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“Noi siamo natura”: garantire il benessere di tutti, partendo dal Pianeta
L’evento “Ecosistema benessere” ha mostrato come l’approccio “One health” sia in grado di salvaguardare la salute delle persone. I virus si diffondono per l’intromissione umana negli ambienti naturali. 6/10/20
Dal grande al piccolo, dagli ecosistemi terrestri, fonte di sussistenza necessaria alla vita sul Pianeta, compresa quella umana, alla creazione di un’“ecosistema benessere” per il buono stato di salute degli ambienti naturali e delle persone che cercano rifugio dagli stress quotidiani. Di questo e di altro si è parlato durante l’evento nazionale del Festival dello Sviluppo Sostenibile del 5 ottobre, andato in scena presso il Museo Macro di Roma, dal titolo “Ecosistema benessere. One health: verso una visione interconnessa di salute”, organizzato da Associazione italiana ambiente e sicurezza (Aias), Club alpino italiano (Cai), Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), Istituto superiore di sanità (Iss), Wwf Italia e dai Gruppi di Lavoro (GdL) dell’ASviS sui Goal 3, 6, 14 e 15 dell’Agenda 2030.
Ad aprire la giornata di dibattito, scandita da quattro panel dai titoli “Pianeta e benessere”, “Territorio e benessere”, “Fragilità e benessere” e “Governance e benessere”, ha provveduto Luigi Di Marco, consigliere Aias e co-coordinatore del GdL ASviS sui Goal 6, 14 ,15. “Abbiamo scelto di unire le forze tra i gruppi di lavoro di ambiente e salute nell’anno del Covid-19 per dimostrare le connessioni presenti tra questi due grandi temi”, ha dichiarato Di Marco, “Con la pandemia abbiamo cominciato a confrontarci per capire cosa ci sta succedendo e che tipo di contributo potevamo dare alla società civile. Ci siamo accorti che le risposte sono sempre nell’Agenda 2030. Nei mesi scorsi l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha stilato i sei punti del ‘Manifesto Oms’, che chiaramente fanno capire che per proteggere la nostra salute servono misure orientate sia al benessere umano sia a quello ambientale. Si fa anche riferimento alla necessità di smettere di sussidiare le fonti fossili e le attività ambientalmente dannose. Ricordo che ancora oggi nel mondo vengono elargiti più sussidi alle fonti fossili che al settore sanitario. Purtroppo la notizia del “Manifesto Oms”non è stata ripresa dai media”.
Luciana Sinisi, responsabile struttura di missione sostenibilità ambientale e salute presso l'Ispra e coordinatrice del GdL ASviS sul Goal 3 si è invece soffermata sulla complessità del termine benessere: “La visione di salute è complessa, e deve essere allargata agli altri temi. Il concetto di benessere sfugge tuttora, per questo abbiamo scelto ‘ecosistema benessere’ come titolo dell’evento, per far capire che come negli ecosistemi possono esserci diversi contesti in cui il nostro benessere si sviluppa. In sostanza quello che vogliamo fare, è avviare una cultura di salute e ambiente per comprendere come il benessere sia collegato alla sostenibilità ambientale, ricordando quei principi ambientali che agiscono in modo positivo sul nostro benessere psicofisico. Sentiamo spesso parlare di resilienza, ma importante è anche la consilienza che ci mostra come poter costruire un percorso, per quanto complesso, che ha l’obiettivo di preservare la salute delle persone e quella ambientale”.
Pianeta e benessere
L’equazione è semplice, “Se distruggiamo la natura non possiamo né mangiare, né bere e né respirare”, considerazione che mette in chiaro, dunque, che stiamo parlando “del tema centrale della sostenibilità”. Sono le parole di Gianfranco Bologna, presidente onorario del comitato scientifico del Wwf Italia e co-coordinatore del GdL ASviS sui Goal 6, 14, 15, che ha moderato il primo panel dell’evento. “Sono anni che gli scienziati ci informano sullo stato di salute precaria degli ecosistemi naturali, con tutta una serie di impatti che sperimentiamo ogni giorno in termini di perdita di benessere. Ma la vita ha avuto origine 3,8 miliardi di anni fa, noi facciamo parte di un sistema che affonda le radici nei microrganismi, basti pensare che il 37% del nostro dna proviene dal mondo dei batteri, mentre quasi l’8% proviene dal mondo dei virus. Benessere umano e naturale sono la stessa cosa”.
Anche il successivo intervento di Telmo Pievani, professore di epistemologia delle scienze biologiche presso l’Università degli studi di Padova, ha sottolineato quanto siamo dipendenti dal mondo naturale a partire “dalle mutazioni genetiche che, è vero, spesso possono avere effetti negativi ma senza di loro noi e la biodiversità in generale non ci saremmo. Esempio lampante della nostra connessione con l’ambiente è dato dal dna, in parte comune a ogni forma di vita sul Pianeta, e dal funzionamento della sua molecola che ci mostra che siamo tutti ‘parenti’, iscritti nel grande processo della vita. Nel dna possiamo leggere tante informazioni mediche, ma anche tante altre storiche. Per rimuovere le cause profonde di questa pandemia non basta semplicemente trovare il vaccino, ma dobbiamo investire in ricerca per prevenire le zoonosi, e dobbiamo evitare l’intromissione dell’uomo negli ambienti naturali”.
