Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Progetti e iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Niccolò Gori Sassoli.
Scopri di più sull'ASviS per l'Agenda 2030

The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Archivio editoriali

Le democrazie possono unire gli sforzi per sconfiggere i “bad guys”

Il prossimo “Summit for democracy” indetto da Joe Biden può risolversi in un flop come altre iniziative del passato. Ma c’è un gran bisogno di azioni rafforzate tra i Paesi che hanno valori comuni, contro l’arroganza degli autocrati.

di Donato Speroni

Morire per Taipei? O per Kiev? L’interrogativo ricorda l’agosciosa domanda che circolò nelle democrazie nel 1938, quando Adolf Hitler invase la Polonia. La Storia diede poi la sua risposta: combattere sarebbe stato necessario, non solo per Danzica, ma per salvare l’Europa dal nazismo.

Oggi nessuno in Occidente intende morire per salvare Taiwan dall’invasione cinese o l’Ucraina dall’invasione russa. Il governo di Joe Biden  si limita a inviare nell’isola del Pacifico istruttori militari, per preparare un esercito che comunque non potrebbe resistere neanche un giorno alla potenza cinese, mentre in Europa si minacciano “gravi conseguenze economiche” se Vladimir Putin, dopo essersi annesso la Crimea senza colpo ferire e provocato la scissione del Donbass, dovesse procedere a occupare il resto dell’Ucraina, Paese che comunque non abbiamo avuto il coraggio di far entrare nella Nato per evitare impegni troppo stringenti.

Se si trattasse di una partita a scacchi, si potrebbe dire che ci sono pezzi destinati al sacrificio, soprattutto Taiwan, nonostante la volontà dei suoi abitanti. Ma è giusto che ci poniamo una domanda più generale. I regimi autocratici stanno aumentando di numero e di aggressività. E noi facciamo abbastanza per difendere i nostri valori? Non si tratta più di “esportare la democrazia”, infelice espressione del lessico americano che ha portato al disastro afgano e al mezzo fallimento iracheno, ma di salvaguardare il nostro modo di vivere in un mondo nel quale la democrazia stessa perde terreno.

Tutti i Paesi del mondo hanno firmato nel 2015 l’Agenda 2030 dell’Onu con i suoi 17 Obiettivi. Ma quanti in effetti rispettano il Goal 16 “Pace, giustizia e istituzioni solide” e in particolare i suoi target? Ricordiamone alcuni:

16.3 Promuovere lo stato di diritto a livello nazionale e internazionale e garantire parità di accesso alla giustizia per tutti.

16.5 Ridurre sostanzialmente la corruzione e la concussione in tutte le loro forme.

16.6 Sviluppare istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti a tutti i livelli.

16.7 Assicurare un processo decisionale reattivo, inclusivo, partecipativo e rappresentativo a tutti i livelli

16.10 Garantire l'accesso del pubblico alle informazioni e proteggere le libertà fondamentali, in conformità con la legislazione nazionale e con gli accordi internazionali.

Giustizia, diritti umani, trasparenza delle procedure pubbliche in molti casi sono rimasti sulla carta. Si direbbe che quella firma non ha lasciato tracce nei comportamenti di un numero consistente di Stati, anzi la libertà si è ulteriormente ristretta.

In questi giorni si è levata una voce coraggiosa, che Paolo Lepri sul Corriere della Sera ha paragonato a quella di Davide contro Golia, anche se è da escludere che la fionda del pastorello abbatterà il gigante. Il ministro degli esteri della piccola Lituania Gabrielius Landsbergis

ha aperto a Vilnius un ufficio di rappresentanza di Taiwan, chiamando le cose con il loro nome e irritando a dismisura il regime di Xi Jinping che pretenderebbe la riunificazione della piccola isola con la madrepatria.’ Sono pronto’, ha detto, ‘ad affrontare le conseguenze’.

Landsbergis ha fatto di più: il 19 e 20 novembre ha organizzato a Vilnius “Future of democracy”, un high level forum sulla “resistenza all’autoritarismo”, invitando ministri degli esteri, rappresentanti di organizzazioni internazionali, esponenti della società civile, dell’accademia e dei media liberi. Afferma la presentazione:

I partecipanti si impegnano a sviluppare un insieme di misure politiche concrete che aiuteranno le democrazie ad aumentare la resilienza di fronte all’autoritarismo e a rinnovare la cooperazione democratica in tutto il globo.

Alla riunione ha partecipato il sottosegretario Usa Uzra Zeya, ma non si può dire che l’incontro abbia avuto molta risonanza. Tuttavia, le conclusioni dell’iniziativa del governo lituano verranno presentate a un altro incontro promosso dal presidente americano Joe Biden, il “Summit for democracy”, al quale sono stati invitati i rappresentanti ufficiali di 110 Paesi e che si terrà in forma virtuale il 9 e 10 dicembre.  

È facile immaginare che in un caso come questo le esclusioni fanno discutere più degli inviti. Mancano ovviamente Cina e Russia, ma anche uno storico alleato come la Turchia. Tra gli europei c’è la Polonia, ma non l’Ungheria. Non sono stati invitati i Paesi del Nord Africa, dal Marocco all’Egitto, dall’Algeria alla Tunisia, mentre è fortemente presente l’Africa subsahariana. Per il Medio oriente c’è solo Israele, ma neppure Libano e Giordania.

