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Garantire un salario minimo dignitoso nei Paesi dell’Unione europea
Novità dall’Ue 26/10 - 1/11: proposta di direttiva sul salario minimo adeguato e sue possibili anticipazioni nel Pnrr. Dal Cese: i contributi della società civile sono fondamentali per plasmare l’Europa in meglio. 2/11/20
La proposta di Direttiva della Commissione europea per un salario minimo adeguato nell’Ue
L’attesa proposta di Direttiva della Commissione europea per un salario minimo adeguato nell’Ue è stata adottata il 28 ottobre con la COM(2020) 682 final. L’obiettivo della proposta è centrale per il conseguimento di diversi Goal dell’Agenda 2030, non solo il Goal 8 che riguarda appunto il lavoro dignitoso, ma anche per il Goal 1 sulla lotta alla povertà, il Goal 10 sulla riduzione delle diseguaglianze, il Goal 5 sulla parità di genere. La Commissione mette ben in evidenza fin nelle premesse come la proposta sia in linea con gli impegni dell’Agenda Onu 2030 e con diversi principi del pilastro europeo dei diritti sociali.
La questione d’affrontare è sintetizzata dalla parole della presidente von der Leyen pronunciate nel discorso al Parlamento europeo del 16 settembre 2020 sullo stato dell’Unione: la verità è che per troppe persone il lavoro non paga più. Il dumping dei salari distrugge la dignità del lavoro, penalizza l'imprenditore che paga salari dignitosi e distorce la concorrenza leale nel mercato unico.
L’esperienza della crisi economica conseguente al Covid-19 che stiamo vivendo, ha poi particolarmente colpito i settori economici e i lavoratori precari con retribuzioni basse e sta avendo un forte impatto sulle fasce di popolazione più svantaggiate. Assicurare che i lavoratori dell’Unione abbiano opportunità d’impiego e di salari minimi adeguati è essenziale per supportare una ripresa economica sostenibile e inclusiva.
Quando fissato a livelli adeguati, la protezione del salario minimo garantisce una vita dignitosa per i lavoratori, aiuta a sostenere la domanda interna, rafforza gli incentivi al lavoro e riduce la povertà e le diseguaglianze dei lavoratori posti all'estremità inferiore della distribuzione dei salari. La protezione del salario minimo sostiene anche l'uguaglianza di genere, poiché più donne che uomini guadagnano salari pari o intorno al salario minimo.
La proposta di direttiva intende affrontare l’argomento con visione sistemica, garantendo che il livello minimo sia adeguato a una vita dignitosa e aggiornato nel tempo, che siano definiti meccanismi per assicurare il rispetto di retribuzioni minime concordate tra le parti sociali e/o stabilite a livello nazionale, che tutti i contratti di lavoro atipici rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva includendo oltre ai lavoratori che hanno un regolare contratto di lavoro, chiunque abbia una qualsiasi relazione lavorativa: lavoratori domestici, lavoratori a richiesta, lavoratori stagionali, lavoratori a voucher, finti lavoratori autonomi, lavoratori delle piattaforme, tirocinanti e apprendisti.
La valutazione d’impatto che accompagna la proposta di direttiva calcola che migliorare la protezione delle retribuzioni minime adeguate, ridurrà nettamente il fenomeno di quanti restano in condizioni di povertà pur avendo un impegno lavorativo, ridurrà di oltre il 10% la differenza di retribuzione e di oltre il 5% la differenza retributiva di genere. Gli impatti economici previsti includono un aumento del costo del lavoro per le imprese, un incremento dei prezzi e, in misura minore, una riduzione dei profitti. L'impatto sulle imprese sarebbe mitigato dall'aumento dei consumi dei lavoratori a basso salario, che sosterrebbe la domanda interna. Le imprese, in particolare le Pmi, trarrebbero vantaggio anche da aumenti salariali minimi più graduali e prevedibili, che migliorerebbero l'ambiente imprenditoriale. Incrociando i risultati di 48 studi internazionali, il possibile impatto negativo sull'occupazione dovrebbe essere limitato e rimarrebbe al di sotto dello 0,5% dell'occupazione totale nella maggior parte dei casi, raggiungendo massimo l'1% in tre Stati membri.
La proposta di direttiva prevede all’art.5 che gli Stati membri definiscano criteri nazionali di adeguatezza dei salari minimi e del loro aggiornamento, includendo la valutazione del potere d’acquisto, il livello generale delle retribuzioni medie e la loro distribuzione, la crescita della media delle retribuzioni, lo sviluppo della produttività del lavoro. A tal fine è richiesta l’istituzione di un apposito organo consultivo nazionale. Essenziale è il coinvolgimento delle parti sociali (art.7) nella fase di definizione del salario minimo. L’art.4 prevede che qualora la contrattazione collettiva coprisse meno del 70% della forza lavoro, gli Stati membri devono predisporre un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva.
Per garantire l’accesso di tutti i lavoratori ai salari minimi, devono essere rafforzati i sistemi di controllo ed ispezione (art. 8), e definite proporzionate misure sanzionatorie in caso di mancato rispetto (art.12), anche rafforzando le misure previste per l’esecuzione dei contratti d’appalto pubblici e le concessioni di servizi pubblici (art.9). Gli Stati membri devono rafforzare le misure di protezione dei lavoratori che denunciano il mancato rispetto dei propri diritti, garantendone un adeguato ristoro economico (art.11).