Di zoonosi, malattie infettive che vengono trasmesse dagli animali all’uomo attraverso lo “spillover”, il salto di specie compiuto da un virus che diventa sempre più frequente, ha parlato Stefania Leopardi, veterinaria laboratorio zoonosi virali emergenti dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie. “Bisogna far capire come in realtà i virus in generale esistono da sempre nel nostro mondo”, ha affermato Leopardi, “Siamo così vulnerabili al Covid-19 perché non è mai entrato in contatto con il nostro genoma, e non si è adattato; infatti proviene da zone remote del Pianeta. Negli ultimi decenni emergono sempre più virus, si pensi a Ebola e Mers, perché l’uomo sta pesantemente modificando ambienti naturali dove questi virus si nascondono. Detta brutalmente, la Terra ci sta presentando il conto. Il Sars cov2 si pensa derivi dai pipistrelli, ma la colpa non è loro Semplicemente sono tanti, circa un terzo dei mammiferi presenti nel mondo. Per evitare nuove pandemie oltre alla ricerca va finanziata la sorveglianza; bisogna accorgersi subito della nascita di nuove malattie zoonotiche”.
Territorio e benessere
Giulio Cederna, direttore della Fondazione Paolo Bulgari e secondo moderatore della giornata, nel presentare i successivi relatori ha sottolineato che “è vero che siamo natura, ma per fortuna anche cultura e società, e questo ci rende perfettibili. Ma come impattano le condizioni naturali sul nostro benessere?”.
A dare la risposta ha provveduto Gemma Calamandrei, direttrice del centro Scic (Centro di riferimento scienze comportamentali e salute mentale dell’Iss), ricordando come determinanti siano “i primi mille giorni di vita che partono dall’inizio della gravidanza. Momento cruciale per la formazione delle nostre caratteristiche di salute, mentale soprattutto. In questo i fattori esterni, come l’inquinamento, sono in grado di alterare la formazione del nostro cervello, e quindi di incidere sulle capacità neuronali. Ma al centro dell’approccio di one health c’è lo ‘sposoma’, termine che ci dice che non dobbiamo valutare solo l’influenza ambientale; per il buono stato di salute conta anche l’insieme di fattori psicosociali”.
Di tutta una serie di benefici che sono in grado di offrire le piccole comunità locali, spesso dimenticate, ha parlato poi Rosanna Mazzia, sindaca di Roseto Capo Spulico e presidente dell’Associazione borghi autentici d’Italia. “La nostra associazione punta a valorizzare la comunità dei borghi, per metterla al centro delle politiche nazionali. È vero che nei borghi mancano molti servizi, e spesso i diritti dei cittadini sono negati, ma tanti indicatori ci dicono che la vita in queste zone va avanti in un contesto più sano, anche da un punto di vista sociale. Per anni le piccole comunità sono state dipinte come contesti poveri e poco moderni, ma il Covid-19 ha convinto parecchie persone che i borghi sono necessari all’intero sistema Paese. L’attuale disequilibrio con le città è insano e dannoso. Tutti i comuni della nostra rete sperimentano forme di economia civile, attività che consentono ai giovani di restare sui propri territori, non costringendoli quindi a migrare in cerca di fortuna”.
Fragilità e benessere
Carla Collicelli, del segretariato ASviS e del Cnr (Centro nazionale ricerche), ha introdotto il tema della fragilità, ricordando che “le persone non sono tutte uguali, ce ne sono di più fragili” e come diverse terapia in stretto rapporto con la natura stiano dando ottimi risultati. “Il tema della montagna-terapia è una delle esperienze più interessanti che nel mondo si cerca di portare avanti per ridare ai ragazzi la possibilità di rimettersi in gioco, soprattutto ai più deboli”.
Enrico Alleva, accademico dei Lincei e presidente Fisna (Federazione italiana scienze della natura e dell'ambiente) ha analizzato da dove deriva il fattore stress. “Da tempo proponiamo una visione darwiniana della mente umana, che è stata preparata a resistere a stress che hanno natura diversa, ma non sopporta alcuni casi eccessivi, come lo stress post traumatico”, ha affermato Alleva. “La mente, soprattutto quella del bambino, ha bisogno di stimoli, ma il cervello si protegge se riceve eccessivi stress. Una sorta di resilienza individuale, in parte dovuta alla lunga storia evolutiva e in parte dettata dall’esperienza individuale; per questo ognuno affronta lo stress in modo diverso. La mente umana si è plasmata per vivere in un certo ambiente, anche il colore degli alberi è importante, e ha bisogno di interagire con gli animali, come gatti e cani, che come gli uomini hanno un proprio carattere. Interagire con l’ambiente che circonda i bambini serve per far maturare la mente infantile, un rapporto distorto di questo tipo porta invece proprio a un senso di mancato benessere”.
