Editoriali
I grandi tornano a parlarsi, ma con pochi progressi sulla sostenibilità
Il Summit del G7 si è concluso con 25 pagine di buone intenzioni. Per il clima vedremo presto se saranno rispettate. Intanto l’Italia scopre che la povertà è aumentata e che colpisce soprattutto i giovani.
di Donato Speroni
È stata la settimana di Joe Biden in Europa: il G7 in Cornovaglia, il vertice Nato a Bruxelles, l’incontro con Vladimir Putin a Ginevra. Un successo, secondo gran parte dei commentatori, perché ha rinsaldato i legami tra le potenze occidentali e anche perché ha delineato con chiarezza le caratteristiche del confronto con la Russia e, pur con qualche presa di distanza, le linee di comportamento verso la Cina.
Che cosa è cambiato, dopo questa girandola di incontri, per i temi più importanti dello sviluppo sostenibile, che in larga misura dipendono proprio dagli accordi internazionali? Per rispondere a questa domanda dobbiamo necessariamente partire dalle conclusioni del vertice in Cornovaglia. Il sito del G7 a presidenza inglese include diversi documenti: oltre al lunghissimo comunicato finale (25 pagine) un Nature compact e un Research compact, una Health declaration e un Open societies statement. Siamo abituati a non dare troppa importanza a questi comunicati pieni di buone intenzioni; tuttavia essi definiscono il percorso comune che i Paesi firmatari si ripromettono di affrontare. Spesso molti impegni vengono disattesi, ma in questa fase di speranza e di ripresa del multilateralismo è opportuno vedere quello che i grandi della terra sottoscrivono e promettono.
Della lotta alla crisi climatica si parla nel documento principale. Il Comitato scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile ha tradotto in italiano questa parte del comunicato e dal suo lavoro (compreso un commento critico sotto forma di punto interrogativo) traggo le citazioni che seguono. Nella parte introduttiva del documento si riafferma:
Proteggere il nostro pianeta promuovendo una rivoluzione green che crea posti di lavoro, riduce le emissioni e cerca di limitare l'aumento delle temperature globali a 1,5 °C. Ci impegniamo ad emissioni zero nette entro il 2050, dimezzando le nostre emissioni collettive nel corso dei due decenni (?) fino al 2030, ad aumentare e migliorare i finanziamenti per il clima fino al 2025, e conservare o proteggere almeno il 30% della nostra terra e degli oceani entro il 2030. Riconosciamo il nostro dovere di salvaguardare il pianeta per le generazioni future.
I numerosi paragrafi dedicati a questo tema riaffermano alcuni impegni in materia di cambiamento climatico e tutela della biodiversità. Innanzitutto, si sottolinea il ruolo centrale della prossima Cop 26 di Glasgow:
Come membri del G7, riaffermiamo tutti il nostro impegno nei confronti dell'Accordo di Parigi e nel rafforzamento e nell'accelerazione della sua attuazione attraverso solide politiche e misure nazionali e una maggiore cooperazione internazionale. A tal fine, ci impegniamo collettivamente in sforzi ambiziosi e accelerati per raggiungere le emissioni zero nette di gas a effetto serra il prima possibile e al più tardi entro il 2050, riconoscendo l'importanza di azioni significative in questo decennio. In linea con questo obiettivo, ciascuno di noi si è impegnato ad aumentare gli obiettivi per il 2030 e, ove non già fatto, a presentare contributi allineati a livello nazionale (NDC) il prima possibile, prima della COP26, che ridurrà le nostre emissioni collettive di circa la metà rispetto al 2010 o più della metà rispetto al 2005. Ci impegniamo inoltre a presentare strategie a lungo termine (LTS) 2050 alla COP26 e ad aggiornarle regolarmente secondo necessità in linea con l'accordo di Parigi per riflettere gli ultimi progressi scientifici, tecnologici e gli sviluppi del mercato.
Viene inoltre riconosciuta l’importanza di affrontare congiuntamente, in sede di Cop 26, il tema dell’adattamento e, passaggio particolarmente importante, si ribadisce l’impegno per il Green Climate Fund che già dal 2020 avrebbe dovuto mettere a disposizione dei Paesi in via di sviluppo per la loro transizione energetica 100 miliardi all’anno e che finora non ha raccolto neppure un decimo di quella somma.
