Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Progetti e iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Niccolò Gori Sassoli.
Scopri di più sull'ASviS per l'Agenda 2030

The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Editoriali

Sconfiggere i “terrapiattisti” deve essere una nostra immediata priorità

Ci sono tante forme di negazionismo, tanti fautori, per malafede o ignoranza, di verità alternative che minacciano anche la prospettiva di uno sviluppo sostenibile. Ecco sette “sassi nello stagno” per confrontarci con questa realtà. 

di Donato Speroni

Sei sicuro che fossero marce? E dove si comprano? Al mercato?

Il rimprovero di Silvano Rizza a un suo redattore è rimasto famoso nel mondo del giornalismo, tanto da essere ricordato in occasione della sua commemorazione al tempietto egizio del Verano nel 2013. Il malcapitato cronista aveva scritto che il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, nel corso della sua visita a Roma del febbraio del 1969, era stato accolto con “manifestazioni ostili e lancio di uova marce”. Le uova erano state effettivamente lanciate, però...

Silvano era un grande maestro, condirettore del Messaggero, direttore di Paese Sera, fondatore dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino dove mi onoro di aver insegnato per quasi vent’anni. Il suo scrupolo per la precisione era leggendario, guai a lasciarsi andare a frasi fatte e luoghi comuni. Ha fatto scuola, ma oggi in Italia e nel mondo ci troviamo di fronte a una situazione dell’informazione totalmente diversa. L’oggettività nell’informazione è sempre più rara; addirittura una larga parte della popolazione mondiale crede che la verità condivisa sia una manipolazione, come se fossimo tutti all’interno di un Truman show. O addirittura che non esista un’unica verità, ma solo diverse letture dei fatti. Terrapiattisti, interlocutori degli omini verdi dei dischi volanti o accusatori delle scie chimiche, negazionisti di vario genere si sono moltiplicati; addirittura, si sentono perseguitati dalle persone di buon senso, come gli atei che rischiavano il rogo nei secoli passati o in certi medioevi contemporanei dove la religione è violenza.

Un bel servizio di “Atlantide” di Andrea Purgatori, ha descritto il fenomeno con dovizia di documenti e testimonianze. L’argomento è diventato di grande attualità perché non possiamo più limitarci a ridere di qualche matto, ma dobbiamo fronteggiare atteggiamenti diffusi che possono avere conseguenze letali. Per la popolazione, se si considera la percentuale di persone (in Italia ma anche all’estero) che dichiara che non intende vaccinarsi contro il Covid. Per le istituzioni, se guardiamo alle cronache postelettorali americane con l’ostinato rifiuto di riconoscerne la regolarità da parte di milioni di seguaci del Presidente sconfitto. Per il Pianeta, se pensiamo a quanti ancora si ostinano a pensare che la crisi climatica sia tutta una montatura per ingabbiare la nostra libertà di consumare nella fantomatica congiura della “decrescita felice”.

Come siamo arrivati a questo punto? Come mai la diffusione di verità alternative a proprio uso e consumo ha avuto tanto spazio, non solo tra i più stupidi e ignoranti, al punto da essere favorita da personaggi che occupano posti di responsabilità nelle istituzioni, come ci mostrano numerosi casi di cronaca di questi giorni?

Sui negazionismi di vario genere si sono scritti e si continuano a scrivere centinaia di libri e articoli. Non tenterò di farne una rassegna, ma mi limiterò ad alcune considerazioni più attinenti alla nostra rotta, e cioè alla costruzione di un futuro che per essere davvero sostenibile richiede scelte collettive impossibili senza un vasto consenso. Ho scritto la settimana scorsa che di fronte a pericolosi fenomeni globali (crisi climatica, pandemia, grandi squilibri sociali) l’opinione pubblica sarà sempre più spaventata. I fatti hanno la loro forza. Puoi negare la crisi climatica finché non ti crolla il tetto o non ti si inonda la casa per un fenomeno meteorologico estremo. Ignorare l’insostenibilità sociale finché la rivolta delle periferie non rende incontrollabili i saccheggi nei centri cittadini. Negare il Covid finché non finisci in terapia intensiva, anche se qualcuno sul letto di morte in Usa chiede al dottore di scrivere che era solo una polmonite, fedele alla causa fino all’ultimo.

