Editoriali
Una grande svolta in Europa, ma anche una grande sfida
Il Consiglio Ue ha sancito un progresso storico, rafforzando l’orientamento delle politiche verso la sostenibilità. Ma per usare bene i fondi del Next generation Eu l’Italia deve cambiare modo di disegnare le politiche.
di Enrico Giovannini, portavoce dell'ASviS
L’accordo raggiunto il 20 luglio dal Consiglio europeo sull’insieme dei fondi per reagire alla pandemia e sul bilancio dell’Unione per il prossimo settennato rappresenta un evento storico, che apre nuovi scenari per una più forte integrazione. A parte la grande disponibilità di fondi, che cancella l’immagine di una Europa capace solo di soffocare gli Stati più deboli con le sue richieste di austerità, quali sono gli elementi essenziali che rendono “storico” questo accordo? Come ha detto l’ex capo del governo ed ex presidente della Commissione Ue Romano Prodi, in una intervista a Radio popolare:
Sì, una svolta decisiva. Io ritengo che sia la seconda fase dell’Europa, quella più faticosa di una costruzione istituzionale. La prima è stata l’Euro, la seconda è questa perché mette attorno all’Euro una struttura di difesa e fa finalmente una politica economica che accompagna la moneta comune.
Finora, infatti, l’Europa poteva contare principalmente su strumenti monetari, come il quantitative easing, ma mancava una politica di bilancio comune, sostenuta da strumenti finanziari comuni. Ora, il Consiglio ha deciso di emettere eurobond per finanziare i prestiti e i sussidi ai Paesi più colpiti dalla pandemia e di creare un fisco europeo: si comincerà con una plastic tax nel 2021, con l’impegno a valutare l’imposizione dal 2023 di una tassa sulle emissioni di carbonio per i prodotti importati, unitamente alla web tax per smantellare le posizioni di privilegio delle grandi corporation basate sulla rete, che raccolgono fondi in Europa pagando imposte irrisorie. Si torna anche a parlare di una Tobin tax, un prelievo comunitario su tutte le transazioni finanziarie.
Ovviamente, la motivazione con cui si compie questo “salto” istituzionale, di cui si parlava da anni, è stata la crisi da Covid-19, ma sappiamo bene che anche in altri Paesi del mondo, come gli Stati Uniti, il cammino verso strutture federali più forti è stato sempre connesso a crisi di varia natura. In questi giorni è stata citata la riforma introdotta da Alexander Hamilton, che nel primo gabinetto presieduto da George Washington convinse i diffidenti Stati della Federazione americana a mettere in comune i loro debiti, ponendo le basi per una politica comune; quella riforma che, quasi 250 anni dopo, ha consentito di recente agli Usa di stanziare più di 500 miliardi di dollari di aiuti alle imprese colpite dal Covid-19 senza dover passare attraverso le estenuanti trattative che hanno caratterizzato i giorni e le notti di Bruxelles. Ma va ricordato che gli Stati Uniti venivano da una sanguinosa guerra, mentre l’Unione europea rappresenta l’unico esempio nella storia di costruzione di una struttura sovranazionale in tempo di pace.
Ma al di là di questi aspetti istituzionali, l’accordo è di importanza storica anche per l’orientamento delle politiche che beneficeranno degli aiuti europei, quelli del “Recovery and resilience facility” e gli altri messi in campo in questi mesi, dai prestiti per spese connesse all’emergenza sanitaria erogabili dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), a quelli legati al meccanismo Sure, per sostenere interventi come la cassa integrazione guadagni. Digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, lotta alle disuguaglianze, protezione dei più deboli, a partire dai bambini, aumento della resilienza sociale ed economica. Insomma, esattamente quello che l’ASviS aveva indicato come priorità al Governo italiano nel Rapporto pubblicato il 5 maggio scorso.
Nel disegnare il percorso da seguire per usufruire del “Next Generation Eu” sono state inserite – giustamente - regole rigorose. La “transizione verde” e la “transizione digitale” sono addirittura prerequisiti per l’accettazione dei progetti, come risulta anche dal Green new deal europeo, che riporta tutte le scelte all’emergenza climatica. È chiara la volontà di incentivare gli investimenti pubblici, ma solo quelli che vanno nella direzione auspicata: ad esempio, potrebbe essere difficile ottenere fondi per un ponte che facesse transitare solo le auto e non ospitasse una linea ferroviaria, magari per un’Alta velocità per le merci che possa togliere dalle strade un po’ di Tir inquinanti. Peraltro, la scelta di puntare solo su infrastrutture in grado di stimolare la transizione a una economia più sostenibile era chiaramente espressa nel documento conclusivo della Commissione Colao, anche se i commenti dei politici e dei media non hanno saputo o non hanno voluto rilevarlo.
I fondi dunque devono passare attraverso procedure e con obiettivi ben definiti, come ho avuto modo di spiegare anche in una recente intervista a Formiche.net.
Sono tre mesi che la Commissione europea ha indicato per cosa dovrebbero essere usati questi fondi, peccato che l’Italia nel frattempo abbia parlato di tutt’altro. Parlo delle Country Specific Recommendations elaborate all’interno del processo del Semestre europeo: digitalizzazione, innovazione e formazione, riforma della Pubblica amministrazione e della giustizia civile, Green new deal e lotta alle disuguaglianze oltre che il miglioramento del sistema sanitario. Chi pensa che questi fondi potranno essere usati per altro avrà l’onere della prova.
