Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Altre iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Niccolò Gori Sassoli.
Scopri di più sull'ASviS per l'Agenda 2030

The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Approfondimenti

Facciamo chiarezza: Direttiva Ue contro la violenza di genere, a che punto siamo?

di Virginia Lemme, co-responsabile di “Rete per la parità” dei rapporti con le Università

Attesa ad aprile l’approvazione, ma l’attuale formulazione non soddisfa su stupri e molestie sul lavoro. Un articolo per ripercorrere gli sviluppi del testo e ricordare la necessità di un’Europa compatta per la tutela dei diritti.

2 aprile 2024

La proposta di Direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, il cui iter legislativo è stato avviato l’8 marzo 2022, giungerà ad aprile in Parlamento in seduta plenaria per l’approvazione definitiva.

Potrebbe essere un passo importante per l’Unione europea, in quanto fino a ora non esiste un testo organico volto alla repressione della violenza sulle donne e della violenza domestica. Tuttavia, non soddisfa la formulazione attuale della direttiva, così come modificata in seguito ai negoziati intercorsi tra il Consiglio dell’Unione europea e il Parlamento.

Diverse organizzazioni della società civile hanno mostrato il loro sdegno di fronte alle modifiche decise dal Consiglio. L’associazione italiana Differenza Donna, oltre a lanciare una petizione su Change.org che ha superato le 110mila firme, si è unita alle associazioni femministe di altri Paesi dell’Unione per manifestare l’8 marzo a Bruxelles, davanti al Parlamento europeo, contro l’approvazione di una Direttiva che non comprenda la definizione dello stupro come atto sessuale senza consenso e non consideri le molestie sul luogo di lavoro.

Occorre fare un passo indietro, andando alla genesi della proposta.

L’Ue, nel 2016, ha avviato il procedimento per l’adesione alla Convenzione di Istanbul, terminato solo nel 2023 principalmente a causa dell’opposizione dei sei Paesi membri che non l’avevano ratificata. La Convenzione de qua riconosce che la violenza sulle donne costituisce un crimine contro l’umanità e all’art. 36 introduce l’obbligo per le Parti contraenti di reprimere penalmente gli atti sessuali senza consenso.

L’8 marzo 2022, per evitare che lo stallo nel processo di adesione dell’Ue alla Convenzione di Istanbul pregiudicasse i diritti delle donne, la Commissione Ue ha proposto al Parlamento europeo un testo di Direttiva volto alla repressione della violenza contro le donne e alla violenza domestica. Nella bozza proposta, suddivisa in sette capitoli, si richiedeva agli Stati membri di criminalizzare determinati comportamenti, di adottare misure per proteggere e sostenere le vittime di violenza contro le donne, di prevenire tali violenze, di migliorare l'accesso alla giustizia e di garantire il coordinamento tra le autorità e i servizi competenti. Tra i comportamenti da criminalizzare era previsto lo stupro, individuabile per l’assenza di consenso.

La Commissione aveva inviato il testo al Parlamento che nella prima lettura aveva votato una bozza che includeva 297 emendamenti, al fine di rafforzare le tutele previste. All’interno della bozza come modificata dal Parlamento, lo stupro veniva definito all’art. 5, e considerato presente ogniqualvolta mancasse il consenso, a prescindere dalla costrizione fisica. Il testo proposto dal Parlamento non ha trovato l’accordo nel Consiglio, l’organismo composto dai rappresentanti dei Governi membri dell’Unione europea.

Diverse le motivazioni alla base di tale opposizione. Per alcuni Paesi, tra cui Ungheria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Slovacchia, Lettonia e Lituania, il dissenso non fa altro che confermare la mancata condivisione dei valori e principi enunciati dalla Convenzione di Istanbul, essendo questi i Paesi a non aver ratificato la Convenzione de qua.

Per altri, tra cui Portogallo, Malta, Estonia, Francia e Germania, l’opposizione è stata di carattere “tecnico”, avendo questi sostenuto che la violenza sessuale non rientra tra le competenze dell’Unione europea, sulla base di un’interpretazione restrittiva dell’art. 83 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che comprende, tra i crimini competenza dell’Ue, lo sfruttamento sessuale.

