Archivio editoriali
Nel 2024 l’economia africana sarà la più dinamica del globo, dopo quella asiatica. Cina e Usa si contendono le partnership; l’Europa, in ritardo, deve contribuire a dare sostanza all’iniziativa italiana. Società civile: “Un’occasione da non perdere”.
L’Africa è molto più dinamica di quello che normalmente si pensa, e lo dimostrano i dati. Al netto delle sfide strutturali e delle difficoltà finanziarie, nel 2024 la crescita sarà alta: l’incremento annuo del suo Prodotto interno lordo, secondo la Banca africana per lo sviluppo, arriverà al 3,8%. Il rapporto “African outlook 2024”, realizzato dall’Economist intelligence unit, prevede che nel corso di quest’anno il continente africano si affermerà come la seconda regione con la più rapida evoluzione del pianeta (superata solo dall’Asia), e conterà 12 tra le 20 nazioni a maggiore crescita economica. Ancora: il Brookings Institution, nel suo “Foresight Africa 2024”, ha evidenziato le dinamiche positive presenti nel continente, che detiene “il 30% di tutte le risorse naturali e minerarie necessarie per la transizione energetica del pianeta”. Un continente, come ricorda Federico Rampini sul Corriere della Sera, particolarmente “giovane, in un mondo che invecchia” (“il 70% della popolazione è costituito da giovani” ha specificato Hassan Sheikh Mohamud, presidente della Somalia, intervistato dal direttore di Repubblica Maurizio Molinari). Inoltre, è importante tenere conto del peso crescente che il continente africano sta assumendo nei consessi internazionali: non ultima la sua inclusione come membro permanente del G20 tenuto a Nuova Delhi lo scorso settembre e l’acquisizione di un ruolo di primo piano nella lotta contro il cambiamento climatico, confermato dalle dichiarazioni fuoriuscite dal Vertice di Nairobi dell’Unione africana (settembre 2023), a cui ha partecipato anche la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen.
Questi dati, prosegue Rampini, “contraddicono la narrazione dominante in Italia: che vede l’Africa solo come un epicentro di sciagure, sofferenze, ingiustizie, dilaniata tra Apocalisse climatica e ‘bomba migratoria’”. Una visione che, però, trova riscontri nell’altissimo livello di conflitti di cui il continente è epicentro, e nei problemi strutturali legati a malnutrizione, povertà, mancanza di infrastrutture. Questioni particolarmente urgenti per il presente e il futuro, dal momento che la popolazione del continente raddoppierà entro il 2050, e più di un quarto dell’umanità, a quel punto, sarà africana.
L’Africa, dunque, è al centro di un forte interesse (a volte predatorio, altre collaborativo) che stimola investimenti da ogni parte del mondo: in primis Cina, poi Stati Uniti, India, Arabia saudita, Turchia e anche Unione europea. L’Ue, nello specifico, ha inaugurato nel 2021 il Global Gateway, progetto di ampio respiro (e finanziamenti: si parla di 300 miliardi di euro di investimenti entro il 2027) per sviluppare nuove infrastrutture – intelligenti, pulite e sicure – nei settori digitale, energetico e dei trasporti e per rafforzare i sistemi sanitari, di istruzione e di ricerca in tutto il mondo. Un piano che, nei suoi obiettivi, lancia una sfida alla Via della Seta cinese.
DA FUTURANETWORK.EU - AFRICA 2050 TRA EMERGENZA E AMBIZIONE, I POSSIBILI SCENARI DI EVOLUZIONE
Pechino, sul fronte africano, si è mossa con largo anticipo. La Cina coltiva da trent’anni rapporti con il continente africano, relazioni che “hanno pagato in termini di influenza”, come sottolinea Giulia Pompili sul Foglio. Il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha concluso proprio a gennaio un viaggio che lo ha condotto in Egitto, Tunisia, Togo e Costa d'Avorio. Una partnership, quella tra Cina e Africa, che contiene però profonde zone d’ombra. Secondo una ricerca dell'Africa center for strategie studies “lo sforzo della Cina per creare strutture internazionali alternative ha guadagnato terreno. Fra il 2000 e il 2022, i Paesi africani hanno avuto accesso a 170 miliardi di dollari di prestiti cinesi attraverso una rete sempre più complessa di istituzioni create dalla Cina, come il Silk road fund e l'Asia infrastructure investment fund”.
Questi finanziamenti, accettati di buon grado dai leader africani perché profusi a prescindere dal rispetto dei diritti umani, non hanno fatto sempre bene al continente, attivando pericolose spirali di indebitamento. “Mentre alcuni Paesi hanno ottenuto risultati positivi dai loro impegni con la Cina”, si legge sempre nel Rapporto dell’Africa center, “altri, come Angola, Etiopia e Zambia hanno dovuto far fronte a debiti crescenti”. Il sistema cinese, molto criticato, tende infatti a “intrappolare” i Paesi destinatari a causa dei debiti contratti e difficilmente restituibili, incrementando così l’influenza geopolitica cinese sulle nazioni africane.