Riconosciamo le particolari sfide che il finanziamento della transizione verso un'economia netta zero pone per i Paesi in via di sviluppo e sosteniamo i nostri impegni bilaterali e multilaterali a sostegno di questi partner, nel contesto di sforzi di decarbonizzazione significativi e trasparenti. Riaffermiamo l'obiettivo collettivo dei Paesi sviluppati di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all'anno da fonti pubbliche e private, fino al 2025, nel contesto di azioni di mitigazione significative e trasparenza sull'attuazione.
Tra gli altri impegni sottoscritti, che sono davvero numerosi e che suggeriamo di rivedere in forma integrale, l’azzeramento progressivo dei sussidi pubblici ai carburanti fossili.
Tra i firmatari del documento c’è il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, che ha anche avuto, come tutti hanno riconosciuto, un ruolo di rilievo nella conduzione dell’incontro in Cornovaglia. Ricordiamo che anche per l’Italia gli impegni sottoscritti non sono banali: non solo quello più volte ribadito (ma non ancora esplicitato nel suo percorso) di decarbonizzazione al 55% entro il 2030, ma anche l’eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi, nonché un significativo aumento degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo per la transizione energetica. C’è anche l’impegno alla messa a punto di un piano di net zero entro il 2050 che, come ci ha ricordato un recente documento dell’Agenzia internazionale dell’energia citato anche nel comunicato del Summit, definisce un percorso molto impervio per raggiungere l’obiettivo.
Nel complesso però sulla crisi climatica gli impegni sono stati presi e prima della conclusione della Cop26 di Glasgow avremo modo di verificare se ci si avvia a mantenerli. Ma che dire degli altri aspetti della sostenibilità? Di povertà e diseguaglianze si parla in diversi punti del documento, anche in relazione alla necessità di
affrontare il rapporto tra le crisi sanitarie e le più ampie determinanti sociali quali la povertà e le disuguaglianze strutturali, con l’obiettivo di non lasciare nessuno indietro e di far avanzare il progetto di una copertura sanitaria universale.
L’aspetto più concreto, per quanto riguarda la lotta a povertà e disuguaglianze, è però contenuto nel paragrafo 65 del Comunicato, nel quale si sottolinea l’impegno sottoscritto dai ministri delle Finanze del G7 con i governatori delle banche centrale per l’utilizzo di 650 miliardi di dollari di Diritti speciali di prelievo da parte del Fondo monetario internazionale, raccomandando che vengano incanalati verso un ulteriore supporto alle necessità sanitarie, compresi i vaccini, e per aiutare i Paesi maggiormente colpiti a mettere in atto riprese robuste e più verdi. In particolare, 100 miliardi dovrebbero essere destinati ai Paesi più poveri.
Questa presa di posizione ha avuto il plauso anche di Oxfam international, che nel complesso però ha dato un giudizio molto pesante sul vertice per l’incapacità di affrontare il problema della liberalizzazione dei brevetti sui vaccini e per la genericità di molti altri impegni:
Questo G7 sarà ricordato con infamia. Doveva affrontare la più grande emergenza sanitaria da un secolo a questa parte e una catastrofe climatica che sta distruggendo il nostro pianeta, ma ha completamente fallito l’impegno di fronte a queste sfide dei nostri tempi. Mai nella storia dei G7 si è vista una distanza così ampia fra le loro azioni e le necessità del mondo. Di fronte a queste sfide, il G7 ha scelto di imbrogliare i conti sui vaccini e di continuare a cuocere il pianeta (letteralmente: “to cook the books on vaccines and to cook the planet”). Non c’è bisogno di aspettare la Storia nel giudicare questo summit come un fallimento colossale; questo lo possono già vedere tutti.
Forse è un giudizio eccessivo e ingeneroso, ma data l’importanza di questa organizzazione nella lotta alla povertà andava certamente registrato.
