Editoriali
Deve passare la nottata, ma interroghiamoci sul mondo che verrà
Putin sta provocando una tragedia immane, ma non può vincere. Come avvenne quando ancora si combatteva la Seconda guerra mondiale, da subito bisogna costruire una prospettiva diversa, basata sui nostri valori.
di Donato Speroni
Sarebbe stato diverso se a guidare gli equilibri dell'ultimo secolo fossero state le donne? Non possiamo saperlo. Non lo sapremo mai, finché non ci sarà vera eguaglianza. Finché sarà ancora necessario celebrare l'8 marzo, ricordando tutte le volte che il suo significato viene tradito.
Sulla Stampa, Annalisa Cuzzocrea ha dedicato l’8 marzo alle donne ucraine:
che lottano, cercano riparo, cibo, respiro. A quelle che fuggono e a quelle che restano. Perché da sempre, in tutte le guerre che i vaneggiamenti, gli errori e le sottovalutazioni degli uomini hanno portato, le donne hanno combattuto e combattono: mettendo al sicuro chi non può farlo da solo, imparando a imbracciare un fucile se serve, soffrendo tutto l'orrore del mondo.
Certo nessuno poteva immaginare che dopo due Giornate della donna caratterizzate dalla pandemia ne avremmo avuta una all’insegna della guerra. È stata comunque l’occasione per fare il punto sui progressi e sui ritardi nella parità di genere e lo abbiamo fatto anche noi, sia sul sito ASviS con brani e video riepilogativi, sia su Futura network con due articoli sulle tendenze dell’empowerment femminile, nelle realtà aziendali e nelle professioni scientifiche.
Ma è chiaro a tutti che siamo di fronte a un salto di epoca, paragonabile ala caduta del muro di Berlino o all’attacco alle Torri gemelle: comunque finisca questa terribile guerra in Ucraina, il mondo non sarà più come prima. Di una cosa siamo certi: non sarà Vladimir Putin a imporci la sua visione. Da più parti si afferma che andiamo verso un nuovo assetto internazionale, che potrebbe rilanciare il ruolo delle democrazie occidentali di nuovo unite di fronte alla sfida. Con quale prospettiva?
È bene parlarne prima ancora che finisca la nottata. Gli accordi di Bretton Woods delinearono il sistema economico internazionale del dopoguerra già nel luglio 1944. Le basi dell’Onu furono gettate nella Conferenza di San Francisco, che si aprì il 25 aprile 1945, una data storica per l’Italia ma che precedette la fine dei combattimenti. Insomma, anche quando un conflitto è ancora in corso, è giusto pensare al “dopo”, al mondo che si vuole costruire. Un mondo, magari, nel quale le donne conteranno di più, ma che veda un rilancio di istituzioni internazionali effettivamente funzionanti, nuove solidarietà e forse anche, contrariamente a quello che molti temano, una accelerazione dei progressi verso uno sviluppo sostenibile.
Cominciamo dall’Onu. Ha ancora un senso? Sappiamo che di fronte a una aggressione violenta come quella in atto può fare ben poco. È positiva ed eccezionale la presa di posizione contro la Russia dell’Assemblea generale in una sessione speciale del 28 febbraio, ma al di là di questo episodio l’Onu è bloccato dai poteri di veto nel Consiglio di sicurezza. Come ha scritto su Avvenire l’ambasciatore Carlo Trezza, già presidente della Conferenza del disarmo a Ginevra,
Occorre dare atto di quanto si sta facendo all'Onu, tenendo conto dei limiti e delle debolezze esistenti. Andrebbe modificata anzitutto la norma in virtù della quale, come è il caso attuale della Russia, un Paese può sedere al tempo stesso sul banco degli imputati e nel collegio che lo deve giudicare (per di più con diritto di veto).
Sarebbe però un errore prendere spunto da questa debolezza dell’Onu per argomentare che il Palazzo di vetro è inutile. Per esempio, negli stessi giorni nei quali si verificava la sua impotenza rispetto alla situazione bellica, a Nairobi si concludeva la quinta Assemblea dell’Onu sull’ambiente, con 17 documenti votati da tutti i 193 Paesi aderenti all’organizzazione. Non si tratta di mozioni di poco conto, perché riguardano la lotta alla plastica, la gestione dei rifiuti, l’economia circolare, tanto da far dire a Inger Andersen, direttore esecutivo dell’Unep, che “questo è stato l'accordo ambientale multilaterale più significativo dall'accordo di Parigi”. Insomma l’Onu, nella sua attuale struttura, non è in grado di affrontare efficacemente le gravi crisi politiche o peggio militari, ma svolge comunque un compito prezioso di tessitura multilaterale indispensabile per la costruzione di un mondo sostenibile.
Europa e Stati Uniti si porranno in modo diverso sulla scena internazionale? Dopo aver esaminato la sindrome autodistruttiva che ha afflitto in questi anni l’America (ne sono sintomi sia il trumpismo sia la cancel culture), con riflessi, in termini di perdita di autostima, anche nel nostro Continente, Federico Rampini sul Corriere della sera afferma:
Ora Putin sembra aver ottenuto il risultato opposto ai suoi desideri: pare abbia risvegliato davvero l’unità dell’Occidente, il nostro amor proprio e la volontà di difendere la democrazia. La coesione fra Europa e Stati Uniti ha sorpreso tutti. L’arsenale di sanzioni economiche messe in campo è senza precedenti. I tedeschi cominciano a prendere sul serio la difesa e il progetto di esercito comune europeo potrebbe uscire da un letargo trentennale. Si sentono annunciare svolte energetiche drastiche per ridurre la dipendenza insostenibile dalla Russia. Forse l’aggressione all’Ucraina è stata uno shock salutare, l’inizio di una presa di coscienza, perfino di una rinascita.
