Editoriali
“Cigni neri” e “pecore nere” dominano le previsioni per il 2024. Una ragione in più per rimanere fermi sui nostri valori e fiduciosi nelle nostre capacità. Il ruolo del G7 a guida italiana verso il Summit sul futuro.
Tra le notizie della newsletter quotidiana dell’Economist di lunedì 8 gennaio:
- Le tristi prospettive della manifattura e del commercio tedesco.
- Un nuovo anno infelice per i legislatori americani.
- Previsioni fosche per il governo inglese.
Ma piove sul bagnato. Gran parte delle analisi pubblicate in occasione del nuovo anno mostrano una analoga impronta pessimista. Due guerre terribili, per non parlare di tutte quelle dimenticate che contribuiscono alla sensazione di “guerra mondiale a pezzi” evocata da Papa Francesco. Altri Paesi alla deriva, dal Sudan all’Africa subsahariana travagliata da nuovi colpi di stato, fino all’Equador squassato dal narcotraffico. Una generale sensazione di incertezza economica, per l’inflazione non vinta e per il rallentamento della crescita mondiale. La molla sempre più in tensione delle migrazioni dal Sud del mondo, con le reazioni che provoca, dagli Stati Uniti all’Europa. La sempre più evidente minaccia della crisi climatica: la drammatica immagine del Canale di Panama con i tronchi che riaffiorano dopo un secolo, per il calo di livello dell’acqua che provoca una coda interminabile di navi in attesa di un passaggio sempre più difficile, ne sono una ulteriore testimonianza. Anche la decisione delle grandi compagnie di navigazione di circumnavigare l’Africa per evitare le aggressioni nello stretto di Hormuz contribuisce alla sensazione di un sistema geopolitico che si sta sfaldando. In questo clima diminuisce anche l’attenzione ai diritti umani. Come scrive il Guardian,
i doppi standard di molti leader politici nel riconoscimento delle norme internazionali sui diritti umani hanno messo a repentaglio innumerevoli vite.
E ancora: la pandemia da Covid-19, superata a quanto sembra, ma che ha lasciato in tutti un senso di precarietà, di possibili “cigni neri” che potrebbero manifestarsi senza la possibilità di prevederli. Proprio la lotta al Covid ha dimostrato che la cooperazione internazionale può vincere le peggiori sfide, ma il complessivo deteriorarsi della situazione mette in discussione le istituzioni stesse del multilateralismo, a cominciare dalle Nazioni Unite.
L’Onu ha fallito la sua missione?
Si pone questa domanda, con un’ampia analisi, la sempre interessante Rassegna stampa del Corriere della Sera. Scrive Alessandro Trocino:
Da qualche tempo si sono fatte più insistenti le critiche di chi pensa che la crisi di legittimità che ha investito l’Onu sia sostanzialmente irreversibile. Si accusa l’organizzazione per la debolezza politica, la parzialità, l’eccessiva burocratizzazione, i costi elefantiaci. Ma soprattutto la si considera inadeguata al nuovo assetto politico.
L’articolo analizza la sostanziale inemendabilità dell’organizzazione, perché i cinque Paesi che detengono il diritto di veto nel Consiglio di sicurezza non sono disposti a rinunciare ai loro privilegi, ma anche per i limiti derivanti da una prevalenza di Stati di dubbia democrazia, ma aggiunge:
Alla debolezza politica, ha raccontato su Famiglia Cristiana Antonio Maria Costa, ultimo italiano vicesegretario generale dell’Onu, fa da contrasto l’attivismo della «grande costellazione di agenzie che lavorano sul campo e che sono assolutamente benefiche. Pensiamo all’enorme lavoro dell’Unicef a fianco dei minori, soprattutto in ambiti come scuola e vaccini; pensiamo alla Fao, con i suoi programmi alimentari, all’Organizzazione mondiale della sanità, all’Unhcr, che lavora a fianco di rifugiati e migranti, e pensiamo anche all’impegno culturale dell’Unesco».
Insomma, non possiamo aspettarci dall’Onu quello che non può dare, ma dobbiamo valorizzare tutti gli aspetti del multilateralismo che funzionano e che migliorano il mondo. Anche il segretario generale dell’Onu Antònio Guterres ha delineato una “Onu 2.0” e proposto anche una riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, a cominciare da Fondo monetario e Banca mondiale, che sono l’architrave della cooperazione internazionale. I suoi “policy brief” in vista del Summit sul futuro che si terrà al Palazzo di vetro in settembre sono ricchi di idee coraggiose che dovrebbero essere valutate con attenzione innanzitutto dal G7, che quest’anno è a guida italiana.