La settimana scorsa, ho anche provato a delineare uno scenario nel quale le classi dirigenti, almeno nei principali Paesi (lasciamo stare il caso italiano, che richiede un discorso a parte) cercheranno di dare una risposta all’opinione pubblica con politiche più coraggiose che affrontano con maggior realismo i rischi del futuro. Già lo stanno facendo l’Europa di Ursula von der Leyen, la Nuova Zelanda di Jacinta Arden, sicuramente lo faranno gli Stati Uniti della prossima amministrazione Biden – Harris e sembrano già preparati a farlo anche Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Con tante difficoltà come vediamo, per esempio, nel difficile travaglio del Next Generation Eu e dell’intera strategia europea per i prossimi anni, ma comunque con una chiara visione del futuro.

Opinioni pubbliche più spaventate, ma classi dirigenti più coraggiose di fronte alla minaccia della Grande Pandemia Socioeconomica: questo era il possibile scenario a cinque anni (ottimistico tranne che per l’Italia) che avevo delineato una settimana fa. Va però considerata una terza gamba del tavolino sul quale prediciamo il futuro: come agire se nell’opinione pubblica rimane una ostinata minoranza così forte da bloccare l’adozione di misure adeguate “perché tanto il problema è un altro”? Come rispondere a questa minaccia nella minaccia?

In questi giorni si parla molto di futuro e non possiamo che rallegrarcene. Si direbbe addirittura che, come la parola “sostenibilità” è stata la canzone dell’anno nel 2019 (anche spesso usata a sproposito per mero greenwashing), la parola “futuro” sia il leit motiv del 2020, perché ormai tutti, ma proprio tutti, hanno capito che il mondo del dopo Covid, quando finalmente arriverà, sarà comunque diverso da quello di prima. Magari la gente sarà più cattiva e più arrabbiata perché più povera, più spaventata di altre possibili minacce. O forse ci sarà più solidarietà, più visione, magari anche una ripresa rapida dell’economia, come scrive l’economista Paul Krugman nei suoi tweet di questi giorni.

Non sappiamo chi ha ragione, molti tirano a indovinare. Ma sappiamo che ci sono scenari possibili e scenari impossibili.Sappiamo anche che il mondo sostenibile di domani si costruisce con le scelte di oggi: per questo abbiamo fatto nascere il sito di documentazione e dibattito Futuranetwork, e di questo si continua a discutere in diversi incontri on line molto partecipati, tra i quali il Festival del Futuro che si è tenuto in questi giorni e al quale l’ASviS ha partecipato. Di futuro si è parlato moltissimo nel nostro Festival dello Sviluppo Sostenibile, anche con la serie di dialoghi “Voci sul futuro” condotti dal direttore dell’Ansa Luigi Contu e dal portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini con ospiti importanti.

La mia riflessione di oggi porta a dire che tra le questioni urgenti nell’agenda dell’ASviS dei prossimi anni, se la nostra azione deve avere efficacia sistemica, dobbiamo mettere anche questa: come sconfiggere i “terrapiattisti” e i loro accoliti negazionisti? Come convincere tutti che esiste una verità dei fatti magari difficile da scoprire, ma comunque unica e quasi sempre dimostrabile? Come far accettare che, anche parlando di futuro, gli scenari per i prossimi anni sono pochi, contenuti nei parametri definiti dalle varie scienze (demografia, economia, sociologia, scienze del clima e dell’ambiente per citarne solo alcune) e dai possibili sviluppi tecnologici effettivamente realizzabili e applicabili in tutto il Pianeta?