La Commissione europea svolgerà un’attività di monitoraggio della direttiva, sulla base di rapporti annuali che saranno prodotti dagli Stati membri.
Un’attivazione dei contenuti della direttiva è auspicabile anche in parallelo allo sviluppo del processo legislativo europeo e del suo recepimento da parte degli Stati membri. L’avvio delle attività previste può essere programmato nell’ambito dei piani di riforma richiesti nel semestre europeo e nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), con la visione sistemica del NextGenerationEu. Gli esempi indicati dalla Commissione europea nella guida agli Stati membri per i Pnrr (cfr.Swd(2020) 205 final del 17 settembre 2020), ne comprendono i contenuti.
La sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo
Si è tenuta dal 27 al 29 ottobre la sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo (Cese), con cui è stata eletta la nuova Presidente Christa Schweng (succedendo a Luca Jahier). Dal ricco discorso introduttivo al suo insediamento è stata messa in evidenza l’enunciazione di principio che l'esperienza pratica di datori di lavoro, lavoratori, consumatori, agricoltori e Ong è fondamentale per plasmare l'Europa in meglio, investendo di fatto a un dovere/diritto alla partecipazione per la definizione delle scelte politiche, tutta la società civile europea, nei singoli Stati membri e nei territori.
Nel corso della sessione sono stati discussi 17 pareri su diverse tematiche centrali per affrontare la crisi pandemica ed economica, per il Green deal, per le politiche sociali (l’elenco dei pareri suddiviso per Goal è nella rassegna allegata).
In particolare sono stati assunti pareri sulla strategia annuale di crescita sostenibile 2020 (cfr. Com (2019) 650 final) e sulla politica economica della zona euro (cfr. Com (2019) 652 final) con cui il Cese integra i pareri già assunti alla luce degli sviluppi recenti, dell'impatto della pandemia e delle successive misure di ripresa adottate.
Il Cese ritiene che la strategia annuale di crescita sostenibile offra un'opportunità per passare a un modello economico che dia lo stesso peso agli obiettivi economici e a quelli sociali e/o inclusivi. La prosperità economica è essenziale e può essere conseguita se la crescita apporta un valore aggiunto all'economia e alla società, oltre a fare realmente la differenza nella vita delle persone, potenziando al contempo la resilienza ai futuri shock esogeni e contribuendo a favorire la convergenza tra i paesi e le regioni. Il Comitato raccomanda inoltre una revisione strutturale delle norme del patto di stabilità e crescita, al fine di sostenere la ripresa economica e dare ai governi non solo un margine di manovra sufficiente, ma anche la capacità di realizzare gli investimenti infrastrutturali indispensabili, in particolare in rapporto ai cambiamenti climatici. La proposta è anche coerente con quanto recentemente indicato dall’European fiscal board scorsa settimana (cfr. rubrica Europa e Agenda 2030, 19-25 ottobre 2020). Inoltre invita a mantenere la flessibilità delle norme in materia di aiuti di Stato quale misura necessaria per sostenere le imprese di ogni dimensione nella transizione verso un'economia digitale e verde. Mentre in favore delle piccole e medie imprese si evidenzia come sia necessario consentire un adeguato accesso al credito e una revisione della strategia Ue per le Pmi.
Il Cese invita i governi ad adottare misure di sanità pubblica efficaci e a dotarsi di risorse adeguate per prevenire ulteriori contagi ed attuare politiche mirate a sostenere i sistemi di sicurezza sociale e proteggere le fonti di reddito dei gruppi sociali vulnerabili. A tal fine evidenzia la necessità di un ripensamento della politica fiscale nel quadro dell'Ue, anche allo scopo di sostenere gli investimenti pubblici nelle infrastrutture, nell'istruzione, nell'assistenza sanitaria e nella protezione sociale. Per quanto riguarda il Quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027, il Cese ribadisce il proprio dissenso nei confronti del Consiglio per aver ridotto l'entità della proposta iniziale della Commissione, con riferimento ai tagli su ricerca e innovazione, digitale e fondo per la giusta transizione.
Pacchetto infrazioni di ottobre: nuove messe in mora anche per l’Italia
Nel pacchetto infrazioni pubblicato dalla Commissione il 30 ottobre, è presentato un nuovo invito all'Italia a conformarsi alle prescrizioni della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente per quanto riguarda il particolato Pm10 e Pm2,5, poiché le misure già previste non sono sufficienti a mantenere il periodo di superamento il più breve possibile.
Costituzione in mora (Austria e Croazia oltre all’Italia) anche per non aver adottato un programma nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi conforme ai requisiti previsti dalla direttiva sul combustibile nucleare esaurito e sui rifiuti radioattivi (direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio). Gli Stati membri erano tenuti a recepire la direttiva entro il 23 agosto 2013 e a notificare per la prima volta alla Commissione i loro programmi nazionali entro il 23 agosto 2015.
L’Italia dispone ora di due mesi per rispondere alla Commissione.
di Luigi Di Marco