Il gruppo dei sette Paesi più industrializzati che condividono gli stessi valori di democrazia e rispetto dei diritti può avere una funzione importante nell’impegno a delineare un nuovo ordine mondiale, senza pretendere di imporre una impossibile egemonia. Di recente si era anche parlato di trasformare l’organizzazione da “caminetto dei Grandi” a struttura permanente, al posto di quella Community of democracies che già esiste ma che non funziona. È un’idea che merita di essere approfondita.
L’aspetto maggiormente evidenziato dai commentatori, parlando delle prospettive del 2024, è che si tratterà di un anno elettorale per la maggioranza della popolazione mondiale. In molti Paesi le elezioni non si svolgeranno con criteri democratici. È il caso della Russia, dove saranno solo un plebiscito per Vladimir Putin, ma anche di altri Stati meno osservati. In Bangladesh, nelle prime elezioni di quest’anno, il partito al potere, dopo aver incarcerato molti oppositori, ha dovuto ritirare i propri candidati da alcune circoscrizioni per non dare l’impressione di un regime a partito unico.
L’incognita maggiore, nell’anno appena iniziato, riguarda le elezioni presidenziali americane del prossimo novembre. Se Donald Trump supererà i suoi impicci legali e otterrà la nomination repubblicana, se il suo antagonista sarà un Joe Biden anziano e poco popolare, è molto probabile che ci troveremo ad affrontare un altro quadriennio di regime trumpiano, con gravi minacce, secondo molti osservatori, per la stessa democrazia americana. È stato fatto notare in questi giorni che anche Hitler e Mussolini andarono al potere con un voto democratico.
Anche sulle elezioni europee gravano pesanti incognite, non solo perché una parte delle forze in campo è più o meno apertamente schierata contro la transizione ecologica, ma anche per la decisione del presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, di lasciare il suo incarico anticipatamente per candidarsi nel suo Paese. La gestione della delicata fase postelettorale rimarrebbe quindi tutta nelle mani del presidente di turno del Consiglio dell’Unione, che nel prossimo semestre sarà proprio l’ungherese Victoir Orban, la “pecora nera” dell’Unione. Certo, se gli Stati raggiungessero prima un accordo sulla presidenza del Consiglio europeo, che dura trenta mesi, tutto sarebbe risolto in tempo. Anche in questa trattativa il governo italiano potrebbe avere un ruolo importante.
Sempre in tema di elezioni europee, è giusto anche annotare la scarsa stima che certi leader politici italiani sembrano avere nei confronti dei loro elettori, con l’intenzione di trarli in inganno candidandosi per poi dimettersi il giorno dopo. A “Prima pagina” su Rai3, il giornalista Fabio Martini ha detto che si tratta di “una truffa” e l’espressione è stata ripresa da altri autorevoli giornalisti, da Marco Travaglio ad Antonio Polito. Anche Romano Prodi ha ribadito: “Le finte candidature sviliscono la democrazia”.
“Se sei in porto stacci, se sei in mare busca”, dice un proverbio marinaro: se c’è tempesta è troppo pericoloso avvicinarsi alle coste per cercare riparo, meglio attrezzarsi per affrontare al largo il maltempo. Ma c’è molto da fare: ridurre la velatura, affrancare tutto quello che può rovesciarsi, indossare le cinture di sicurezza, mettere la barra sulla rotta migliore per ricevere ondate e raffiche. Fuor di metafora, anche noi non possiamo far altro che “buscarci” questi tempi difficili. Ma possiamo fare molto.
Parafrasando l’invito del magistrato Francesco Saverio Borrelli a “Resistere, resistere, resistere” dobbiamo “Dialogare, dialogare, dialogare”. Promuovere i discorsi di pace, senza dimenticare le ragioni di chi è stato invaso, assalito con atti terroristici e di chi di questa situazione subisce le conseguenze senza colpa. Difendere l’Onu, le sue organizzazioni e il valore dell’Agenda 2030, che è tuttora l’affermazione più alta dei valori condivisi a livello globale e della quale presto si dovrà delinearsi una ulteriore proiezione verso la metà del secolo. Confrontarci con tutte le forze politiche su temi essenziali per lo sviluppo sostenibile in vista delle elezioni europee. Mobilitare la società civile che partecipa alla nostra Alleanza, ma anche le forze ad essa esterne sensibili agli stessi valori, per definire insieme i punti irrinunciabili della nostra azione, alla luce degli importanti risultati ottenuti dall’ASviS in questi (quasi) otto anni.
La nostra barca è solida e i manuali sulla navigazione con cattivo tempo raccomandano di non disperare, di ricordare sempre che le tempeste a un certo punto passano. Basta rimanere ben saldi al timone.
Fonte copertina: freedomnaruk, da 123rf.com