L’annuncio dell’imminente vaccino contro il Covid (se e quando lo vedremo) dimostra che unendo gli sforzi in tutto il mondo, pur con qualche gelosia, qualche sgambetto e forse rischi di forti disuguaglianze nell’accesso alle cure, si possono fare miracoli. Ma questo miracolo è stato spinto dall’attesa messianica della gente di ogni Paese colpito, disposta a tutto pur di uscire da una situazione fino a ieri inimmaginabile. Ha coinvolto giganteschi investimenti pubblici e privati, ha terremotato le priorità politiche, ha fatto nascere una rete senza precedenti di scambi di conoscenze scientifiche che ha superato molti vincoli di segretezza e calcoli di profitto.

Non sarà facile, anche se ci sarà in giro molta paura, ottenere lo stesso risultato contro la Grande Pandemia Socio-economica-ambientale, più dilatata nel tempo al punto da far dire a qualcuno che la futura crisi non verrà mai o che comunque sarà risolta dai nostri nipoti, trasformati dalla tecnologia in cyborgsupermen.

Per evitare il disastroso effetto di una vasta minoranza globale ottusa e negazionista, che vanificherebbe la possibilità di una efficace politica di sviluppo sostenibile, dobbiamo rispondere fin d’ora alla domanda:

Come cambiare l’atteggiamento dell’opinione pubblica inducendola non solo a preoccuparsi della crisi climatica e delle altre minacce alla sostenibilità, ma a favorire le scelte politiche necessarie, per quanto difficili?

Abbozzo una prima risposta, sulla base delle elaborazioni collettive condotte in questi anni all’interno dell’ASviS e anche delle centinaia di studi che abbiamo pubblicato sul portale asvis.it e sulle pagine dedicate ai singoli Goal dell’Agenda 2030. Provo a individuare sette punti sui quali costruire la nostra resilienza per superare i negazionismi, sperando di stimolare un dibattito che saremo lieti di continuare ospitando interventi sui nostri siti e sui nostri social.

  • La scuola e la formazione degli adulti. È al primo posto perché chi non sa, o non è abituato a ragionare su temi complessi, può seguire qualsiasi pifferaio che gli passi davanti. Le indagini dell’Ocse ci dicono che sull’istruzione l’Italia non è messa bene nei confronti internazionali, che si parli dei ragazzi della scuola secondaria (indagine Pisa) o degli adulti (Piaac). Quel 30% e più di quasi analfabeti di ritorno, non solo i più anziani, che in Italia non sa usare un tablet o che non sa sintetizzare un facile testo, ben difficilmente può passare da un lavoro tradizionale a un lavoro digitale. Condannati all’emarginazione se non alla povertà, la loro frustrazione può trasformarsi in rabbia, nella negazione di tutto quanto favorisce “gli altri” ma tocca loro solo marginalmente.

Allarghiamo lo sguardo: le centinaia di milioni di bambini in India e altrove, che a causa del Covid non vanno più a scuola, senza alcun tipo di didattica alternativa, domani potrebbero essere masse di disperati pronti a tutto per avere più giustizia, senza disporre degli strumenti culturali per costruire sviluppo per loro e per tutti. Oggi si celebra il World children’s day e quest’anno l’ASviS si è particolarmente impegnata con testi, filmati, note per la stampa, per richiamare la centralità e il nostro impegno su questo punto.

  • La mobilitazione dei giusti. Il grande movimento dei Fridays for Future, ma non solo quello, ci ha mostrato che i giovani hanno capito il rischio di ereditare una grande fregatura. Spesso reagiscono con rabbia, con atteggiamenti e azioni che non aiutano. Dobbiamo essere al loro fianco, come lo siamo stati nelle piazze del 2019, far loro capire che non sono soli, che lo scontro non è tra le generazioni, ma ancora una volta tra chi nega loro un futuro e chi invece si impegna per dargli la possibilità di costruirlo secondo le loro aspirazioni. È necessario seguire e documentare con attenzione la mobilitazione giovanile, come già facciamo sui nostri siti, e anche continuare a schierarsi con chiarezza a fianco di chi, giovane o non giovane, condivide la visione di un futuro sostenibile, per far sentire a tutti l’importanza del problema.

