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Affrontare sovraffollamento, suicidi e reinserimento richiede politiche strutturali, coordinate e rispettose dei diritti fondamentali. Lo racconta chi le storie di fragilità e solitudine celate dietro alle sbarre le vive da vicino.
Una ragazza di 17 anni che ha perso da poco la madre. Un forte legame con il padre. Una vita a scuola come tante. Poi, un giorno, una lite con la nuova compagna del padre mentre è in cucina. Riceve uno schiaffo. E d’istinto lei, con il coltello che ha in mano per cucinare, trafigge la donna. Poi il carcere. E il tentato suicidio.
È la storia di Sofia, protagonista del film “Una figlia” di Ivano De Matteo, con Ginevra Francesconi e Stefano Accorsi. Una storia di quelle che si leggono sui giornali, di liti familiari, di violenza. Quello che ci racconta il regista, però, è ciò che si nasconde dietro a queste storie. La vita sconvolta di un’adolescente, quasi in stato di trance, che perde i contatti con il resto del mondo. Mentre intanto ci si chiede: quanto può perdonare un genitore? Perché la vita cambia non solo per chi è dentro, ma anche per chi resta fuori.
Nel carcere è nascosto un universo di oltre 250mila storie, tra detenute e detenuti, soggetti in esecuzione esterna e in attesa di esecuzione della pena. Nove su dieci sono uomini. Persone che hanno commesso gravi crimini, anche imperdonabili agli occhi della società, ma che restano esseri umani titolari di diritti e dignità umana, secondo l’art. 27 della nostra Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Il sovraffollamento, l'inadeguatezza delle strutture, la mancanza di personale e fondi e il dramma dei suicidi sono temi che non possono essere ignorati.
Secondo i dati riportati nel Rapporto ASviS, l’Italia è al sestultimo posto su 27 Paesi Ue relativamente al 16esimo Obiettivo di sviluppo sostenibile “Pace, giustizia e istituzioni solide” dell’Agenda 2030 dell’Onu. Un Obiettivo che, con il suo Target 16.3, si occupa anche di “promuovere lo stato di diritto a livello nazionale e internazionale e garantire parità di accesso alla giustizia per tutti”.
“Il sistema carcerario è contrassegnato da una grave e ormai insostenibile condizione di sovraffollamento, nonché da condizioni strutturali inadeguate di molti istituti”, ha affermato alcune settimane fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “sono necessari interventi di manutenzione e ristrutturazioni da intraprendere con urgenza nella consapevolezza che lo spazio non può essere concepito unicamente come luogo di custodia ma deve includere ambienti destinati alla socialità, all'affettività, alla progettualità del trattamento”. Nel 2023 c’erano 117,6 detenute e detenuti per 100 posti disponibili, rispetto a un obiettivo al 2030 di azzerare il sovraffollamento. Inoltre, secondo Antigone, anche se continua a calare la percentuale di persone detenute in custodia cautelare, le persone in attesa di giudizio e presunte innocenti continuano a rappresentare più di un quarto delle detenute e dei detenuti. Dal ministero della Giustizia si leva un primo segnale sul sovraffollamento: entro settembre una task force ministeriale valuterà la fattibilità di interventi in favore dei reclusi con ancora due anni da scontare e che non abbiano avuto sanzioni disciplinari.
Ad affrontare le innumerevoli sfide del carcere ci sono i 254 direttrici e direttori degli istituti penitenziari del nostro Paese, a fronte di un organico previsto di 350 unità, secondo i dati al 31 dicembre 2024 riportati in un articolo su Avvenire. Un articolo che dà voce a chi il carcere lo vive da vicino.
La direttrice di Brescia, Francesca Paola Lucrezi, parla della sofferenza doppia che vivono le detenute donne, che hanno vissuto “quasi sempre storie di violenze e di traumi subiti, oltre che di reati commessi” e che essendo state fulcro del proprio nucleo familiare vedono le proprie famiglie disgregarsi portandole in uno stato di profonda solitudine. Le direttrici di Busto Arsizio Maria Pitaniello e di Varese Carla Santandrea entrano invece nel merito del tema suicidi, che “non dipendono solo dal sovraffollamento ma dalla fragilità degli ultimi fra gli ultimi con cui siamo chiamate a confrontarci ogni giorno e che arrivano in cella”.
