Approfondimenti
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile ed Economia Circolare
Il Goal 12 è chiaro: “Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo”, ma cosa significa andando ad analizzare le singole parole? Una dettagliata analisi semantica permette più di una riflessione.
Aprile 2017
“Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo”.
Così si intitola l'obiettivo n. 12 dei cosiddetti Sustainable Development Goals (SDGs), ovvero gli obiettivi di sviluppo sostenibile lanciati dall'ONU nel 2015, che hanno come orizzonte temporale per il loro raggiungimento il 2030. Suona come un impegno importante e a nostro avviso lo è. Vale la pena, per prima cosa, procedere a un'analisi semantica di questa frase.
Garantire evoca l'assunzione perentoria di una responsabilità a creare le condizioni opportune per il raggiungimento di un obiettivo. Di conseguenza non è corretto interpretarlo in modo riduttivo come un generico impegno a “fare qualcosa”. Questa responsabilità fa capo a ciascun soggetto che, pur con ruoli differenti, agisce all'interno di una comunità sociale, e lo vedremo con più evidenza in seguito. E' un'assunzione di responsabilità che deve avvenire a tutti i livelli, dagli organismi sovranazionali, ai governi degli stati fino ai singoli individui chiamati a offrire il proprio contributo.
Usando il termine modelli si intende riferirsi a sistemi articolati e coerenti dei quali sia comprovata l'efficacia e che abbiano le caratteristiche fondamentali della replicabilità e adattabilità ad ambiti e contesti differenti, assicurando il corretto funzionamento. Ciò fa presupporre che non sia sufficiente mettere insieme azioni virtuose e fra loro slegate e che non rispondono ad un quadro d'insieme coerente.
L'aggettivo sostenibili, riferito ai modelli di cui sopra, è forse il termine che presenta il maggior rischio di ambiguità. Innanzitutto va notato l'utilizzo di un termine assoluto piuttosto che di un'espressione comparativa, come ad esempio “maggiormente sostenibili di quelli attuali”. Se ne deduce che la sostenibilità di tali modelli debba rispondere a precise caratteristiche. Le più importanti sono:
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durabilità nel tempo: è sostenibile un modello che, applicato in modo ciclico e sistematico per un lungo periodo di tempo, produce i risultati attesi senza creare impatti negativi sugli elementi di contesto esterno né in ingresso né in uscita dal modello stesso;
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scalabilità: è sostenibile un modello che può essere applicato su diverse scale o dimensioni mantenendo inalterate le proprie caratteristiche e quelle del contesto in cui è inserito;
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equilibrio: è sostenibile un modello in grado di bilanciare i diversi fattori utilizzati in modo da conservare un'armonia, un equilibrio. Un modello che tende a produrre squilibri e che non risolve al proprio interno questo problema non è sostenibile perché, per quanto piccoli possano essere, gli squilibri nel tempo tenderanno a sommarsi e a determinare fratture in grado di minare il funzionamento del modello stesso.
Infine l'obiettivo 12 indica puntualmente nella produzione e nel consumo, ovvero nell'intero sistema economico, gli ambiti di applicazione di tali modelli sostenibili. E' evidente pertanto l'importanza che assumono le imprese, il mondo della produzione, il cui ruolo va rifondato in funzione della necessità di garantire la sostenibilità. E altrettanto necessario è il cambiamento che si deve verificare nel modello di consumo, ove i comportamenti dei cittadini-consumatori dovranno ispirarsi maggiormente a modelli di sostenibilità sociale e ambientale.
Letto in questi termini si comprende più a fondo come l'obiettivo 12 contempli la messa in discussione profonda del sistema economico che si è venuto consolidando fin qui, basato su un modello di economia lineare.
Tale modello sembra prevedere ai propri estremi una sorta di “terra di nessuno”, dalla quale attingere massicciamente risorse, senza curarsi della loro disponibilità nel lungo periodo, e sulla quale riversare in misura crescente scorie e rifiuti, noncuranti degli impatti e delle conseguenze nel medio e lungo periodo. L'alternativa non può che consistere nel cambiare il modello di riferimento da lineare a circolare.