Dobbiamo anche chiederci se la riunione, questa volta estesa anche ad altre quattro democrazie del Pianeta, qualcuna per la verità un po’ zoppicante, e cioè Australia, Corea del Sud, India e Sudafrica, potrà far fare un passo avanti alla difesa dei diritti umani, cioè a quel mondo più giusto indicato dall’Obiettivo 16 dell’Agenda 2030. L’Open Societies statement, sottoscritto da tutti i dieci Paesi, è in effetti un inno alla libertà di espressione, alla rule of law e al pluralismo, con una serie di impegni che vanno dallo scambio di informazioni alla lotta alla corruzione, dalla gender equality alla collaborazione sulle sfide globali con risposte science based. Forse sono solo parole, ma una dichiarazione di questo genere sottoscritta dalle maggiori democrazie del mondo merita attenzione e appoggio, anche perché si colloca, come dice il documento stesso, nel quadro dell’Agenda 2030 dell’Onu e dei suoi 17 Obiettivi.
Per l’Italia, la settimana che si chiude è stata segnata dai buoni risultati sul fronte del Covid, con il passaggio in “zona bianca” di quasi tutto il Paese, ma anche dalla presa d’atto delle cicatrici lasciate dalla pandemia. I dati diffusi dall’Istat sulla povertà assoluta nel 2020 indicano un milione di persone in più che non sono in grado di acquistare un paniere di beni essenziali e sono un grave segnale di allarme, anche considerando che il Target 1.2 dell’Agenda 2030 ci impone di dimezzare la povertà secondo gli standard nazionali entro il 2030: quindi almeno due milioni e mezzo di poveri in meno rispetto agli attuali 5,6 milioni. È difficile che questo obiettivo possa essere raggiunto soltanto accelerando la ripresa economica. Servono ulteriori misure contro la povertà e misure di ridistribuzione del reddito, guardando alle fasce che effettivamente sono più svantaggiate. Su questo tema riprendo, tra i tanti, il commento di Stefano Feltri sul Domani:
La fotografia dell'Istat è questa: la percentuale di famiglie in povertà assoluta tra famiglie giovani (18-34) anni è il doppio che tra le famiglie con la "persona di riferimento" sopra i 64 anni: 10,3 per cento contro 5,3. L'incidenza della povertà assoluta è all'11,3 per cento tra i giovani e al 5,4 tra gli over 65. Gran parte delle misure adottate nella pandemia hanno protetto i più adulti a spese dei più giovani: il blocco dei licenziamenti ha protetto i posti di lavoro esistenti e spinto le imprese a risparmiare sulle nuove assunzioni, i precari, le partite Iva. Durante il Covid, il debito pubblico è passato dal 134,6 per cento del Pil a1 159,8 atteso per quest'anno: soldi spesi non per investimenti ma a integrare i redditi della generazione attuale, falcidiati dai lockdown. Una zavorra che peserà a lungo sul futuro, perché si tratta di debito forse inevitabile ma che non produrrà crescita futura, perché è spesa corrente e non investimenti.
Questo articolo si collega bene a quello di Giuseppe Bottero sulla Stampa, sulle condizioni di lavoro inaccettabili che vengono offerte ai giovani
Il sistema che riaccende i motori ha fame di forze fresche, e paiono difficili da intercettare. A volte, le paghe sono troppo basse; altre, si punta a profili iperspecializzati. C'è un dato di Veneto Lavoro, riferito a maggio e riportato da Linkiesta: su 21.250 nuovi posti, la quasi totalità (21.008) erano a termine per la ripresa del turismo. È un impiego che un laureato dovrebbe accettare? Secondo Silvia Merler, capo della ricerca dell'Algebris Policy & Research Forum, i «camerieri plurilaureati a 600 euro al mese ci sono, il problema è che sono solo la punta dell'iceberg». In Italia, dice, c'è un sistema che funziona a fatica. «Nel nostro Paese i salari sono tra i più bassi d'Europa, e sono stagnanti da più di vent'anni» conferma Andrea Garnero, economista Ocse.
Ancora una volta, tutto porta a dire che questo non è un Paese per giovani. In Parlamento è in discussione una modifica della Costituzione che tutela l’ambiente e gli animali. Una proposta benemerita che anche noi abbiamo lodato. Però... bisognerebbe guardare anche alla protezione di quei panda che rischiano di diventare i giovani italiani, aggiungendo all’emendamento qualche parolina sulla giustizia intergenerazionale.