Editoriali
Il progresso dell’Agenda 2030 dipende da una nuova architettura finanziaria
L’incontro dell’Onu sugli SDGs si è concluso con una serie di enunciazioni che dovranno essere verificate nei prossimi mesi. In occasione del Summit approvata anche la Strategia italiana, che ora va sostanziata.
di Donato Speroni
L’SDG Summit del 18 e 19 a New York è stato un successo? Lo potremo dire tra un anno, quando in occasione dell’Assemblea generale dell’Onu del settembre 2024 si terrà il Summit of the future, di cui la riunione nei giorni scorsi costituiva una preparazione, destinata a fare il punto sul raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs nell’acronimo inglese) dell’Agenda 2030 e ad accelerarne l’attuazione.
Al Summit si è registrata un’ampia partecipazione di capi di Stato e di governo; contrariamente ai timori della vigilia, è stato anche possibile mettere a punto una dichiarazione finale condivisa. Non è poco, nell’attuale situazione geopolitica, anche se i suoi 43 punti sono piuttosto confusi, ricchi di buone intenzioni, che appunto dovranno essere verificate nelle iniziative concrete dei prossimi mesi. Infatti il segretario generale dell’Onu António Guterres ha invitato i governi a dedicare le prossime Voluntary national review, i rapporti nazionali sulla attuazione degli SDGs, ai progressi compiuti nel raggiungimento degli impegni sottoscritti in questo Summit.
Guterres ha aperto l’incontro enunciando con chiarezza le priorità, dalla sicurezza alimentare alla promozione delle energie rinnovabili, con particolare accento sulla architettura finanziaria internazionale per garantire un flusso di 500 miliardi di dollari all’anno a favore dei Paesi in via di sviluppo, indispensabile per raggiungere gli SDGs. Lo stesso tema è più ampiamente dettagliato in 14 proposte nel documento finale del Summit ed è anche oggetto di un policy brief presentato dal segretario generale in preparazione dell’incontro.
Della finanza internazionale va rivista l’architrave, cioè il Fondo monetario internazionale (Fmi), l’istituzione ideata alla fine della Seconda guerra mondiale nell’ambito degli accordi di Bretton Woods per garantire la stabilità monetaria e il progresso economico. Il Fondo eroga prestiti a fronte di impegni di riforma, per far fronte a crisi temporanee, evitando svalutazioni traumatiche, e ha una sua capacità di creare autonomamente moneta attraverso gli Special drawing rights (Sdr). Il meccanismo però si è inceppato per varie ragioni. Talvolta le riforme richieste dal Fmi non sono accettate dai governi (come nel caso della Tunisia), ma più in generale, è cambiata la domanda. Non c’è più soltanto bisogno di interventi a breve termine di stabilizzazione monetaria, ma di prestiti a lungo per affrontare problemi strutturali, come sono, appunto, gli Obiettivi e i Target dell’Agenda 2030. Nell’architettura di Bretton Woods i prestiti a lungo termine sono erogati dalla Banca mondiale, i cui finanziamenti, però, sono di norma legati alla realizzazione di specifiche opere pubbliche.
Può il Fondo svolgere la funzione di leva finanziaria, mobilitando anche capitali privati, per accelerare l’attuazione dell’Agenda 2030 come auspicato da Guterres? Potrebbe, ma come spiega l’Economist parlando di una nightmarish identity crisis, una crisi di identità da incubo, dovrebbe operare in un contesto diverso, una situazione resa sostenibile da una parziale cancellazione, allungamento o minore onerosità dei debiti precedenti contratti dai Paesi fragili; altrimenti il suo intervento contribuirebbe soltanto alla spirale dell’indebitamento. Ma questo passaggio presuppone l’accordo dei Paesi creditori e invece è osteggiato tra gli altri dalla Cina che detiene una vasta porzione del debito sovrano dei Paesi in via di sviluppo.
Il governo di Pechino vuole gestire direttamente i rapporti con i Paesi indebitati e non è interessato a un rilancio del Fmi, considerato troppo asservito agli interessi occidentali nonostante vari tentativi di riforma della sua governance. La Cina punta invece a un disegno alternativo: l’affermarsi di un intermediario finanziario multilaterale che sia espressione dei Brics, i Paesi emergenti. Il nucleo esiste già, la New development bank di Shangai, e non è un caso che nel recente vertice dei Brics a Johannesburg, ai sei nuovi candidati a far parte dell’organizzazione è stata preventivamente richiesta l’adesione alla nuova banca.
