Editoriali
La società dei “tre zeri” contro il “mondo dei due terzi” che ci minaccia
La Giornata dell’ambiente e l’imminente vertice annuale Hlpf sono occasione per un bilancio critico sull’attuazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Molte le proposte per cambiare rotta ed evitare un fallimento globale.
di Donato Speroni
Il percorso di questi decenni non è stato e non è tuttora lineare. Ha conosciuto battute d’arresto e colpevoli ritardi e, tuttavia, per dare futuro all’umanità dobbiamo essere capaci di governare i cambiamenti climatici, arrestare lo sfruttamento delle risorse non riproducibili, concepire lo sviluppo in termini di sostenibilità ecologica e sociale. (...) Destino dell’uomo e destino dell’ambiente non sono mai stati così strettamente connessi come nel nostro tempo.
Così si è espresso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nella sua dichiarazione di domenica 5 in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, che celebrava anche i 50 anni dalla Dichiarazione di Stoccolma
che per la prima volta affermò in modo solenne, insieme al diritto alla libertà, all’uguaglianza e a condizioni di vita dignitose per ogni persona, anche il dovere di proteggere e migliorare l’ambiente per garantire il futuro alle nuove generazioni.
Con le sue parole Mattarella ha colto aspetti importanti: che la battaglia per la sostenibilità data ormai da mezzo secolo (quest’anno si celebrano anche i 50 anni del Club di Roma che nel 1972 pubblicò “The limits of growth”, la storica ricerca del Mit sui limiti della crescita); che questa battaglia è tutt’altro che vinta, con arresti e ritardi; che comunque non si possono accantonarne gli obiettivi, perché è a rischio il destino stesso dell’umanità, strettamente legato a quello dell’ambiente.
Toni altrettanto preoccupati si possono ritrovare anche nei documenti preparatori del prossimo High level political forum, l’appuntamento annuale dell’Onu per fare il punto sull’attuazione dell’Agenda 2030. In questa sessione anche l’Italia, come molti altri Paesi, presenterà la sua Voluntary national review, con l’aggiornamento della sua Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, rispetto alla versione presentata nel 2017 dall’allora ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. La nuova strategia è tuttora un work in progress, nel Forum promosso dal ministero della Transizione ecologica con il concorso della società civile (e la partecipazione dell’ASviS). Del lavoro in corso si discute nella puntata di questa settimana di Alta sostenibilità, la rubrica dell’ASviS su Radio radicale, ma avremo modo di riparlare della Strategia italiana quando il testo definitivo sarà inviato al Palazzo di vetro.
Dall’Onu intanto arrivano messaggi molto preoccupati, ma ricchi di indicazioni importanti per il futuro, al 2030 e anche oltre. Progress towards the Sustainable Development Goals è il resoconto del Segretario generale António Guterres sulla attuazione dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030. Descrive tutti i ritardi provocati da due anni di pandemia e dalle numerose situazioni di conflitto e violenza nel mondo. Il bilancio non è positivo, ma Guterres prende spunto da questa situazione per proporre un rinnovato impegno che presuppone innanzitutto una revisione della “architettura finanziaria” necessaria per raggiungere gli SDGs. Il senso è evidente: ogni ritardo nell’attuazione degli SDGs (si pensi per esempio all’obiettivo di cancellazione della povertà estrema) ha un costo, al quale si può far fronte solo con un maggiore investimento internazionale. Ma per raccogliere le risorse e investirle al meglio contro la povertà e la fame (così come per gli altri Obiettivi in difficoltà nell’Agenda), occorre un’azione multilaterale concorde. Sembra un’utopia in questo momento di crisi e guerra, ma è l’unica strada per evitare che ci piombino addosso altri drammi provocati dalla “tempesta perfetta” della insostenibilità ambientale, economica e sociale.
Ai vertici del Palazzo di vetro appare comunque chiaro che non bastano gli appelli, e neppure le tante manifestazioni e buone pratiche in favore della sostenibilità: è necessario porre le basi per una strategia globale nuova, che vada anche al di là del decennio e getti il cuore oltre l’ostacolo, se anche si dovesse concludere nel 2030, come è probabile, che molti obiettivi fissati 15 anni prima non sono stati pienamente raggiunti. Da qui la pubblicazione di altri due rapporti Onu, con autori diversi ma tema analogo, che abbiamo riassunto in una segnalazione su futuranetwork. Il rapporto “Long-term future trends and scenarios - impacts on the realization of the Sustainable Development Goals”, presentato anch’esso dal Segretario generale, delinea un nuovo “scenario di sviluppo sostenibile”, il Sustainable development path. Che è già diventato un nuovo acronimo, Sdp, nel linguaggio onusiano. Con il concorso di eminenti scienziati, sono state esplorate le prospettive di sei grandi aree: efficienza delle risorse; modifica dello stile di vita; mitigazione climatica; cambiamento nei modelli di consumo (energia e uso del suolo); finanza climatica internazionale; programmi nazionali di riduzione della povertà finanziati dai proventi della tariffazione del carbonio.
