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Ripensare la cooperazione con partenariati paritari e una nuova finanza globale
Ripristinare la condizionalità degli aiuti, investire di più per il clima nel Sud del mondo, più trasparenza con l’opinione pubblica: questi alcuni degli spunti emersi all’evento sul Goal 17 del Festival. Presente il direttore Aics Rusconi. 10/5/24
Si è tenuto mercoledì 8 maggio, presso il Palazzo delle Esposizioni, il secondo appuntamento della tappa romana dell’ottava edizione del Festival dello Sviluppo Sostenibile, con l’evento “Verso il Summit sul futuro - Cooperazione internazionale, multilateralismo, società civile”, organizzato dal Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 17, impegnato appunto su questi temi, in collaborazione con Generazione cooperazione e con il contributo dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.
Ad aprire l’incontro, moderato dalla giornalista di Rai 3 Maria Cuffaro, sono state le parole di benvenuto di Marco Delogu, presidente dell’Azienda speciale Palaexpo, che ha scelto di mettere a disposizione l’edificio di Via Nazionale per farne la “casa del Festival”, ospitando numerose iniziative.
L’introduzione dei lavori è stata affidata al direttore scientifico dell’ASviS Enrico Giovannini, il quale, riferendosi allo stato d’attuazione dell’Agenda 2030 e richiamando il grido d’allarme lanciato ancora una volta dal Segretario generale delle Nazioni Unite Antònio Guterres al Summit Onu di settembre scorso, ha esordito con un lapidario “non ci siamo proprio”. Poi un riferimento all’Europa dove “è vero che si discute di bilancio comune, ma per la difesa, non per la transizione” e ancora un richiamo al discorso di Mattarella del 7 maggio al Palazzo di vetro di New York, dove il Presidente della Repubblica ha dichiarato che “l’Agenda 2030 non è un processo burocratico, né una questione per sognatori, ma dev’essere un impegno di tutti”. Infine, Giovannini ha messo in evidenza un dato riportato nel Rapporto di Primavera ASviS riguardante l’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps): l’Italia si sta sempre più allontanando dall’obiettivo di destinare lo 0,70% del Reddito nazionale lordo alla cooperazione, attestandosi nel 2023 allo 0,27% secondo i dati preliminari Ocse. “Questa scelta è una scelta miope, soprattutto per un Paese come il nostro che è a un passo dall’Africa. [..] E l’iniziativa del Piano Mattei è di fatto finanziata attraverso un orientamento all’Africa di fondi già esistenti”.
Da sinistra a destra: Maria Cuffaro, giornalista Rai 3; Enrico Giovannini, direttore scientifico dell'ASviS
A prendere la parola nel primo panel “Verso il Summit sul Futuro”, è stato Francesco Corvaro, inviato speciale per il clima che, in videocollegamento da Nairobi, dove è in corso la conferenza della società civile dell’Onu a sostegno del Summit del Futuro, ha rimarcato come la questione del cambiamento climatico sia da affrontare in maniera globale, coinvolgendo maggiormente, attraverso la cooperazione e il dialogo, i Paesi del Sud del mondo. Corvaro ha auspicato che il G7, superando schemi obsoleti, “diventi un ponte verso i Paesi in via di sviluppo dove è necessario investire se si vuole combattere davvero il cambiamento climatico. Un’opportunità anche a beneficio delle nostre generazioni. Rispetto al clima, perdiamo tutti o vinciamo tutti.”
Francesco Corvaro, inviato speciale per il clima
A seguire, la testimonianza di Roberta Rughetti, vicedirettrice di Amref, organizzazione non governativa attiva in Africa da oltre 20 anni, che ha raccontato cosa significhi “cooperazione” nella visione dell’associazione: localizzazione, partnership, equità. Tre parole chiave per descrivere come la ong operi con i Paesi africani “in stretta collaborazione, in un rapporto paritario, cosa che però spesso la cooperazione internazionale classica non fa. Amref ha riconosciuto nelle risorse africane la chiave del successo di ogni intervento”.
