Editoriali
La sfida del Next generation Eu non si risolve con fughe in avanti e borbottii
La necessità di definire la struttura che gestirà questa occasione irripetibile per il Paese ha evidenziato le gelosie dei partiti, ma anche il timore di mettere mano alla riforma della pubblica amministrazione. 4/12/20
di Donato Speroni
In questi giorni, il dibattito pubblico italiano si è finalmente concentrato sulla preparazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il piano che l'Italia deve predisporre per poter poi ricevere i circa 210 miliardi del Next Generation Eu che saranno spendibili a partire da metà dell'anno prossimo. Più volte ho richiamato l'attenzione su queste tematiche, quindi è un bene che ora finalmente si discuta non tanto dei contenuti, i contenuti non li conosciamo ancora, quindi non sappiamo giudicare se sono appropriati o meno, quanto della governance, del processo con cui il Governo intende formulare il piano, discuterlo, realizzarlo e dunque anche rendicontare non solo all'Unione europea ma anche alla società italiana come sono stati utilizzati quei fondi.
Venerdì scorso, nella sua rubrica “Scegliere il futuro” su Radio radicale, il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini ha affrontato il tema delle procedure per la elaborazione del Pnrr, strumento indispensabile non solo per uscire dalla crisi provocata dalla pandemia, ma anche per costruire gli elementi di resilienza che ci consentano di affrontare nel migliore dei modi un futuro incerto e difficile. È l’unica occasione che abbiamo per “rimbalzare avanti”, per usare una espressione che è stata usata spesso nei documenti dell’Alleanza, delineando un’Italia profondamente diversa da quella di un anno fa, con un occhio innanzitutto alla salvaguardia delle nuove generazioni a cui il Next generation Eu è destinato. Ha detto ancora Giovannini, spiegando scadenze e procedure:
L'Italia non è in ritardo rispetto alle scadenze comunitarie, cioè dovrà presentare il suo piano definitivo tra gennaio e febbraio per vederlo poi approvato entro aprile; non c'è dubbio che i contenuti ancora sconosciuti del Piano sono qualcosa che il governo, lo ha detto anche il presidente del Consiglio, sta discutendo bilateralmente con la Commissione europea. Ma questo naturalmente non basta. Dunque, ben venga un aggiornamento sulla situazione che il presidente del Consiglio ha annunciato per i primi di dicembre, per capire come il Governo intende organizzare tutto questo processo e magari anche i contenuti.
Vediamo dunque quali sono i livelli su cui il governo deve decidere come organizzare il processo. Il primo è il livello politico: il Comitato interministeriale per le politiche comunitarie, sotto il coordinamento del ministro per gli affari europei Vincenzo Amendola, sta predisponendo questo piano, usufruendo naturalmente delle competenze dei vari ministeri e degli enti di ricerca, anche perché si parla di un piano a dieci anni e quindi è importante che le tecnologie vengano prese in considerazione.
Per esempio, sul fronte energetico, siamo in grado di predisporre e realizzare la transizione ecologica della nostra economia come richiesto dall'Unione europea? Una volta approvata questa bozza di piano, dovrà naturalmente andare in Consiglio dei ministri, essere discusso con il Parlamento e con la società civile.
Qui il portavoce dell’ASviS ha messo l’accento su un aspetto particolarmente importante.
Come si discuterà questo piano con la società civile non è affatto chiaro; forse verranno convocati dei nuovi Stati generali come a giugno. Non lo sappiamo e questo è un punto di attenzione che sottoponiamo al Governo. Inoltre, dovrà essere discusso con le Regioni e con le Città perché molte delle azioni che verranno realizzate riguarderanno competenze delegate appunto ai territori, in primo luogo alle Regioni (pensiamo all'energia), ma anche alle Città: pensiamo alla riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente.
Dopodiché immagino che il documento andrà in Consiglio dei ministri per l'approvazione finale e a quel punto avremo il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Qui però comincia la parte più difficile-
Una volta approvato il Piano, il governo dovrà decidere chi lo attuerà e come il monitoraggio verrà realizzato. Nella Legge di bilancio c'è il riferimento alla creazione presso il ministero dell'Economia e delle finanze di una unità che raccoglierà i dati, farà valutazioni sull'avanzamento dei progetti, informerà il Governo e naturalmente il Parlamento con una relazione semestrale. Tutto questo va bene, ma bisogna capire come questa valutazione verrà fatta, se sarà cioè puramente finanziaria oppure si legherà, come io suggerirei, anche agli obiettivi di risultato definiti sulla base dell’Agenda 2030, cioè al piano di azione fissato dall'Onu cinque anni fa, diventato il punto di riferimento di tutta l'Unione europea.