  • Il ruolo dei media e il fact checking. Uno dei pochi aspetti positivi dell’incredibile trafila di queste elezioni americane è stato il ritorno di attenzione al fact checking, cioè all’immediato controllo per bloccare le bugie dette dai politici, addirittura oscurandoli in diretta. Di fact checking si è molto parlato in Italia qualche anno fa (ne ho scritto nel 2013), poi l’argomento è uscito dai radar, tranne che per qualche meritevole tentativo di limitata risonanza, come Open on line o questi altri segnalati dall’Agcom. Troppo difficile o forse pericoloso, in un quadro politico sempre più contrapposto e incattivito, azzardarsi a controllare la verità.

Per fortuna oggi sulla spinta dell’emergenza la situazione sta cambiando e c’è nei media una maggiore attenzione ai dati, anche correggendo i politici. Tuttavia, c’è qualcosa di sbagliato nel modo di ricercare la verità attraverso i talk show, anche i migliori. Per non perdere audience le risposte devono essere rapide, la tensione deve essere tenuta alta. Questa è la priorità rispetto a una effettiva ricerca della verità sui fatti. È un modo di comunicare molto legato alla lotta per la sopravvivenza delle Tv generaliste e degli altri media tradizionali (anche sui giornali si può fare un discorso analogo, mutatis mutandis), ma il risultato confonde gli spettatori e lascia alla fine il dubbio che “è tutto un casino e vadano tutti affan..”. Mettiamo all’ordine del giorno l’esigenza di una comunicazione che arrivi davvero alla verità unica e incontrovertibile, che quasi sempre esiste. A mio giudizio, questo deve essere il senso della iniziativa “Journalists for future” di cui parlammo un anno fa e che fu poi accantonata causa Covid.

  • Il corretto uso dei social. Forse per ragioni anagrafiche, ho una certa diffidenza verso i social, che uso attivamente e passivamente con più fatica rispetto ai media Questa diffidenza, unita alla quantità incredibile di fake news che vi circolano, ha portato molti a pensare che i social siano la rovina della nostra società. Non è così, dobbiamo imparare a usarli meglio, se vogliamo convincere quelli che soprattutto attraverso i social formano le loro opinioni. I social possono diffondere le peggiori menzogne (ed è giusto battersi per una regolamentazione, come esiste per gli altri media), ma non dimentichiamo che oggi è spesso attraverso i social, con una grande verifica “dal basso”, che certe bugie dei politici vengono smascherate, certe affermazioni vengono ridicolizzate, come ci mostra l’ottima trasmissione “Propaganda live” di Diego Bianchi e Makkox che dell’analisi dei social ha fatto il suo cavallo di battaglia. Una grande iniziativa per l’affermazione della verità contro i negazionisti si deve condurre anche su questo terreno, tutt’altro che marginale. Non ci servono “Bestie” al servizio di un leader o di una forza politica, ma giovani capaci di muoversi agevolmente in questo mondo, snidando e controbattendo le tante sciocchezze che circolano, comprese quelle contro lo sviluppo sostenibile. Possiamo fornire loro le armi dell’educazione sui temi che consideriamo importanti, ma la battaglia devono combatterla loro, i nativi digitali; noi possiamo solo stare nelle retrovie. E scusate la metafora bellica.

  • L’affermazione di corretti parametri per misurare il progresso. L’ho già scritto la settimana scorsa: esiste un negazionismo anche in economia ed è esercitato da molti valenti esperti i quali si rifiutano di credere che si possa ragionare sul futuro con parametri diversi dalla mera crescita economica. Si cerca di far credere che esista una contrapposizione insanabile tra chi difende i “sani principi del liberismo” che garantirebbero il progresso dei popoli attraverso la crescita del Prodotto interno lordo e chi invece fantastica di indici di benessere, decrescita felice e simili fanfaluche. Non è così: persino il mitico Bhutan accanto al suo indice di felicità calcola il suo Pil. D’altra parte, i grandi Paesi e le organizzazioni internazionali hanno elaborato indicatori di benessere collettivo più complessi del Pil, tra i quali gli indicatori che misurano il progresso verso gli SDGs. Ne abbiamo scritto tante volte. Anche in un libro, dieci anni fa, con prefazione di Giovannini che ha avuto il merito di imporre questo tema all’attenzione mondiale quando era chief statistician dell’Ocse.