Marco Rusconi, direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), ha fatto cenno alla questione delle risorse destinate all’Aps, affermando che spesso “ci sono più risorse che progetti, in primis dobbiamo migliorare su questo, puntando non tanto a interventi puntuali, quanto a un cambiamento trasformativo”. Ha proseguito facendo un esempio di come la cooperazione italiana guardi sempre di più alla sostenibilità, sia supportando processi normativi in tal senso nei Paesi dove interviene, sia sul terreno: “noi possiamo produrre un modello di agricoltura più avanzata ed evoluta di tanti altri Paesi”, per il basso impatto che ha sul territorio, e “possiamo avere l’ambizione di proporci anche come modello per i Paesi partner”.
Marco Rusconi, direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo
Tornando per un momento più specificatamente sul “tema caldo” del clima, una finestra sul mondo è stata offerta da Claudio Pagliara, corrispondente Rai da New York, il quale ha illustrato le posizioni antitetiche adottate sulla questione dai due candidati alla Casa Bianca e le conseguenze che potrebbero derivarne anche per il resto del mondo. Biden infatti, durante il suo mandato, ha fatto rientrare gli Usa negli Accordi di Parigi e ha varato il più grande investimento sulle energie pulite con 370 miliardi di dollari in 10 anni per incentivare la riconversione. Trump invece ha per slogan “drill, drill, drill” cioè “perfora, perfora, perfora”, una chiara dichiarazione di supporto all’industria fossile.
Claudio Pagliara, corrispondente Rai da New York
Da New York ci spostiamo nuovamente in Africa, da dove Giovanni Grandi, titolare della sede Aics di Nairobi, in Kenya, ha portato un'altra testimonianza dell’impegno della cooperazione italiana nel continente: “Con le autorità kenyane abbiamo sottoscritto un accordo di partenariato proprio di sviluppo sostenibile, sulla base di un’agenda comune, basata sulle tre delle cinque P: partenariato, prosperità e persone. Noi lavoriamo “assieme” ai Paesi in via di sviluppo e non “per”. Si tratta di fare leva sulle nostre eccellenze, laddove possiamo dare valore aggiunto”.
Donato Bendicenti, corrispondente Rai da Bruxelles
Sempre da Nairobi si è collegata Marina Ponti, direttrice della Un SDG action campaign, che ha offerto diversi spunti al dibattito. In primis ha posto l’accento su quanto sia cruciale intraprendere una riforma dell’architettura finanziaria internazionale. “Viviamo in un mondo dove quasi il 40% della popolazione vive in Paesi dove i governi spendono più per ripagare il debito che per finanziare l’educazione o la salute […] o dove 480 miliardi vengono sottratti ai Paesi produttori per evasione fiscale o per capital flow, senza permettere alcuna redistribuzione nazionale. Serve una tassazione globale, che passi attraverso criteri trasparenti ed equi” e “va affrontato il problema del debito in un forum democratico che metta insieme sia debitori che creditori”. Infine, Ponti ha sottolineato l’esigenza di una nuova governance globale, ricordando come quella vigente sia frutto di un ordine mondiale di 80 anni fa, nato in un contesto completamente diverso rispetto a oggi, dove tanti dei Paesi che attualmente sono indipendenti erano ancora colonie e non presero quindi parte al processo.
Marina Ponti, direttrice della Un SDG action campaign
Riportando lo sguardo sull’Europa, Donato Bendicenti, corrispondente Rai da Bruxelles, ha fatto una panoramica dell’attuale contesto in vista delle elezioni europee di giugno, ricordando come “le politiche di sostenibilità sono state il biglietto da visita della legislatura uscente, [...] a tratti forse troppo ambiziosa, ma sicuramente lodevole”. Il giornalista ha descritto poi la policrisi che l’Ue si è trovata ad affrontare una volta conclusa la pandemia: l’invasione dell’Ucraina, il pericolo di una recessione reale, poi il conflitto in Medio Oriente, ma anche la necessità di ricorrere a nuovi partner energetici dopo l’imposizione delle sanzioni alla Russia. “Quanto entrano questi temi nella campagna elettorale? Io credo molto, perché sono convinto che ci sia una coscienza diffusa che questi temi non siano differibili”.