Wishful thinking? Può darsi. È vero però che le grandi svolte nascono nei momenti di crisi, quando ci si rende conto che bisogna reagire perché le premesse del benessere nel quale ci si è cullati fino a quel momento rischiano di sbriciolarsi.
La crisi potrebbe anche sciogliere alcuni nodi della politica europea, a cominciare dall’immigrazione. Non si può negare che di fronte alla crisi ucraina, al confronto con il dramma di chi fuggiva dalle guerre in Medio Oriente, l’Europa ha usato due pesi e due misure: grande (e giusta) apertura ai profughi dall’Ucraina, chiusura senza pietà a chi congelava nelle foreste della Bielorussia. In parte questa differenza di trattamento può essere attribuita alla Polonia, ma probabilmente anche il governo di Varsavia si sarebbe comportato diversamente se nella precedente crisi avesse avvertito la disponibilità degli altri Paesi europei ad accogliere i profughi che transitavano per il suo territorio. Insomma, quello che sta accadendo, come ha osservato anche il Financial times, è la dimostrazione che la politica europea sulle migrazioni deve essere ripensata e questa crisi potrebbe essere l’occasione giusta per farlo.
Anche in materia di politica economica la crisi apre a nuove prospettive. Si dovrà ripensare il bilancio comune e guardare con occhi nuovi al rinnovo del Patto di stabilità; si dovranno finalmente definire le linee guida di una politica energetica europea, ma anche, come osserva Politico, assisteremo al rilancio del concetto di autonomia strategica patrocinato da Emmanuel Macron: rendere l’Europa meno dipendente dal resto del mondo, riportando per quanto possibile le produzioni essenziali all’interno dell’Unione.
I Paesi più liberali in Europa - e molti esponenti della Commissione - hanno sempre fatto resistenza di fronte a quest’idea francese. Ma ora con la guerra alle porte dell’Europa, i prezzi dell’energia alle stelle, le catene di fornitura sconvolte e l’aumento dei costi di produzione degli alimentari, la spinta di Macron sta guadagnando forza.
E l’Italia? Come uscirà il nostro Paese da questa terribile crisi? Pochi giorni dopo che i carri armati russi hanno varcato il confine ucraino, il ministero dell’Economia e delle finanze ha diffuso il suo rapporto previsionale (aggiornato all’ultima Legge di bilancio) sull’impatto della politica economica sul benessere collettivo nel triennio 2022-24: un obbligo di legge che consente uno sguardo più ampio sui rapporti tra economia e situazione sociale e ambientale. Il documento è stato scritto prima dello scoppio della guerra e il tono complessivo è moderatamente ottimista: abbiamo pagato un presso pesante con la pandemia, ma man mano le cose dovrebbero andare meglio.
La guerra cambia profondamento questo quadro, ma dobbiamo decidere a che cosa siamo disposti a rinunciare. Per esempio, un taglio agli approvvigionamenti di gas russo, secondo la stima di Goldman Sachs, potrebbe innescare una recessione internazionale e ridurre del 2,6% la crescita italiana nell’anno in corso.
Pippo Ranci, già presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e membro del Segretariato dell’ASviS, ci dice, sul Sole 24 Ore, che alla fine la scelta dipende da noi. Dopo aver esaminato le varie opzioni in merito al taglio delle forniture di gas dalla Russia e alle conseguenze sulle nostre vite, scrive:
Per prendere una decisione è necessaria una valutazione comparativa dei rischi, economici e politici, connessi con le diverse opzioni. Una soluzione senza rischi, in questo come in altri casi, non esiste. Stiamo attraversando il valico tra un mondo in cui i conflitti si risolvono con la forza bruta e un mondo in cui l'uso della lotta economica fornisca il tempo e le pressioni per impone una composizione negoziale, ovviamente al costo di sacrifici che possono essere grandi e ricadere su molti, ma che per quanto drammatici non sono comparabili ai massacri della guerra.
Anche Federico Fubini, sul Corriere della Sera, ci chiede quali sacrifici siamo disposti ad affrontare per accorciare questa guerra.
Il prezzo per fermare Putin è alto, sale ogni giorno e va misurato contro il rischio di un allargamento della guerra. Ma siamo democrazie: il posto ideale per un confronto aperto con i cittadini sui costi, i benefici e i sacrifici necessari, o gli indennizzi per i Paesi, le famiglie e le imprese più esposte. È il momento di decidere cosa siamo pronti a fare per i valori che diciamo essere i nostri.
Condividiamo queste parole aprendo i nostri organi di informazione per favorire il dibattito. Da questa settimana il sito asvis ospita uno spazio #AlleanzaAgiscexUcraina: analogamente a quanto abbiamo fatto quando è esplosa la pandemia, racconteremo le iniziative, le riflessioni, le proposte dei nostri aderenti e di tutto il mondo che gravita attorno all’Alleanza, per aiutare un popolo aggredito, ma anche per prepararci al meglio a un nuovo mondo certamente molto diverso dal passato.