Poi servirà un luogo in cui prendere decisioni strategiche. Ricordo che dal primo gennaio 2021 il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) muta il suo nome, diventa Comitato per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, esattamente il concetto centrale del Next Generation Eu. Quindi mi aspetterei che il nuovo Cipess, con il supporto delle strutture della presidenza del Consiglio, sia il luogo politico in cui si definiscono le azioni necessarie per realizzare il Pnrr. Anche qui servirà un sistema di trasparenza nelle decisioni: prima verrà definito, meglio sarà per tutto il processo, in modo da consentire sia alla Commissione europea che alla società italiana di valutare le decisioni. Insomma, un processo complesso, ma alla portata del nostro Paese purché venga definito rapidamente; dunque, spero che nel documento che verrà presentato nei prossimi giorni questi aspetti saranno trattati in modo esauriente.
Ho riportato quasi integralmente il testo della conversazione di Giovannini perché spiega con chiarezza il percorso da affrontare. Questa settimana la discussione è cominciata, ma con molte incognite. Sabato 28, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha delineato la struttura per la pianificazione e la gestione dei fondi del Next generation Eu, che prevede una supervisione politica da parte dello stesso Conte e dei ministri dell’economia e finanze Roberto Gualtieri, dello sviluppo economico Stefano Patuanelli, e degli affari europei, Vincenzo Amendola. L’operatività dovrebbe articolarsi in sei settori, secondo le indicazioni della Commissione: Digitalizzazione e innovazione, Transizione ecologica, Salute, Infrastrutture per la sostenibilità, Istruzione e ricerca, Inclusione sociale e territoriale, ciascuno diretta da un manager con il supporto di 50 funzionari.
Subito dopo l’uscita di Conte è cominciato il fuoco di sbarramento, per motivi di convenienza partitica, ma anche per comprensibili perplessità sulla creazione di questa struttura parallela di 300 persone, all’esterno dei ministeri che hanno la responsabilità delle stesse aree operative. I partiti minori della maggioranza (Leu e Italia viva) si sono sentiti esclusi dalla gestione. Ma anche esperti come Fabrizio Barca, l’attuale leader del Forum DD che conosce bene la pubblica amministrazione per essere stato dapprima direttore del dipartimento per le Politiche di sviluppo e di coesione presso il ministero del Tesoro e successivamente ministro per la Coesione territoriale nel governo Monti, hanno espresso riserve. Intervenendo martedì 1 a Otto e mezzo, Barca ha criticato fortemente il progetto dei 300 manager.
La scelta rivela una consapevolezza importante del presidente Conte: che l’assetto e la qualità dell’amministrazione pubblica non è adeguata a realizzare quello che dobbiamo fare, ma non è questa la soluzione. Non fai una seconda struttura, un’amministrazione parallela, ma fai quello che abbiamo scritto nella proposta con Forum Pa e con molti parlamentari e con tre ex presidenti del Consiglio, una proposta che si può attuare in sei mesi, attrezzandosi per maggio. Si deve utilizzare il fatto che si sta rinnovando una generazione intera. (Nella pubblica amministrazione) in questo momento sono in corso 500mila assunzioni di giovani, assunzioni che si stanno facendo male. Hai la possibilità di rivolgerti ai giovani per dire: ‘tornate in Italia’, ma non lo puoi fare con i bandi che ho visto sul web e che sono insopportabili, vecchi, dove tutto è diritto e amministrazione. ln sei mesi si può rinnovare l’amministrazione ordinaria. Lo abbiamo fatto all’Aquila in cinque mesi e due settimane. Il governo ha il potere di fare queste assunzioni, non ha bisogno di precari di lusso assunti per tre anni. Non ha senso!
Che fare dunque al posto di Conte? Interrogato da Luciano Nigro sulla Repubblica, l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi ha risposto così.