Gli Stati Uniti, a lungo in ritardo sullo sviluppo di partnership commerciali con l’Africa, stanno provando a riguadagnare terreno con l’amministrazione Biden: Antony Blinken, Segretario di Stato Usa, ha concluso da pochi giorni le sue visite in Nigeria, Capo Verde, Costa d'Avorio e Angola. In Nigeria, nello specifico, come sottolinea sempre Pompili, “Blinken ha promesso più coinvolgimento e una partnership per stabilizzare l'area, una garanzia di sicurezza alternativa a quella dei mercenari della Wagner russi soprattutto nell'area del Sahel e dopo il progressivo disimpegno francese in Niger, com'era già successo in Mali e Burkina Faso”.
È in questo quadro particolarmente complesso che si vorrebbe inserire il Piano Mattei promosso dall’Italia, che potrebbe rafforzare la collaborazione tra Unione europea e Africa. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha chiarito che l’iniziativa è “lontana da qualsiasi tentazione predatoria”, ma anche “da quell'impostazione caritatevole nell'approccio con l'Africa”. Il Piano si muove su cinque pilastri – istruzione e formazione, sanità, agricoltura, acqua ed energia – con alcuni “progetti pilota” che vanno dai centri universitari di eccellenza in Marocco alla produzione di biocarburanti in Kenya.
Una delle perplessità suscitate dal Piano Mattei riguarda i fondi: 5,5 miliardi di euro, di cui 2,5 miliardi dalla Cooperazione allo sviluppo e tre dal Fondo per il clima. Si tratta però di un riutilizzo di fondi già stanziati prima del Piano Mattei, e la scelta del governo Meloni rivela l’assenza di sforzi economici aggiuntivi devoluti al progetto. La quota del Fondo per il clima, ha commentato Giampaolo Silvestri di Avsi (ong impegnata in progetti di cooperazione e sviluppo) sul Corriere della Sera, è particolarmente problematica:
“Ci sono 4,2 miliardi in cinque anni, gestiti dal ministro dell’Ambiente e dalla Cassa depositi e prestiti con il concorso del Mef e del Maeci. Meloni vuole destinarne il 70% all’Africa. Poiché si tratta di prestiti o garanzie, sono destinati alle imprese, ma in questo momento non ci sono grandi progetti di imprese e quindi c’è molto da lavorare per trovare soggetti in grado di spenderli”. Poi, aggiunge: “Sarebbe un peccato non riuscire a utilizzarli: il fatto che il Fondo Italiano per il Clima sia indicato per ora come maggiore veicolo finanziario del Piano fa sperare che la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, tra le cause principali delle migrazioni (più dei conflitti secondo l’Oim), rappresentino uno dei punti centrali del piano Mattei”.
In aggiunta, ricordiamo che il Fondo per il Clima, parte di una più ampia strategia Ue, deve rispettare gli orientamenti sugli investimenti designati a livello europeo. Come ricorda Luigi Di Marco nella sua rubrica “Europa e Agenda 2030”, a proposito della dichiarazione congiunta prodotta dal Vertice Unione europea-Unione africana di febbraio 2023, gli investimenti devono essere indirizzati
“alle transizioni verde e digitale, specificamente indicando gli impegni assunti con l’accordo di Parigi, inclusi i piani nazionali per l’adattamento ai cambiamenti climatici, la creazione di posti di lavoro dignitoso e lo sviluppo delle risorse umane, la promozione della salute e dell’educazione con criteri inclusivi e di equità”.
Vertice Ue-Ua: una visione comune al 2030 per Europa e Africa
Settimana 14-20/2. Vertice Ue-Ua. Crisi Russia-Ucraina. Parlamento: diritti umani nel mondo, aree urbane, giovani e ripresa post-pandemia, energie offshore, relazione della Bce. Commissione: sicurezza nei sistemi satellitari. 22/2/22
Altra perplessità sul Piano riguarda il mancato coinvolgimento dei Paesi africani nella sua fase di preparazione. Nonostante il vertice Italia-Africa tenuto a Palazzo Madama (28-29 gennaio) abbia visto la partecipazione di 46 Paesi, con 15 capi di Stato e otto capi di governo dal Continente, oltre alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, la risposta dei leader africani è stata, scrive Alberto Magnani sul Sole 24 Ore, “ambivalente”.