Guterres comunque tira dritto per la sua strada e, come sintetizza l’Earth negotiations bulletin, ha invitato
a far sì che il prossimo incontro del Fmi serva ad accelerare il progresso, con una sostanziale ricapitalizzazione, un nuovo flusso di Sdr, la ristrutturazione dei debiti su termini più lunghi e meno costosi, e concrete proposte da parte dei Paesi in via di sviluppo per una riforma dell’architettura finanziaria globale, da definirsi in tempo per il Summit of the future del 2024.
I risultati dell’SDG Summit sono stati commentati anche in una diretta organizzata dall’ASviS con il direttore scientifico dell’Alleanza Enrico Giovannini a New York, in funzione di “inviato della società civile”, e altri ospiti. Oltre a un primo bilancio dell’incontro internazionale, è stata sottolineata l’importanza della approvazione della Strategia nazionale di sviluppo sostenibile (SNSvS) che il Comitato interministeriale per la transizione ecologica (Cite) ha varato il giorno stesso nel quale si è aperto il Summit.
Giovannini ha commentato positivamente l’approvazione della Strategia, alla cui elaborazione anche l’ASviS ha dato un importante contributo, ma non ha nascosto gli elementi di debolezza. La SNSvS sarà davvero un passo avanti importante? Nell’ASviS live è stato ribadito che la strategia deve essere il punto di riferimento per il coordinamento di tutte le azioni di governo e per quelle di regioni e città metropolitane nell’attuazione dell’Agenda 2030. Ma anche qui dobbiamo dire che i risultati concreti dovranno essere verificati sul campo. Il testo della Strategia era già stato approvato in bozza e presentato dal precedente governo all’High level political forum di New York nel luglio 2022 e va anche registrato che quella del 18 settembre è stata la prima riunione del Cite in dieci mesi di governo, essendo il Cite l’organo al quale è demandato il coordinamento interministeriale per l’attuazione dell’Agenda. La Strategia, insomma, nasce con forte ritardo ed è ancora da verificare la volontà di farne un effettivo strumento di coordinamento, al di là delle buone intenzioni del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica che presiede alla sua attuazione.
In particolare si dovrà verificare il progresso su alcuni piani specifici: il Piano integrato energia e clima (Pniec) ora sottoposto alla discussione con la società civile in vista della presentazione a Bruxelles nel giugno 2024, ma la cui formulazione è già stata criticata dall’ASviS per la sua genericità, in un recente policy brief; e il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), già valutato dall’ASviS e da altri stakeholder, ma ancora in attesa di una sua definitiva formalizzazione.
La Strategia, insomma, è un work in progress sul quale l’ASviS manterrà una costante attenzione. L’appuntamento è ora per il 19 ottobre, quando l’ASviS presenterà le proposte contenute nel suo Rapporto annuale, ma nel frattempo l’Alleanza, con i suoi Aderenti, ha mantenuto una importante mobilitazione partecipando con numerose iniziative alla Global week to #Act4SDGs promossa dalle Nazioni unite.
In conclusione, a livello nazionale, europeo (non dimentichiamo le importanti scadenze che attendono l’Ue e ne ridetermineranno gli indirizzi sullo sviluppo sostenibile, esposti con chiarezza al Summit di New York) e globale, si apre un anno di lavoro intenso, che nelle intenzioni di Guterres dovrebbe portare nel 2024 a un nuovo “Patto per il futuro”: un rinnovato impegno di collaborazione tra le nazioni, ma anche una prima base per discutere gli obiettivi condivisi oltre il 2030.
Nell’attuale situazione internazionale le incognite sono davvero tante, le debolezze dell’Onu più che mai evidenti, ma resta il fatto che l’organizzazione è l’unico punto su cui contare per tenere insieme gli impegni di collaborazione su temi essenziali come la crisi climatica, le migrazioni di massa, la difesa dei diritti. Anche l’Italia deve fare la sua parte, come non si stanca di ripetere l’ASviS, avvicinandosi all’obiettivo di devolvere alla collaborazione internazionale lo 0,7% del suo reddito nazionale. Come ha ricordato Guterres in apertura del Summit, tutti i Paesi del mondo nel 2015 hanno sottoscritto l’impegno a costruire “un mondo di salute, progresso e opportunità per tutti, a non lasciare nessuno indietro, e anche a pagare per questo” coprendone i costi.