L'economia circolare rende infatti evidente, già nella sua semplice schematizzazione, che la “terra di nessuno” non esiste ma esiste invece la Terra di tutti, l'unica che abbiamo a disposizione. Quella terra di nessuno è la nostra terra, la nostra aria, la nostra acqua.
Poiché il ciclo di produzione inizia con l'acquisizione di materie prime e risorse naturali è in quel momento che diventa necessario intervenire per ridurre al minimo la pressione esercitata sui sistemi naturali; la risposta dell'economia circolare sono le materie prime-secondarie, ovvero quelle materie già utilizzate in cicli produttivi precedenti, recuperate da scarti e rifiuti e rigenerate per essere reimmesse in un nuovo ciclo di produzione.
Al termine del ciclo, quando si sta per creare il potenziale rifiuto, l'economia circolare prevede di gestire la fine vita di ciascun prodotto con una fase di raccolta, scomposizione e recupero, quanto più ampia possibile, dei materiali che lo compongono in modo da poter essere appunto rigenerati e riutilizzati in nuovi cicli produttivi.
Ma Riciclare non è l'unico assioma su cui si basa il modello dell'economia circolare, è importante menzionarne almeno altri due: Ridurre e Riutilizzare. Se il primo, riciclare, riguarda soprattutto la sfera delle imprese (la produzione) questi ultimi hanno molto a che fare anche con il comportamento di noi cittadini nelle nostre scelte di consumo.
Ridurre significa in primo luogo eliminare gli sprechi. Come cittadini spendiamo una fetta non trascurabile del nostro reddito nell'acquisto di beni che poi non utilizziamo o che diventano troppo presto dei rifiuti. Solo nell'ambito alimentare, ad esempio, si stima che oltre il 25% degli alimenti acquistati dalle famiglie non vengano effettivamente consumati e finiscano nella pattumiera. Ma ridurre significa anche ripensare il nostro approccio come consumatori, ad esempio spostando l'attenzione dal possesso di un bene all'uso dello stesso; un esempio per tutti: utilizzare il car-sharing anziché acquistare un'auto propria.
Riutilizzare significa sostanzialmente allungare la vita dei beni in circolazione, ritardando appunto la loro fine vita, e può avere almeno due applicazioni possibili: la prima è quella di optare per la riparazione di un bene in luogo della sua sostituzione; la seconda è quella di preferire l'acquisto di beni usati o rigenerati, e pienamente efficienti, all'acquisto di prodotti nuovi.
Come si può evincere da quest'analisi sommaria, il modello dell'economia circolare riprende e riabilita molte delle indicazioni che sono alla base della teoria della “decrescita serena”, formulata dal filosofo ed economista francese Serge Latouche e liquidata in passato un po' troppo sbrigativamente, e con toni inutilmente sarcastici, dal pensiero economico mainstream. Tale teoria riemerge inoltre con forza, come critica del modello di produzione e consumo che ha dominato fino ad oggi, anche nella teoria della “prosperità senza crescita” propugnata dall'economista britannico Tim Jackson. Egli indica, fra le diverse misure da adottare proposte per realizzare tale nuovo modello, nientemeno che lo smantellamento della cultura del consumismo.
Certo, se questa è la posta in gioco, l'orizzonte temporale al 2030 indicato dai SDGs dell'ONU è estremamente ravvicinato e implicherà un'accelerazione formidabile nella trasformazione del quadro economico a livello globale, col rischio non trascurabile di gravi contraccolpi. Ma, anche se l'orizzonte temporale in cui tale trasformazione dovrà compiersi fosse più lungo, dobbiamo convincerci che il suo avvio è improcrastinabile, perché la natura non concederà molto altro tempo prima di manifestare, in modo anche drammatico, l'insostenibilità del modello attuale.