, assieme al riutilizzo, viene indicata come prioritaria per i regimi di responsabilità estesa del produttore.

Nel 2009, pochi mesi dopo la pubblicazione della 98/2008, gli organi legislativi italiani sembravano avere imboccato la direzione giusta per trasformare i princìpi di legge in solida realtà: l’articolo 7 sexies della legge 13/2009 stabiliva che i mercati dell’usato fossero oggetto di specifiche misure di sostegno e incentivazione, in base a specifiche politiche pianificate da Regioni ed enti locali.

Nel 2013 il programma nazionale per la prevenzione dei rifiuti indicava il settore dell’usato come principale riferimento per le politiche di riutilizzo e invitava i legislatori ad abbattere le barriere che ne inibivano lo sviluppo.

Sul piano formale il riconoscimento del settore del riutilizzo era sul punto di toccare l’apice, nella legislatura numero 18, quando ben quattro proposte di legge, firmate da un’ampia gamma di forze politiche, chiedevano un riordino strutturale del settore che includesse norme fiscali, ambientali e relative al commercio, abbattendo le zone grigie e le difficoltà che oggi impediscono agli operatori del riutilizzo di esprimere il loro potenziale, in particolar modo quello ambientale.

Parallelamente, sono andate posizionandosi proposte di promozione del riutilizzo di segno completamente diverso e spesso basate su gravi equivoci tecnici. L’articolo 181, comma 6, del D.Lgs. n. 152/2006 offre ai Comuni la possibilità di istituire spazi di esposizione temporanea di scambio tra privati presso i centri di raccolta dei rifiuti urbani. Questi ultimi andrebbero intesi come spazi aperti dove gli utenti possono scambiarsi beni usati, ma nell’attuale dibattito normativo questo comma di legge viene interpretato come un invito a creare strutturazioni artificiose che si dedichino in modo sistematico a cannibalizzare i flussi che dovrebbero essere destinati agli impianti di preparazione per il riutilizzo. Un’operazione che priverebbe questi impianti degli oggetti maggiormente valorizzabili, che poi sono quelli che apportano sostenibilità economica a tutto il sistema. Questa interferenza sul ciclo dei rifiuti, se applicata in modo sistematico, genererà un enorme flusso parallelo scarsamente tracciabile e monitorabile. Nella strategia per l’economia circolare pubblicata nel 2022 dal Ministero per la transizione ecologica (oggi Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica), il frainteso si aggrava.

Il documento ministeriale dichiara che il settore dell’usato italiano è essenzialmente composto da “realtà del terzo settore”, che si dedicano “all’intermediazione conto terzi”, e che il loro grado di strutturazione non è all’altezza delle sfide dell’economia circolare, non tenendo in considerazione che il settore conta su 100 mila addetti e include ampi segmenti altamente formalizzati e strutturati. Peraltro nel settore del riutilizzo il terzo settore ha un ruolo marginale e non si dedica al conto terzi. Sulla base di queste informazioni sbagliate il Ministero propone che il settore del riutilizzo venga creato ex novo a partire dall’iniziativa dei Comuni mediante lo sviluppo di centri di riuso, mettendo a rischio una filiera già ben strutturata ed efficiente.

Per evitare disastri è auspicabile riannodare con determinazione il percorso avviato nella scorsa legislatura. È quindi necessario un intervento legislativo specifico per il riordino del settore del riutilizzo che dovrebbe mirare a:

  1. a) definire un codice Ateco congruente per tutti gli operatori del settore;
  2. b) rendere efficaci i regimi Iva sulle merci usate;
  3. c) far emergere gli operatori dell’usato ambulanti, con particolare attenzione ai segmenti più vulnerabili;
  4. d) modificare la legge 152/06 per favorire la sinergia operativa tra la gestione dei rifiuti e gli operatori del riutilizzo.

Parallelamente, la strategia nazionale per l’economia circolare dovrebbe essere rivista affinché gli orientamenti sul riutilizzo e sulla preparazione per il riutilizzo siano basati sulla realtà dei fatti e sui numeri che oggi il settore è in grado di esprimere, sia dal punto di vista occupazionale che dal punto di vista ambientale.

 


Nella sezione “approfondimenti” offriamo ai lettori analisi di esperti su argomenti specifici, spunti di riflessione, testimonianze, racconti di nuove iniziative inerenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli articoli riflettono le opinioni degli autori e non impegnano l’Alleanza. Per proporre articoli scrivere a redazioneweb@asvis.it. I testi, tra le 4mila e le 10mila battute circa più grafici e tabelle (salvo eccezioni concordate preventivamente), devono essere inediti.

venerdì 21 aprile 2023

Aderenti