Per quanto riguarda l’Italia, invece, il nostro Paese si è mostrato favorevole all’approvazione della bozza del Parlamento, battendosi fino all’ultimo per far approvare l’art. 5.

Per comporre il contrasto tra Parlamento e Consiglio è stato necessario coinvolgere il Comitato di conciliazione. Il 6 febbraio si è trovato un accordo su un testo che non include la previsione normativa che imponeva la criminalizzazione dello stupro in assenza di consenso, sostituita da un blando obbligo per gli Stati di sensibilizzare i cittadini a riguardo. È stato altresì eliminato l’obbligo di criminalizzare le “molestie sessuali nel mondo del lavoro” e i riferimenti al “genere” e alla “intersezionalità”. L’onorevole Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo e relatrice italiana sulla direttiva, ha esternato il proprio sdegno verso la cancellazione dell’art. 5.

A livello politico, è davvero allarmante l’atteggiamento finora emerso: di fronte alla proliferazione di fenomeni di arretramento democratico, la Comunità europea dovrebbe rappresentare una rete di salvataggio per la tutela dei diritti in generale e quelli delle donne in particolare. Proprio negli ordinamenti in cui i diritti delle donne sono attualmente sotto attacco, una presa di posizione forte da parte dell’Unione europea potrebbe fornire una corazza nei confronti degli attacchi perpetrati dal legislatore nazionale. La Direttiva contro la violenza, qualora approvata, entrerebbe nei singoli ordinamenti nazionali con un rango superiore rispetto alla legge ordinaria. Anche se bisogna ricordare che le Direttive non sono, salvo eccezioni, direttamente applicabili e richiedono il recepimento da parte di ogni singolo Stato.

Il testo nella sua versione attuale non recepisce la vera innovazione portata dalla Convenzione di Istanbul, la cui forza è attribuibile al suo approccio olistico, atto ad individuare e scardinare gli stereotipi di genere che segnano le nostre società. Se la direttiva serviva, in un primo momento, a porre strumenti di tutela che potessero sopperire alla mancata ratifica dell’Ue alla Convenzione di Istanbul, portato a termine il processo di adesione nel 2023, il testo della direttiva dovrà necessariamente essere conforme alla Convenzione de qua. La stessa Cgue ha riconosciuto, nella recente sentenza 621/21, la necessità di interpretare il diritto euro unitario alla luce della Convenzione di Istanbul.

È centrale che la definizione di stupro sia basata sull’elemento del consenso, e non, come avveniva in passato, su quello della violenza. Solo grazie a tale mutamento di paradigma si potrebbe riuscire ad agire sull’applicazione giudiziaria della legge e sugli stereotipi di genere che troppo spesso hanno portato ad un rovesciamento dei ruoli nelle aule dei tribunali, dove le donne che denunciano violenze sono sottoposte alla cosiddetta vittimizzazione secondaria.

La stessa Corte europea dei diritti umani non ha mancato di sottolineare che nel caso della violenza di genere la vera sfida concerne l’effettività della tutela (si richiama, a fini esemplificativi, il caso Rumor c. Italia- Corte Edu, ric. 72964/10). Per garantire la tutela effettiva serve un approccio onnicomprensivo, un fronte comune mostrato da tutte le istituzioni Ue: solo attraverso un’azione congiunta si può tentare di rimuovere e sradicare un fenomeno strutturale che comporta la vasta diffusione della violenza di genere e di quella domestica.

 

Virginia Lemme è co-responsabile dell’associazione “Rete per la parità” dei rapporti con le Università e dottoranda di ricerca in scienze giuridiche presso l’Università di Siena.

 


Nella sezione “approfondimenti” offriamo ai lettori analisi di esperti su argomenti specifici, spunti di riflessione, testimonianze, racconti di nuove iniziative inerenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli articoli riflettono le opinioni degli autori e non impegnano l’Alleanza. Per proporre articoli scrivere a redazioneweb@asvis.it. I testi, tra le 4mila e le 10mila battute circa più grafici e tabelle (salvo eccezioni concordate preventivamente), devono essere inediti.

martedì 2 aprile 2024

Aderenti