Fino a ieri, la necessità di andare “oltre il Pil” sembrava ormai scontata, recepita perfino nella riforma della nostra legge di bilancio. Oggi invece la questione si ripropone per ragioni politiche. La posizione dei negazionisti degli indicatori alternativi (ma preferirei dire integrativi) rispetto al Pil si traduce in una diversa scelta di priorità di governo, tra mera crescita economica e sviluppo sostenibile. Anche l’impegno contro questo tipo di negazionismo va dunque portato avanti con più forza. Meno male che in questo campo gli interlocutori sono solitamente colti, educati e quasi sempre in buona fede. Più che una battaglia, si tradurrà dunque in un grande confronto culturale.

  • La solidarietà internazionale. È incredibile quanto sia diffusa la negazione della dimensione globale dei problemi, la convinzione che ciascun Paese possa affrontare il futuro da solo. Che si parli di crisi climatica, di migrazioni, di sistema economico globale, tutto porta a dire che le cose non stanno così. Persino un sovranista, se intelligente e in buona fede (esistono), capisce che certi problemi si possono affrontare solo con la collaborazione internazionale e con istituzioni globali che funzionino.

Si può sperare che con la nuova amministrazione americana il multilateralismo si rimetta in moto, ma ancora una volta il problema sta nella pancia (e nel portafoglio) della gente. Quanto siamo davvero disposti a impegnarci per far sì che una larga parte del mondo non degeneri verso una insostenibilità che alla fine travolgerà anche noi? Le esperienze degli ultimi vent’anni dimostrano che la via per arrivarci non è l’esportazione della democrazia con la armi e neppure l’imposizione di una Pax americana o domani di una Pax cinese. La soluzione è una strategia ampiamente condivisa di solidarietà, magari sostenuta da partiti transnazionali. C’era una volta l’“internazionalismo proletario”; oggi potremmo aspirare a unire partiti e movimenti di tutto il mondo in un “internazionalismo dello sviluppo sostenibile”. Una difficile ma bellissima sfida.

  • La riaffermazione dell’Agenda 2030. Come sapete ormai tutti, l’Agenda 2030, la sua attuazione in Italia, è la ragione di vita dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. L’Agenda è una guida indispensabile, ma come tutti noi ripetiamo spesso, non è la Bibbia. In molti punti sappiamo che anche se fosse realizzata non basterebbe a darci un mondo in grado di reggere i nove miliardi di persone che nel 2050 aspireranno tutti a una vita decente “senza lasciare indietro nessuno”. Sappiamo che dobbiamo guardare “oltre”, e ci sforziamo di farlo. Tuttavia, l’Agenda 2030 ha un immenso valore politico, proprio perché sotto quegli Obiettivi e quei Target c’è la firma dei governi dei Paesi rappresentati all’Onu. Tutto il mondo, ben 193 Stati: quasi un miracolo, riguardando quello storico momento cinque anni dopo.

L’Agenda 2030 è dunque la bussola che dobbiamo mostrare a tutti quelli che ci guardano con simpatia mista a compatimento quando enunciamo “le nostre 17 utopie”. L’Agenda è invece un grande atto politico. Nonostante questi anni accidentati e la pandemia, molti progressi sono stati fatti, molte battaglie sono ancora in corso in quella che il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha definito la “Decade of action” per realizzare gli Obiettivi in tutto il mondo. Diffondere l’Agenda 2030, non come un catechismo, ma come un programma dal quale discendono scelte politiche e istituzionali, iniziative di educazione, una grande azione di networking della società civile italiana, è stato l’impegno primario dell’Alleanza in questi anni, certificato dal nostro portale, fino alla campagna appena conclusa “Un goal al giorno”. L’Agenda 2030 continuerà dunque a essere al centro delle nostre azioni, almeno fino a quando le nazioni del mondo non aggiorneranno i loro obiettivi comuni, guardando alla metà di questo secolo.

venerdì 20 novembre 2020

Aderenti