La lista degli invitati ha scatenato un putiferio. La Cina si è molto irritata per l’invito a Taiwan, ma secondo alcuni commentatori, per esempio Bloomberg news, l’esclusione del Bangladesh e del Pakistan rischia di essere un favore al gigante asiatico che sta corteggiando i due Paesi. D’altra parte qualche confine andava tracciato e sia il Blangladesh che il Pakistan hanno messo in prigione degli oppositori politici.  

Ma andiamo al di là degli inviti e guardiamo alla sostanza. È possibile che le democrazie del mondo rafforzino i loro legami e si pongano obiettivi che vanno al di là di quelli definiti insieme ai regimi autocratici in sede Onu? Ricordiamo che, come ha detto il segretario generale António Guterres dopo il vertice di Glasgow, gli accordi alle Nazioni unite possono essere solo il “minimo comune denominatore” tra Paesi con regimi e interessi molto diversi. Insomma, non molto, come si è visto alla Cop 26, pur senza disprezzarne i risultati. Ma in un consesso limitato alle democrazie è possibile porsi obiettivi più ambiziosi?, cioè porsi obiettivi programmatici comuni più elevati? Questo è il tema del Summit di Biden e non è nuovo. Una Community of democracies è stata fondata a Varsavia nel 2000, esiste ancora (l’Italia fa parte del suo governing council)  e ha anche promosso un incontro di giovani in vista del Summit del 9, ma non ha mai avuto un effettivo peso politico.

C’è da chiedersi, allora, perché si spera di ottenere oggi quello che non è mai stato possibile fare in passato. Una possibile risposta ci viene da un articolo di Anne Applebaum su The Atlantic: “The bad guys are winning”, i cattivi stanno vincendo:

Se il 20º secolo è stato la storia di un progresso lento e irregolare verso la vittoria delle democrazie liberali sulle altre ideologie - il comunismo, il fascismo, il nazionalismo virulento - il 21º secolo è per ora la storia di una tendenza inversa.

Bisogna reagire. Se si guarda a una mappa geopolitica, appare chiaro che gli Stati effettivamente democratici (che cioè non solo fanno votare i loro cittadini, ma che non mettono in prigione giornalisti e oppositori) sono sempre meno. Secondo l’Economist, il ritiro degli Stati Uniti dal suo ruolo di propulsore della democrazia (un ruolo che peraltro aveva portato a molti fallimenti) durante le presidenze di Barack Obama e Donald Trump ha dato spazio a molte midsize menaces, Stati aggressivi e autoritari che pur non essendo superpotenze minacciano l’ordine mondiale.  L’esempio classico è la Turchia, con la sua aggressività in Siria e in Libia e la repressione interna, nonostante la disastrosa situazione economica. Dice il giornale inglese:

Questi Paesi stanno trasformando il mondo in un posto più confuso e più pericoloso. I loro leader non sono liberi da vincoli. Il dittatore della Bielorussia è diventato un fantoccio della Russia. Il Pakistan è fortemente indebitato con la Cina; tutti sono attenti a non impegnarsi in uno scontro militare diretto con l’America. Ma stanno perseguendo la loro agenda; il loro interesse non è quello delle grandi potenze che li appoggiano, è un’agenda nazionale, talvolta molto egoistica. (...)

Gli autocrati amano avere nemici esterni e qualche volta credono anche alla loro propaganda quindi continueranno a cercare avventure militari.

Il mondo insomma sta diventando più pericoloso (non dimentichiamo che per esempio il Pakistan è una potenza nucleare) e il tentativo di stringere rapporti tra le democrazie vuole essere un modo ti rispondere al disordine.

Tra qualche anno si comincerà a parlare di rinnovare l’Agenda 2030 con Obiettivi al 2045 o al 2050 e sarebbe bene che le democrazie si presentassero a questo appuntamento già con uno schema di cooperazione rafforzata che possa fare da guida al resto del mondo. Un’utopia? Forse, ma tante iniziative per cui occorre battersi fanno parte della nostra “utopia sostenibile”, per citare il libro di Enrico Giovannini

Non è certamente un’utopia, invece, il Trattato del Quirinale sottoscritto tra Francia e Italia e che certamente si colloca nel solco di questo necessario rafforzamento della collaborazione tra le democrazie. Registriamo che il testo fa più volte riferimento agli Obiettivi dell’Agenda 2030, vi si legge infatti:

Tenuto conto dell’obiettivo comune di contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, nonché alla tutela e alla promozione dei diritti umani, e di adoperarsi per la tutela dei beni pubblici mondiali, inclusa la salute globale, e la realizzazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, le Parti s’impegnano a sviluppare il loro coordinamento e a favorire la sinergia tra le rispettive azioni a livello internazionale...

Le Parti si adoperano per sostenere e a attuare gli strumenti multilaterali relativi allo sviluppo sostenibile, in primo luogo l’Agenda 2030 delle Nazioni unite per lo Sviluppo Sostenibile, e alla protezione dell’ambiente e del clima, in particolare l’Accordo di Parigi...

La linea di azione deve essere dunque questa: collaborare tra i Paesi che hanno valori più affini, fissare nuovi obiettivi, ma senza mai perdere di vista il contesto generale che deve impegnare, per quanto possibile, tutti i Paesi del mondo.

venerdì 3 dicembre 2021

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