Innanzitutto, bisogna evitare che ogni Regione e ogni ministro presenti la propria autostrada, il proprio acquario o la propria fiera. Servono invece pochi grandi progetti con un'unica strategia. Una strategia per l'ambiente, la digitalizzazione, le infrastrutture e l'ammodernamento delle strutture produttive. Progetti concreti, però, non capitoli di spesa.
Già e chi sceglie? Un comitato di esperti, un organismo di trecento persone?
Trecento persone? Non si saprebbe neppure dove metterle! Anche se molti dovranno contribuire a costruire progetti coerenti. Io ho in mente qualcosa di simile a quello che è avvenuto in Francia dove Macron, assieme al primo ministro, ha assunto su di sé la responsabilità, usando come braccio operativo l'Ufficio del piano. Tradotto in italiano, penso che la decisione finale per il Next Generation Eu debba essere in capo al premier affiancato dai ministri economici Gualtieri e Patuanelli, con Amendola a fare da tramite e collegamento con Bruxelles. Certo, dovranno servirsi di un gruppo di persone di alta competenza che affianchi il lavoro del Cipe e delle diverse burocrazie, operando naturalmente in rapporto con le Regioni e i sindacati. Ma la decisione finale non può che essere al massimo livello politico.
Da queste citazioni emergono due problemi, che sono sostanzialmente problemi di potere. Il primo è quello della struttura tecnica. Deve essere costruita in parallelo con i ministeri oppure bisogna rinnovare le strutture ordinarie del governo come propone Barca? La prima strada può apparire più facile, ma i “trecento giovani e forti” si troverebbero poi a fare i conti con burocrazie incattivite dall’essersi sentite esautorate. Meglio dunque metter mano direttamente al rinnovamento di quelle burocrazie. Ma chi ha la forza per farlo?
Il secondo problema, al più alto livello, è quello della gestione politica della macchina, se va affidata all’intero Consiglio dei ministri o un gruppo di ministri ad hoc. Lo stesso Amendola, in un intervento alla Rcs Academy business school, ha chiarito che la sua funzione è quella delle relazioni con Bruxelles, non di gestire i fondi. L’incarico non dovrebbe andare dunque al Comitato interministeriale per le politiche comunitarie, ma semmai, come propone Giovannini, al Cipe trasformato in Cipess, l’organo che concretamente approva i progetti infrastrutturali e gli investimenti della Pa. Anche considerando che per cambiare le priorità di questo organo, verso lo sviluppo sostenibile e quindi in piena sintonia con gli orientamenti della Commissione von der Leyen, l’ASviS ha condotto una battaglia di tre anni, finalmente vinta, almeno sulla carta.
Ma come si deve attuare il controllo politico? Come conciliarlo con le indicazioni di Bruxelles? In un commento pubblicato sul Corriere della Sera del 2 dicembre, Antonio Polito avanza il dubbio che l’unica vera ragione di opposizione al Mes sanitario, quei 36 miliardi che Bruxelles ci concederebbe subito a condizioni molto convenienti, sia proprio lo stretto vincolo che lega le mani ai politici.
Nasce il fondato sospetto che l'unica «condizione» di quel Mes che al nostro governo davvero non piace è l'obbligo di spendere i soldi solo ed esclusivamente per l'emergenza sanitaria, in maniera diretta o indiretta, e di rendicontarne l'utilizzo. Per tenersi le mani libere la politica, che non ha mai disdegnato di far debiti, evidentemente preferisce ricorrere all'emissione di titoli sul mercato. Intanto perché al momento costano molto poco, e anche questo lo dobbiamo all'Europa, cioè al massiccio piano di acquisti da parte della Banca centrale. E poi perché fare debito in questo modo ha il grosso vantaggio che puoi spendere i soldi come vuoi e anzi, anche non spenderli.
Già, ma anche i fondi del Next Generation Eu saranno vincolati, dovranno essere spesi in progetti integralmente realizzati entro il 2026, pena la restituzione, e integralmente rendicontati. È in grado la dirigenza politica italiana di risolvere davvero questi nodi, per cogliere questa occasione unica per cambiare il volto del Paese? O ci vuole un governo diverso? Se ne parla, ma concludiamo con la risposta di Prodi.
Sinceramente, non vedo chiare proposte alternative. Chi vuole il rimpasto? Qual è la linea? In realtà, dai partiti sento solo dei borbottii. Attenti però che i borbottii non diventino una voce forte e poi un urlo che può trasformarsi in agonia.
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