Luigina Di Liegro, presidente della Fondazione don Luigi Di Liegro, ha descritto il lavoro svolto dalla sua organizzazione, che si occupa in particolare dei problemi legati al disagio psichico nei giovani: “Tra le cause principali ci sono quelle relazionali, le più comuni. Obiettivo è quindi dare maggior valore al sistema relazionale, fatto non solo di famiglia ma da scuola, lavoro, amici. Quello che io vivo in Fondazione è che quando la persona vive una realtà sana relazionale, dall’avere accesso a spazi pubblici e all’istruzione, fino al possedere un medico di famiglia che sa capire e parlare con i ragazzi, incontra meno problemi nel corso della vita. E ciò non dipende da un quartiere, si può vivere bene anche in zone relativamente povere. Dobbiamo ricostruire il tessuto relazionale che stiamo perdendo, aggravato ancor di più dal Covid-19”.
Governance e benessere
L’ultimo panel è stato condotto da Raffaella Bucciardini, dell’Iss e coordinatrice del GdL ASviS sul Goal 3, che ha descritto come “il benessere, argomento assai complesso, richieda un sistema di governance ben articolato. Ma quello messo in piedi dall’Unione europea va in questa direzione, sposa l’approccio One health?”
“Nelle raccomandazioni Ue per il semestre europeo questo approccio non è tenuto molto in considerazione”, ha ricordato Massimiliano Montini, professore di diritto dell'Unione europea e dello sviluppo sostenibile all’Università degli studi di Siena, che ha aggiunto: “Ma questo perché le raccomandazioni sono state scritte nel 2019; sono sicuro che in quelle che arriveranno, da mettere in pratica nel 2021, questi temi saranno ben presenti. Noto però che di Next generation Ue e di semestre europeo si parla in modo troppo approssimativo nel nostro Paese. Parliamo di un fondo che rappresenta una grande opportunità, e che l’Europa ricorda che deve essere utilizzato per garantire la ripresa e la resilienza di tutto il sistema. Un approccio diverso rispetto al passato; questa volta infatti l’Ue mette a disposizione fondi che vengono presi dal mercato e che, per essere spesi, devono garantire appunto il processo di transizione. Non sono soldi che servono per tamponare la crisi sanitaria, ma devono essere utilizzati per evitare future pandemie, ricostruendo il rapporto uomo-natura di cui si è parlato oggi”.
Un Next generation Ue che dunque non guarda alla sola crescita economica ma che, e forse anche di più, punta forte su uno sviluppo equo e sostenibile. Una diversità marcata rispetto a quanto fatto fino a ora in sede comunitaria, ma gli Stati devono capirlo dandosi le stesse priorità espresse più volte dalla presidente della Commissione europea di Ursula von der Leyen. Ma in Italia siamo pronti? Su questo Montini conclude: “I primi documenti italiani vanno in questa direzione, ma secondo me manca ancora una cabina centralizzata, un sistema di governance in grado di accompagnare le capacità di spesa. L’Europa, comunque, mi sembra ora più determinata, e per questo deve assumere un ruolo centrale su questi temi nel mondo. Per esempio, sta sperimentando la carbon tax alle frontiere; credo che questa si possa applicare anche sugli alimenti che arrivano in Europa che sappiamo quanto incidono sugli ecosistemi”.
Giovanni Rezza, direttore generale della prevenzione presso il Ministero della Salute ha terminato il panel ricordando come il one health tenga conto dei “fattori umani, ambientali e animali, molte malattie infettive per essere risolte hanno per esempio bisogno di questo approccio che, però, spesso trova diverse difficoltà nell’essere applicato nella realtà”.
Le conclusioni sull’evento sono arrivate dal portavoce dell’ASviS, Enrico Giovannini: “Credo che l’aver scelto di connettere l’Obiettivo 3 con quelli ambientali per questa iniziativa sia stato giusto ed estremamente utile. La salute del Pianeta dipende non solo da ciò che facciamo nel nostro Paese ma da quello che, per esempio, l’Unione europea può fare sulla scena internazionale. L’Europa ha un livello di produzione e di consumi senza eguali nel resto del Pianeta e dobbiamo usare molto di più questo potere commerciale per spingere gli altri Paesi ad andare nella giusta direzione. Da soli i fondi Ue non risolveranno il problema: questa è una crisi che colpisce oltre che i flussi, anche lo stock economico, quello umano, quello sociale e, potenzialmente, anche quello ambientale. Basti pensare all’impatto nei prossimi mesi che potrebbe avere sull’ambiente una cattiva gestione dei dispositivi di protezione individuale. Infine, i vincoli del Next generation Eu sono i benvenuti; ora bisogna vigilare che gli investimenti vadano davvero nella giusta direzione, garantendo al tempo stesso coerenza tra politiche Ue e nazionali”.
di Ivan Manzo