Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Progetti e iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Niccolò Gori Sassoli.
Scopri di più sull'ASviS per l'Agenda 2030

The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Editoriali

Non è retorica dire che il 2021 sarà determinante per il futuro dell’umanità

La pandemia ci ha costretto a ripensare la nostra quotidianità affrontando problemi finora accantonati: l’inefficienza del sistema Italia, il futuro dell’Europa, la necessità di impegni globali per clima e migrazioni. 18/12/20

di Donato Speroni

Io penso positivo

Perché son vivo, perché son vivo.

Niente e nessuno al mondo

Potrà fermarmi dal ragionare...

Hanno un suono diverso, oggi, i versi di Lorenzo Jovanotti con i quali aprivo l’ultimo editoriale del 2019.  Un anno fa “essere vivo” era un dato di fatto, oggi sembra un dono del Cielo, soprattutto per chi ha una certa età. Guardando avanti, sappiamo che anche il 2021 sarà un anno difficile, con molte morti e molta miseria, finché la vaccinazione universale non riuscirà a ristabilire una “nuova normalità”. Già, ma come sarà questa normalità? Oggi l’invocazione a “ragionare” della canzone di Lorenzo trova (spero) orecchi più disposti ad accoglierla. Una cosa abbiamo capito: la curva del progresso dell’umanità può salire o scendere a seconda dei nostri comportamenti, ma comunque non è una linea continua, procede a sbalzi. La pandemia ci ha insegnato che il domani non è necessariamente un oggi un po’ migliore o un po’ peggiore, ma d’improvviso può rivelarsi profondamente diverso. Abbiamo tutti imparato che bisogna essere resilienti, pronti ad affrontare altre crisi, magari peggiori di questa. E che per questo bisogna, appunto, ragionare.

Abbiamo anche qualche elemento in più per “pensare positivo”. La lotta alla pandemia ha messo in moto una collaborazione scientifica globale senza precedenti. Le elezioni americane hanno segnato la fine di un’epoca oscura e dovrebbero consentire di rimettere in moto il sistema degli impegni multilaterali. Per rispondere alla sfida del Covid l’Europa ha varato misure senza precedenti, che possono aprire la strada a una maggiore integrazione. Il faticoso travaglio con il quale l’Italia cerca di partorire il suo piano di ripresa e resilienza rivela anche la debolezza delle nostre strutture amministrative, i divari mai risolti, le priorità sbagliate delle passate scelte pubbliche a cominciare dai tagli alla sanità.

È dunque il momento di riflettere sulle sfide che ci attendono nel 2021. La prima è ovviamente la lotta alla pandemia e la rapida distribuzione dei vaccini, ma su questo punto ci affidiamo agli esperti e al buon senso della gente che speriamo capisca l’importanza di una copertura globale senza assurdità no vax. Parliamo invece degli aspetti economici, cioè del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che dovrebbe definire i criteri di spesa dei fondi pubblici nell’ambito del fondo Next generation Eu (non dimentichiamo mai che questo nome corrisponde anche a un impegno), con l’aggiunta dei fondi europei per il settennato che comincia nel 2021 e dei fondi nazionali. La presentazione del primo Rapporto dell’ASviS su “I territori e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile” (link per rivedere l'evento), martedì 15, ha messo in luce il potenziale di Regioni e Città che già hanno inserito nel contesto dell’Agenda 2030 dell’Onu i loro programmi e che presentano numerose buone pratiche, ma ha evidenziato gravi debolezze che mettono in forse la capacità dell’Italia di utilizzare i fondi europei. Come ha scritto Enrico Giovannini in un articolo sulla Stampa di giovedì 17

Al momento, la proposta di governance per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza circolata nei giorni scorsi non prevede un forte e serio coinvolgimento degli enti locali e delle comunità locali nel disegno e nell'attuazione del Piano, benché i progetti ipotizzati riguardino tematiche di loro competenza: dall'energia alla lotta contro le disuguaglianze, dalla salute alla tutela dell'ambiente, dalle infrastrutture alla formazione.

Come ha detto nel corso del dibattito Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna e presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome,

nessun governo al mondo, neanche il migliore, è capace da solo in sei anni di spendere 209 miliardi se non c’è il concorso delle Regioni e dei Comuni, quindi spero non si faccia l’errore di immaginare progetti per prendere più voti alle elezioni domattina, invece che fare progetti strategici che guardino ad un futuro di crescita sostenibile. Abbiamo bisogno di progetti che recuperino ritardi, ad esempio nel campo degli investimenti per la lotta al dissesto idrogeologico, per una migliore qualità ambientale, per interventi su infrastrutture materiali e immateriali.

Restano aperti vari nodi che sono strettamente politici: il ruolo delle forze di governo e del Parlamento nella definizione dei progetti; la difficile composizione tra la necessità di mettere a punto una squadra che possa intervenire rapidamente anche per monitorare il progresso degli interventi (i fondi del Next Generation per i progetti non completati entro il 2026 devono essere restituiti) e di integrare questa squadra con una pubblica amministrazione poco adatta a queste maratone, schiacciata da troppi vincoli legislativi e paralizzata dalla “paura della firma”; la carenza di ruoli tecnici nelle amministrazioni locali soprattutto nelle città medie e nei comuni più piccoli, sui quali comunque ricadrà una parte dell’attuazione del Pnrr.