Come è stato sottolineato anche nel corso di un dibattito al quale ho partecipato a Radio radicale, con i fondi europei resi disponibili l’Italia ha la possibilità di affrontare problemi irrisolti da decenni e anche di rimettere in moto un processo di sviluppo che le consenta di alleggerire in prospettiva l’onere del debito pubblico. La responsabilità di condurre questa operazione spetta alla classe politica e anche a tutta la società, che lo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto di voler coinvolgere in un grande discussione sulla destinazione dei fondi, un confronto al quale l’ASviS certamente parteciperà con le sue associazioni aderenti e associate e le sue occasioni di dibattito. Innanzitutto, però il governo deve predisporre un insieme di proposte su cui confrontarsi, in tempi rapidi, nel Parlamento e nel Paese, e soprattutto deve definire procedure decisionali e valutative adeguate agli standard europei.
Per questo, ricordo le principali proposte dell’ASviS al riguardo:
- inserimento del principio dello sviluppo sostenibile, cioè della giustizia intergenerazionale, in Costituzione. Sarebbe un modo per evitare errori del passato e assicurare un futuro migliore alle nuove generazioni. Ci sono proposte presentate al Parlamento, che dovrebbe calendarizzare al più presto la discussione, anche su spinta del Governo, visto che il Presidente del Consiglio aveva preso un impegno in questa direzione in sede di dichiarazioni programmatiche;
- urgente definizione delle procedure del nuovo “Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile” (Cipess), per metterlo in grado di valutare i progetti infrastrutturali che da esso passeranno nella prospettiva del Green New Deal. La nuova denominazione proposta in modo lungimirante dall’ASviS, che diventerà operativa dal primo gennaio 2021, appare perfettamente adeguata alla nuova prospettiva europea, ma ora bisogna cambiare in modo significativo le modalità di istruzione delle pratiche;
- emanazione di un atto di indirizzo da parte del Presidente del Consiglio ai ministri che citi la loro responsabilità per il conseguimento dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) e dei relativi Target, come fatto dalla Presidente della Commissione europea verso i commissari e i vicepresidenti;
- inserimento della valutazione d’impatto sugli SDGs in tutte le nuove proposte legislative e specialmente in quelle che daranno attuazione agli interventi inseriti nel Piano nazionale finanziato dall’Unione europea;
- potenziamento degli strumenti analitici di valutazione ex-ante ed ex-post delle azioni inserite nel Piano per assicurare la «policy coherence» dei diversi interventi rispetto all’Agenda 2030;
- ampliamento delle competenze dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) per una valutazione del Documento di economia e finanza (da quest’anno declinato anche secondo gli SDGs) che vada al di là dei soli impatti macroeconomici e di bilancio delle proposte, per valutare queste ultime alla luce delle diverse dimensioni dell’Agenda 2030.
Insomma, i mesi estivi dovrebbero essere utilizzati dal Governo e dal Parlamento per prepararsi ad una sfida decisiva, da cui dipenderà il nostro futuro, a breve e a lungo termine. Nulla di impossibile, ma serve volontà politica, capacità di coordinamento delle diverse istituzioni, pressione da parte dell’opinione pubblica e della società civile.
Davvero la politica italiana è in grado di gestire questa enorme sfida o farà come certi sprovveduti che vincono milioni al Superenalotto e li sprecano in pochi anni, quando addirittura non perdono il biglietto vincente? Purtroppo le premesse, al di là dei giusti riconoscimenti al presidente del Consiglio e al governo per la conduzione della trattativa, non sembrano rassicuranti. Sul Mes si continua a fare melina, mentre di quei fondi avremmo immediatamente bisogno; sulla scelta degli investimenti si sentono proposte assurde che ricordano le erogazioni a pioggia di certe leggi finanziarie. Sulle effettive procedure della Commissione di Bruxelles si preferisce sorvolare, come se si trattasse di un impiccio fastidioso. Già avevamo anticipato, nell’Assemblea di metà anno dell’ASviS, che nei prossimi mesi avremmo dovuto affrontare “sfide micidiali”. Da quando abbiamo espresso quella previsione, due settimane fa, in Europa è cambiato molto, in senso positivo. Tuttavia, le difficoltà per l’Italia rimangono, anzi aumentano perché maggiori sono le opportunità ma anche gli impegni.
Per chiudere con una nota molto positiva, vorrei segnalare l’iniziativa di un folto gruppo di associazioni giovanili, che hanno deciso di impegnarsi per aiutare il Paese ad immaginare un futuro diverso. Hanno preparato un primo piano d’azione sulla base di tre macro-obiettivi (Sviluppo Sostenibile, Società Inclusiva e Cultura dell’Innovazione) e un appello alle altre associazioni giovanili per lavorare insieme verso la definizione di un “Piano giovani 2021". L’appello ruota intorno a tre frasi chiave: è tempo di pensare; è tempo di disegnare il futuro che vogliamo; è tempo di agire. Sono parole d’ordine molto appropriate e l’ASviS sosterrà al massimo questa iniziativa, a partire da un forte coinvolgimento di questa rete nel prossimo Festival italiano dello sviluppo sostenibile, che si aprirà il 22 settembre e il cui motto è proprio “Sostenibilità: è tempo di agire”.