Sono sei anche le aree trattate in un altro documento diffuso dall’Onu che ha analizzato le aree strategiche da cui dipende la ripresa dell’economia globale e il percorso verso lo sviluppo sostenibile. Si tratta del rapporto “Six big questions for the global economic recovery”, prodotto dallo Un high level advisory board (Hlab), il Comitato consultivo di alto livello delle Nazioni unite per gli affari economici e sociali, un gruppo formato da ex capi di Stato e alti funzionari di governo, premi Nobel e altri esperti. Il loro documento si esprime appunto attraverso sei grandi domande "per una ripresa globale nel 2022 e oltre": politiche economiche, investimenti allineati agli SDGs, disuguaglianza, cambiamenti climatici, tecnologia, invecchiamento della popolazione.
L’impressione generale, da questo insieme di testi diffusi dal Palazzo di vetro, è che i ritardi porteranno a una drammatica conseguenza: ci stiamo avviando verso un mondo che non rispetterà l’impegno di “non lasciare nessuno indietro”. C’è chi già parla del “mondo dei due terzi”: approssimativamente, su una popolazione globale di otto miliardi, cinque miliardi “se la caveranno” mentre altri tre saranno ricacciati sul fondo del sottosviluppo e della miseria. Si può tracciare una prima linea di demarcazione: Paesi industrializzati ed emergenti da una parte; quasi tutte le nazioni dell’Africa, molte dell’Asia e alcune del Sud America dall’altra. Ma il divario si esprime anche nelle crescenti disuguaglianze all’interno dei singoli Paesi.
Le cronache di questi giorni, con la minaccia della carestia dovuta alla guerra provocata dalla invasione russa dell’Ucraina, sommata alle disastrose conseguenze climatiche in diverse aree (compresa l’ultima strage in Nigeria per i contrasti sulle terre che si stanno inaridendo), ci dicono che il mondo dei due terzi è purtroppo una prospettiva realistica, anche se instabile per i germi di insostenibilità sociale che contiene.
Si può invertire la rotta, come auspicano i documenti Onu? Questo interrogativo è stato al centro di molti dibattiti nei due Festival concorrenti di Trento e di Torino (ennesima anomalia italiana). Il premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, fondatore della “banca dei poveri” Grameen, è stato invitato a parlare di “impresa sociale”, ma ha allargato il suo discorso alla riforma del capitalismo e dei comportamenti individuali. Citiamo dalla cronaca di Laura La Posta sul Sole 24 Ore:
Tutti (i partecipanti al dibattito, Ndr) concordi nell'affermare il valore dell'impresa sociale come leva per costruire uno sviluppo sostenibile più equo, ecologico, inclusivo, a misura di essere umano, rifondando il capitalismo. Una leva potente per uscire dalla crisi post pandemica e bellica attuale. Facile a dirsi, ma come si passa dalle parole ai fatti? «Basta uscire dall'egocentrismo e ragionare usando il "noi", puntare non tanto sulla nostra felicità quanto su una "super felicità" data dal generare benessere non solo per se stessi ma anche per le persone che ci circondano», ha argomentato Yunus. Il quale ha lanciato una proposta: puntare sull'obiettivo «Tre zeri». «Vogliamo tutto, ma siamo poveri perché non sappiamo gioire del poco e quindi il tanto risulta invisibile - ha spiegato il Nobel -. Invece avremmo bisogno di perseguire zero emissioni (anche a livello individuale), zero concentrazione delle ricchezze su poche persone, zero disoccupazione. È il ruolo sociale che definisce l'identità delle persone, quindi la società dovrebbe puntare sull'azzeramento degli sprechi». Yunus ha lanciato l'idea di creare dei club «Tre zeri». «Se ognuno crea un club, all'università, impegnandosi a portare avanti questi tre obiettivi nella sua vita e attirando nella sfida altre cinque persone che si comportano allo stesso modo, allora il bene diventa virale e replichiamo il modello di successo della Grameen Bank».
L’appello di Yunus era rivolto ai numerosi giovani in platea:
«Siamo tutti su una navicella in viaggio nello Spazio, che noi vecchi e i nostri avi hanno portato lungo la rotta suicida dei cambiamenti climatici e della spoliazione delle risorse comuni: invito voi giovani a entrare in cabina di pilotaggio e a prendere in mano la cloche per virare e salvare l'astronave Terra».
Molti consensi per il “banchiere dei poveri”, ma bisogna rendersi conto che la sua ricetta è estremamente radicale: sarebbe interessante provare davvero a costruire un modello socioeconomico di società basata sui “tre zeri”. Nel frattempo, aspettando che i giovani arrivino in cabina di pilotaggio, sarà bene che chi è alla cloche attui una prima decisa inversione di rotta verso una meta che certo non sarà il “punto 000”, ma dovrebbe tendere in quella direzione.
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