Secondo il 21esimo Rapporto di Antigone – focus sui suicidi, il 2024 è stato l’anno con più suicidi in carcere di sempre, almeno 91, mentre tra gennaio e maggio 2025 almeno 33. Molte persone decedute erano giovanissime, tante le persone di origine straniera. Diverse le situazioni di marginalità sociale. Alcune avevano disagi psichici, altre passati di tossicodipendenza. Come la storia raccontata da Antigone di un 55enne, di origini calabresi, suicida, arrestato per una rapina che aveva fruttato un bottino di appena 55 euro, il quale aveva restituito i soldi e risarcito il danno alla parte offesa. Avrebbe finito di scontare la pena nel 2027. Potenziare il supporto psicologico e psichiatrico, con assistenza immediata nei momenti critici (come l’ingresso in carcere), rafforzare la formazione del personale, migliorare la qualità della vita in carcere e dare centralità al reinserimento sociale anziché adottare un approccio punitivo diventano in questo contesto azioni cruciali.
Tra le esperienze di reinserimento sociale, voglio raccontarne una particolarmente significativa che ho scoperto attraverso una persona a me cara. Si tratta del Pastificio Futuro, un progetto che offre una seconda possibilità ai ragazzi detenuti nel carcere minorile di Casal del Marmo di Roma, dando loro lavoro, dignità e speranza. Sul sito del pastificio si possono leggere alcune celebri parole di Papa Francesco, che ha poi creduto fortemente nell’iniziativa, sostenendola anche con una generosa donazione proveniente dai propri risparmi personali: “Non abbiate paura di diventare artigiani di sogni e di speranza. I sogni più belli si conquistano con speranza, pazienza e impegno, rinunciando alla fretta… Anche se sbagli, potrai sempre rialzare la testa e ricominciare, perché nessuno ha il diritto di rubarti la speranza”. Oggi la diffusione dei prodotti del pastificio Futuro, disponibili nei supermercati, attraverso e-commerce e il punto vendita dedicato, sta aumentando molto. Un risultato che dimostra come offrire fiducia e opportunità concrete possa cambiare il destino di tanti giovani.
Tornando al mondo dietro alle sbarre, il 2024 è stato anche l’anno con più decessi in carcere in generale: sono 246 le persone che hanno perso la vita nel corso della loro detenzione, “segno di un carcere sempre più malato”, come si legge nel Rapporto Antigone. Per la direttrice uscente di San Vittore, Elisabetta Palù, “da fuori bisognerebbe iniziare a curare le ferite del carcere”: politiche sociosanitarie più attente al disagio psichico o alla tossicodipendenza soprattutto delle giovani e dei giovani, con progetti educativi, con un occhio di riguardo alle prime e seconde generazioni di stranieri. Palù parla dell’aumento dei detenuti tossicodipendenti, delle diagnosi psichiatriche che portano con sé nel 75% dei casi, della necessità di formazione per gli agenti.
Le direttrici delle carceri lombarde denunciano la solitudine non solo della popolazione detenuta, ma anche dell’amministrazione penitenziaria. Alcune risposte migliorative sembrano però poter arrivare, secondo quanto emerso dalla giornata del 7 luglio “Le persone dimenticate”, promossa dall’Organismo congressuale forense presso il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), in cui si è parlato di sovraffollamento, suicidi e lavoro in carcere. Il presidente del Cnel Renato Brunetta, già ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione, in apertura dell’incontro ha proprio sottolineato che il tema carcerario non può più essere affidato solo alla buona volontà dei singoli: per dare risposte strutturali servono interventi sistemici, replicabili in tutti gli istituti penitenziari italiani. Per questo, ha affermato,
“abbiamo avviato un accordo con Cassa depositi e prestiti, coinvolgendo le sue partecipate, per promuovere numerosi progetti di investimento in carcere: spazi, formazione, capitale umano, logistica, tecnologie, contrattualistica. Parallelamente, stiamo lavorando per includere i detenuti nella piattaforma Siisl del ministero del Lavoro, nata per il matching tra domanda e offerta per i soggetti più fragili. Un’infrastruttura che, se estesa anche al mondo penitenziario, potrà diventare uno strumento reale di reinserimento sociale e lavorativo. È un lavoro complesso, ma necessario. Solo dando struttura, visione e continuità all’azione istituzionale, potremo onorare davvero l’articolo 27 della nostra Costituzione”.
Per affrontare realmente il dramma del carcere, serve il coraggio di mettere al centro le persone, le storie, le fragilità. Occorre passare da una logica emergenziale a una visione sistemica, capace di costruire risposte strutturate, coordinate, replicabili. Ma serve anche una scelta collettiva di civiltà: riconoscere che il carcere non è un mondo a parte, ma parte della nostra società. Un luogo dove si decide se credere ancora o meno nella possibilità del cambiamento. Alla possibilità di poter tornare a essere qualcosa di più del proprio reato. A poter essere guardati, un giorno, non solo per ciò che si è fatto, ma per ciò che si potrà ancora diventare. Proprio come Sofia.
Fonte copertina: Instagram Pastificio Futuro, adattamento Redazione ASviS
