Cop 30
GIORNO 3. Belém ha l’energia: questa Cop può davvero fare la storia
Belém, 13 novembre 2025
Ieri si è sentito forte: questa Cop potrebbe davvero essere storica. Non solo nei testi, ma fuori dai padiglioni. Si è tornati a manifestare liberamente intorno alla conferenza, l’ultimo ricordo è della Cop 26, segno di uno spazio pubblico riaperto dopo anni di summit ospitati in Paesi che non rendevano facile manifestare.
Nel frattempo è arrivata la flotilla indigena: barche, comunità, amministratori, movimenti che hanno percorso il Rio delle Amazzoni, in un’iniziativa che ha riunito circa 60 organizzazioni indigene non solo della Panamazzonia, ma anche del resto del Continente. Il gruppo ha completato un viaggio fluviale di oltre 3mila chilometri, iniziato a Puerto Francisco de Orellana (Ecuador), e proseguito attraverso il Perù e il Brasile, con l’obiettivo di consegnare un messaggio ai leader mondiali che parteciperanno alla Cop 30. La flotilla porta a Belém tre richieste principali: fermare ogni nuova esplorazione petrolifera e di gas in Amazzonia; garantire la protezione integrale dei popoli indigeni in isolamento; creare un fondo climatico globale, diretto e trasparente, che riconosca i popoli indigeni come partner strategici nell’azione per il clima. La prospettiva è quella di mettere l’Amazzonia al centro della lotta per la giustizia climatica ed esigere la fine dell’uso e dello sfruttamento dei combustibili fossili.
Dietro le quinte, la presidenza è al lavoro notte e giorno su una cover decision, cioè il testo politico finale, che, già al terzo giorno, esiste in bozza. L’obiettivo non è piccolo: un nuovo mandato politico sotto l’Accordo di Parigi con roadmap, date e scadenze per un’uscita graduale e ordinata dai fossili entro un decennio, allineata a scienza e obiettivi di Parigi e facendo leva sul testo del Global Stocktake 2023. Il linguaggio ruota attorno alla giusta transizione e al ruolo della scienza.
Altro da sapere sui negoziati?
- La Baku to Belém Roadmap è, in pratica, il piano di percorso su come i Paesi dovrebbero organizzarsi per trovare e mobilitare i soldi necessari alla finanza climatica nei prossimi anni. Sarà discussa sabato. Alcuni Paesi vogliono che a guidarla ci sia anche un coinvolgimento diretto dei ministri delle Cop 29 e 30, così da arrivare già a Belém con proposte operative concrete. Parte dei Paesi sviluppati però frena, mentre il G77 ricorda che senza una vera implementazione la roadmap rischia di rimanere solo sulla carta e non colmare il divario finanziario legato al nuovo obiettivo globale di finanza (Ncqg). Sul tavolo c’è anche la richiesta dei Paesi meno sviluppati di triplicare i fondi per l’adattamento, arrivando a circa 120 miliardi di dollari l’anno entro il 2030: per alcuni donatori significherebbe riaprire negoziati delicati, ma per i più vulnerabili è l’unico modo per dare sostanza al Global Goal on Adaptation.
- Transizione equa: il G77 (134 Paesi + Cina) propone un Just Transition Mechanism. In parallelo cresce una convergenza – tra Paesi in via di sviluppo e sviluppati – sulla necessità di criteri sociali e ambientali nella catena dei minerali critici, perché “decarbonizzare” non può voler dire spostare ingiustizie altrove.
- Roadmap di uscita dai fossili e stop alla deforestazione: il presidente della Cop, Correa do Lago, ha dichiarato che: “non è un punto in agenda” e “non è stato formalmente sollevato alla Cop”. Il dibattito si sposta così sul piano politico più che su quello tecnico dell’agenda.
Belém con la Cop 30 respira democrazia e conflitto e questa ambivalenza sta tenendo vivo il negoziato. Se la scommessa della cover decision reggerà, la Cop 30 può davvero “spostare l’asticella”: una tabella di marcia credibile su fossili e giusta transizione, mentre adattamento e finanza escono dalla retorica e diventano compiti datati.

di Andrea Grieco