Questi sono i nodi a livello nazionale, ma anche a livello europeo il 2021 ci metterà di fronte a sfide importanti. Quella della Brexit, innanzitutto, con i nuovi equilibri tra i Ventisette e la Gran Bretagna. Ma anche la ridefinizione del concetto stesso di Unione europea. Ursula von der Leyen, con l’appoggio di Angela Merkel e Emmanuel Macron, ha avuto il merito di aprire l’orizzonte a una diversa visione d’Europa, sia con la priorità attribuita agli Obiettivi dell’Agenda 2030, sia con la risposta al Covid attraverso nuovi strumenti finanziari che impegnano l’Europa nel suo complesso. Adesso però l’Europa è a metà del guado e deve definire che cosa vuole essere, che ruolo vuole svolgere nel quadro mondiale. L’annunciata Conferenza sul futuro dell’Europa dovrebbe essere l’occasione per discutere il nuovo profilo dell’UnionE. A ritardarla, però, non ci si è messo solo il Covid, ma anche le resistenze di diversi Stati membri, che non sono favorevoli all’avvio di un processo di più stretta integrazione. Si tratta di una impasse che nel 2021 andrà sbloccata, altrimenti l’Europa, come una bicicletta, perderà spinta e finirà col cascare.

Se allarghiamo ulteriormente lo sguardo, vediamo le grandi sfide mondiali che nel 2021 richiedono un nuovo piano di azione concertata. A cominciare dalla crisi climatica, perché è arrivato il momento di definire una risposta globale. Lo studio di Climate action tracker, del quale riferiamo su Futuranetwork, ci dice che gli impegni assunti dagli Stati, se verranno mantenuti, già potrebbero contenere l’aumento delle temperature a 2,1° centigradi a fine secolo. Concorreranno a questo risultato l’impegno europeo per arrivare a essere carbon neutral entro il 2050 e anche quello della Cina per raggiungere lo stesso obiettivo entro il 2060, anche se per raggiungere questo risultato Xi Jinping deve combattere una forte lobby del carbone, presente anche nel suo Paese. Ma si deve fare di più e la Cop 26 di Glasgow, a fine anno, deve essere l’occasione per rivedere le Nationally determined contributions, con impegni più stringenti anche da parte dei Paesi emergenti e in via di sviluppo, che per questo devono avere aiuti adeguati. Molto ci si aspetta dalla nuova amministrazione americana, che con Joe Biden ritornerà al tavolo degli accordi di Parigi, ma molto può fare anche l’Italia, per una somma di responsabilità che investiranno il nostro governo nel corso dell’anno. Non solo perché l’Italia è con la Gran Bretagna copresidente della Cop 26, ma anche perché il nostro Paese sta già svolgendo da questo mese il ruolo di presidente di turno del G20. Inoltre, come ha ricordato (nella più recente puntata di “Alta sostenibilità” dedicata al percorso “da Parigi a Glasgow”) il ministro plenipotenziario Alessandro Motta che fa parte della joint task force Italia-UK per la preparazione della Cop 26, la Gran Bretagna sarà nel 2021 a capo del G7. Un’azione concertata tra i due governi può quindi promuovere la messa a fuoco di una strategia complessiva per affrontare non solo la crisi climatica, ma l’insieme dei problemi del dopo pandemia.

Molti altri aspetti, infatti, non possono essere dimenticati. Lo ha ricordato sul Corriere della sera del 14 Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati, in un “non festeggiamento” per i 70 anni dell’Unhcr. L’Agenzia che si occupa delle persone costrette a lasciare la propria terra avrebbe dovuto chiudere i battenti nel 1953, perché il suo mandato era circoscritto al compito di trovare rifugio alle migliaia di persone che il conflitto, in Europa, aveva obbligato alla fuga. Invece è ancora pienamente operante, anzi il suo impegno si è drammaticamente accresciuto.

Quasi un anno fa, il numero totale di rifugiati, sfollati interni, richiedenti asilo e apolidi ha raggiunto 1% dell’umanità. Una percentuale terribile, che aumenta ogni anno. Dobbiamo chiederci: quando sarà considerato inaccettabile? Quando raggiungerà il 2%? Il 5%? Quante persone devono ancora subire il lutto e l’affronto dell’esilio prima che i leader politici decidano di affrontare sul serio le cause di quelle fughe? Così, in occasione del 70º anniversario dell’Unhcr, la mia sfida alla comunità internazionale è questa: mandatemi a casa, cercate veramente di costruire un mondo in cui non ci sia bisogno di un’organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati, un mondo in cui nessuno sia costretto a fuggire.

Grandi ci parla di oltre 70 milioni di persone in cerca di una nuova vita a causa di guerre e violenze. Se a questa cifra aggiungiamo chi lascia la propria terra per carestie, siccità, condizioni di vita divenute insostenibili, arriviamo ben oltre. Di molti di questi “migranti economici” (molti dei quali “climatici”, che cioè non hanno nessuna possibilità di ritornare ai loro villaggi inariditi dal cambiamento del clima) non abbiamo contezza, perché si fermano nelle grandi metropoli del sottosviluppo, in condizioni di estrema fragilità che la pandemia ha ulteriormente aggravato. Oggi si celebra la giornata dei migranti, e la pagina dell’Onu dedicata a questa ricorrenza ci parla di 272 milioni di migranti internazionali, 51 milioni in più del 2010. L’impegno per affrontare globalmente questo problema è stato sottoscritto il 19 dicembre 2018, con la firma del “Global compact for safe, orderly and regular migration”, il cui stato di attuazione è stato analizzato in un recente rapporto del Segretario generale dell’Onu António Guterres. Non è molto, ma l’Italia non l’ha neppure firmato.

venerdì 18 dicembre 2020

Aderenti