A seguire è intervenuto David Munyendo, operatore della ong Cbm, che ha portato sul tavolo il tema della disabilità, ricordando come una grossa fetta della popolazione mondiale ne sia affetta, soprattutto bambini. “Al Summit sul Futuro mi auguro si tenga conto di questa situazione, bisogna rendere i servizi accessibili a tutti, garantire gli stessi diritti a tutti. Tanti Paesi hanno invece un atteggiamento negativo e discriminatorio. […] Tutta la società dev’essere coinvolta, questa popolazione invisibile deve diventare sempre più visibile. Gli SDGs guardano al futuro e questo vuol dire pensare anche a queste persone, in modo da non lasciare davvero indietro nessuno”.
David Munyendo, operatore della ong Cbm
Il secondo panel, dal titolo “Il futuro della cooperazione internazionale di fronte alle sfide della policrisi”, si è aperto con il contributo di Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto affari internazionali (Iai), che ha ripercorso a grandi linee l’evoluzione del sistema internazionale dal dopoguerra in poi, per descrivere come è cambiato nel tempo il modo di fare cooperazione allo sviluppo. Quest’ultima infatti è nata in un mondo “aperto”, sostanzialmente unipolare e fondato su principi liberali, con il soft power dell’Occidente dominante, mentre ora dopo 20 anni deve fare i conti con uno scenario fortemente competitivo, dove la chiusura, la difesa e l’hard power sono tornate a prevalere a discapito della diplomazia e del dialogo. Se inoltre nel primo contesto si faceva cooperazione allo sviluppo con una certa condizionalità, condizionando cioè l’erogazione degli aiuti a determinati vincoli, tra cui il rispetto dei diritti umani, nello scenario attuale quella condizionalità non esiste più. “Di certo – spiega Tocci - non viene adattata da determinati Paesi come Cina e Russia, mentre noi occidentali che avremmo potuto cogliere l’occasione per ripensare il modo di fare cooperazione, puntando su partenariati più paritari, stiamo traducendo tutto questo in una bieca, cinica “transattività” , ovvero nella negazione della politica estera, nella negazione totale di diritti, principi e norme, in nome di un fantomatico partenariato paritario. Sia l’Italia che l’Europa sono caduti in questa trappola”. Se è vero che il vecchio approccio della cooperazione era quello con il “ditino alzato”, e adesso questo non è più accettato dai Paesi del Sud del mondo che scelgono liberamente con chi cooperare, è altrettanto vero che “oggi ci si pone come se i primi ministri fossero gli amministratori delegati dei Paesi, che si mettono d’accordo per uno scambio, di solito soldi contro migranti, oppure soldi contro sicurezza energetica: ma questa non è cooperazione”.
Subito dopo ha preso la parola Jairo Agudelo Taborda, docente di Relazioni internazionali all’Universidad del Norte di Barraquilla (Colombia), portando il punto di vista dell’America Latina sul tema. “Questa che affrontiamo è una crisi del sistema internazionale per come è stato concepito nel 1945. Il nodo centrale è proprio quello della cooperazione. Le cause del sottosviluppo e dell’insostenibilità in America Latina non sono economiche, ma squisitamente politiche. Non sono crisi molteplici, ma è il sistema in sé a essere in crisi. Oggi ci siamo accorti di un male globale [la crisi climatica, ndr] e dobbiamo rispondere con beni globali e prendere sul serio l’idea del cosmopolitismo, è questo il nesso che abbiamo perso”. Il professore ha proseguito sottolineando come “noi non vogliamo più quella cooperazione di elemosina, noi come America Latina abbiamo tutto ciò che serve per la transizione ecologica e tecnologica: abbiamo il coltan, il litio, l’ossigeno tramite l’Amazzonia, abbiamo il 30% di acqua dolce terrestre, etc. Dateci più fondi per proteggere tutto questo. Noi diventiamo custodi di questo bene pubblico mondiale e lo scambiamo con il debito estero”.