Il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki, ha dichiarato il suo apprezzamento verso il “cambio di paradigma” nei rapporti tra Ue-Africa, ma allo stesso tempo ha puntualizzato:
“Avremmo preferito essere consultati. L’Africa è pronta a discutere i contorni e le modalità di attuazione del Piano Mattei ma non vuole tendere la mano, noi non siamo mendicanti, la nostra ambizione è più alta”. Inoltre, ha aggiunto, c’è bisogno di “passare dalle parole ai fatti: capirete bene che non ci possiamo più accontentare di semplici promesse che spesso non sono mantenute”.
Il summit di Roma è stato oggetto di critiche per il mancato coinvolgimento dell’area non profit. “Le realtà sindacali e alcune piattaforme di diaspore avevano chiesto uno spazio per il mondo non governativo italiano e africano al fine di confrontarsi ed esprimersi tra loro e con la parte istituzionale: la presidenza del Consiglio, promotrice e organizzatrice dell'evento, non ha risposto”, ha denunciato sul Corriere della Sera Silvia Stilli, presidente dell'Associazione delle Organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (aderente all’ASviS), intervistata anche all’interno della puntata di Alta Sostenibilità, in onda su Radio Radicale il 22 gennaio, dedicata al Piano Mattei. Alla puntata hanno partecipato anche Giangiacomo Calovino, deputato di Fratelli d'Italia e relatore del Piano, e Roberto Menotti, dell’Aspen institute Italia, che ha dichiarato: “Il successo del Piano Mattei dipenderà dalla coerenza con la strategia europea. L'Italia può farsi portavoce di un approccio diverso. L’esperienza fallace della Francia ci sia di insegnamento”.
Il vertice di Roma, scrive ancora Stilli sulle pagine del Corriere della Sera, è stato “un'occasione perduta per valorizzare tante risorse in termini di patrimonio relazionale, progettuale e di buone pratiche di cooperazione per lo sviluppo sostenibile che il non profit privato italiano mette a valore del sistema”. Un approccio “top-down” che potrebbe inficiare la buona riuscita del Piano Mattei.
“Se veramente si vuole puntare a una cooperazione con l'Africa che sia ‘decolonizzata’ occorre dare al popolo africano le vere opportunità per costruire uno sviluppo nel rispetto delle diversità geografiche e culturali, nell'affermazione del ruolo centrale delle sue comunità nel progettare economie e organizzazioni interne che ne garantiscano la sostenibilità”.
In questa direzione lavora da anni in Africa il settore non profit, puntando soprattutto sul ruolo dell’educazione per sconfiggere la povertà, cementare la consapevolezza del rispetto dei diritti umani e consentire quella formazione professionale che possa garantire un lavoro dignitoso. Cruciale in questo contesto anche il ruolo dell’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps), l’insieme di risorse statali destinate ad attività e progetti di cooperazione con Paesi a basso tasso di sviluppo. In Italia (e non solo) l’Aps è ancora oggi fortemente insufficiente: nel nostro Paese non oltrepassa la quota dello 0,32% rispetto al Reddito nazionale lordo (Rnl), mentre dovrebbe raggiungere, secondo il target 17.2 dell’Agenda 2030, lo 0,70% entro il 2030.
Un obiettivo, questo, per cui si batte da anni la “Campagna 070” (a cui aderisce anche l’ASviS), che, in una lettera aperta pubblicata in occasione del summit, ha definito il Piano Mattei “un’occasione da non perdere”, che avrà però successo solamente se costruito con l’apporto della società civile italiana e africana.
Da sottolineare che il problema della marginalizzazione del settore non profit non è, purtroppo, una novità. Come ricorda il Rapporto ASviS 2023, i finanziamenti per i programmi di sviluppo multilaterale sono stati ridotti nell’ultima Legge di Bilancio, dando priorità a un bilateralismo strettamente governativo nelle relazioni diplomatiche e riguardanti l’Aps. Infine, l’attività di cooperazione allo sviluppo non ha visto il coinvolgimento continuativo nei processi decisionali dei molteplici attori (enti territoriali, terzo settore, università, ricerca, imprese) che operano in questo campo a fianco del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) e dell’Agenzia italiana della cooperazione allo sviluppo (Aics), contrariamente a quanto scritto nella Legge n.125/2014, che oltre a richiamare all’impegno dello 0,70% del Rnl indicava il valore strategico del settore non profit.
La collaborazione tra Italia e Africa apre dunque a un “ventaglio di collaborazioni ampio”, come ha dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del summit. Resta la necessità di dare sostanza a un Piano che, per risultare efficace, deve rientrare all’interno di una strategia condivisa con l’intera Unione europea. Un’opportunità, dunque, che va sfruttata al meglio.
di Flavio Natale
Fonte copertina: Ansa (2024)