Andrea Stocchiero, policy officer di Aoi e Focsiv, nel suo intervento ha voluto rimarcare l’importanza della cooperazione di fronte alle policrisi, spiegando però che non è sufficiente aumentare le risorse a disposizione, bensì è necessario ripensare nuove forme di partenariato. “Bisogna sostenere i contadini africani, gli indigeni che proteggono la biodiversità, questo significa sostenere i loro diritti. [...]Se ci fosse davvero una coerenza delle politiche, sarebbe un grande salto di qualità per la politica italiana. Questo è il nostro auspicio, visto che l’anno scorso è stata approvata anche la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile”. Stocchiero ha infine ricordato che non bisogna temere di adottare la condizionalità.
Un ulteriore contributo al dibattito è stato offerto da Lia Quartapelle, vicepresidente della Commissione affari esteri della Camera, la quale ha messo in luce l’antinomia che contraddistingue in questa fase la cooperazione italiana, dove da una parte si diminuiscono le risorse a disposizione e dall’altra, con il Piano Mattei, si aumentano i Paesi target. “Siamo ancora in attesa di capire in cosa consista questa nuova strategia, che è vero che è stata approvata ma poi l’Italia pecca nell’implementazione ed è in questo contesto che tornano prioritari gli Obiettivi dell’Agenda2030”. La deputata ha poi posto l’accento sull’incapacità dell’Occidente di riuscire a incidere come prima, sia in Europa, vedi il caso Ungheria, che fuori. “Ci dev’essere un equilibrio tra quando, armati di moralismo, abbiamo invaso l’Afghanistan, e 20 anni dopo quando abbiamo ritirato le truppe abbandonando la popolazione. La via di mezzo passa attraverso la qualità della nostra democrazia, credo che dovremmo essere più autocritici ma anche più consapevoli: ci sono tanti Paesi vicini che bussano alla nostra porta come la Tunisia, i Paesi balcanici, etc. mentre ad esempio il Piano Mattei intende riaprire le relazioni con l’Eritrea che non ha una Costituzione, né un parlamento. Bisognerebbe essere anche chiari e trasparenti con l’opinione pubblica per spiegare certe scelte”.
A seguire è intervenuto Arthur Muliro, deputy managing director Society for international development, secondo il quale la cooperazione è uno scambio di valori: “Noi vogliamo condividere valori, l’Africa sta cambiando, ci sono richieste nuove che vengono dal basso. L’Italia deve fare un salto di qualità della sua cooperazione, e questo è possibile se c’è un vero dialogo tra le parti, anche perché in Italia ci sono anche le seconde e le terze generazioni di cui non bisogna dimenticarsi”.
Da sinistra a destra: Lia Quartapelle, vicepresidente della Commissione affari esteri della Camera; Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto affari internazionali (Iai); Andrea Stocchiero, policy officer di Aoi e Focsiv; Maria Cuffaro, TG3; in collegamento; Arthur Muliro, deputy managing director Society for international development
A chiudere il panel, Loretta Maffezzoni, attivista di Generazione Cooperazione, che ha dichiarato: “La questione più importante secondo me è quella delle disuguaglianze all’interno dei singoli stati e la cooperazione può essere importante in questo, può essere uno strumento di pace perché può aiutare a redistribuire le ricchezze in maniera equa”. Poi a proposito del Piano Mattei ha aggiunto: “In generale vedo il rischio che si ripetano gli stessi errori del passato nella cooperazione: infatti non c’è un coinvolgimento delle diaspore nel disegno della strategia”.
Loretta Maffezzoni, attivista di Generazione Cooperazione