Editoriali
Prima di dedicarci alle grandi sfide dell’autunno, una riflessione che prende spunto anche dalle esperienze personali di un’estate “complicata”. Un modo per ragionare sugli ostacoli lungo la nostra rotta verso lo sviluppo sostenibile.
Speroni cambia ruolo: nel suo ultimo
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La realtà è un uccello che non ha memoria
Devi immaginare da che parte va..
È un uccello strano, fuori dagli schemi
Che non è sensibile ai miei richiami
Il suo volo è pieno di contraddizioni
Non conosce regole né fedeltà
La realtà è un uccello che non ha memoria
Devi immaginare da che parte va.
Io mi nutro solo di un uccello strano
è da tanto tempo che gli dò la caccia
Vivo per mangiare questa bestiaccia
Altrimenti muoio di inutilità.
Noi ci liberiamo,
Ci buttiamo nell'amore senza falsi moralismi
La realtà è più avanti
Noi ci critichiamo,
Ci guardiamo dentro lucidi e coscienti
La realtà è più avanti.
Noi mangiamo Storia, siamo militanti
La realtà è più avanti.
Noi scendiamo in piazza
Siamo democratici, siamo antifascisti
La realtà è più avanti.
Siamo sempre indietro, la realtà è più avanti
Siamo sempre indietro…
(dalla canzone prosa di Giorgio Gaber, 1995. Testo integrale sul sito della Fondazione Giorgio Gaber)
Non è la prima volta che lo scrivo e non sono il solo a scriverlo: il vero inizio dell’anno nuovo è più o meno in questa stagione, quando l’estate va verso la conclusione. Si riaprono le scuole, ricomincia il campionato di calcio, la politica torna a confrontarsi sulla Legge di bilancio che dovrebbe fornire il quadro di riferimento delle iniziative di governo per gli anni successivi. Anche a livello personale, per molti è un momento di consuntivi e di programmi.
Diverse religioni riconoscono che questo è il tempo della svolta. Dalla celebrazione di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico che quest’anno inizierà al tramonto di mercoledì 2 ottobre, alla festa islamica di Ra's as-Sanah (certe assonanze dovrebbero far riflettere sulla fratellanza originaria di popoli che adesso si odiano) che dal tramonto di domenica 7 luglio ha segnato l’inizio dell’anno 1446 dall’Egira, il capodanno cade più o meno in questa stagione. E questo vale pure per altri popoli, i copti, gli etiopi, i tamil…
Anche per noi dell’ASviS, questo è il momento della ripresa delle attività dopo la breve pausa estiva; il primo editoriale della stagione dovrebbe dare una prospettiva a tutta l’Alleanza. Ma ho promesso di scriverlo io e lo confesso: Domine, non sum dignus. E mi spiego.
Già da maggio avevo annunciato che per ragioni di età e per una diversa scansione nell’uso del mio tempo residuo, intendevo mantenere il mio impegno per lo sviluppo sostenibile e la ricerca sui possibili futuri, ma lasciare alcuni incarichi operativi più gravosi nel team ASviS, tra cui quello di “editorialista principe” di questa newsletter. Principe o principale, si intende, in senso strettamente statistico, perché in questi otto anni ho scritto la maggior parte dei testi che hanno aperto questa pubblicazione settimanale.
Gli amici dell’Alleanza mi hanno gratificato, al termine del Festival dello Sviluppo Sostenibile, con una bellissima festa e addirittura con un volumetto (ora reperibile tra le pubblicazioni ufficiali ASviS) che raccoglie alcuni degli editoriali che ho scritto dalla nascita dell’ASviS in poi. Quello che ha scritto Flavia Belladonna, che da me ha preso il testimone della responsabilità della Redazione, nell’introduzione al volumetto “L’ASviS e lo sviluppo sostenibile attraverso la penna di Donato Speroni” mi ha veramente commosso.
Così, questo mio scritto di oggi, una sorta di canto del cigno, non può pretendere di dare la prospettiva sugli impegni immediati e le strategie dell’Alleanza, in un momento importantissimo della sua storia. Ricordiamo che l’Alleanza affronterà, fin dal prossimo mese, nuove vitali sfide a tutti i livelli. Guardando ai temi globali di conferma e proiezione dell’Agenda 2030, l’ASviS e i suoi Aderenti saranno impegnati a rendere partecipe l’Italia del grande dibattito che si svilupperà a partire dal “Summit del futuro” dell’Onu, che dovrebbe convalidare e arricchire gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, proiettandoli anche oltre questo decennio.
A livello europeo, con l’avvio della nuova Commissione von der Leyen dopo le elezioni per il Parlamento di Strasburgo, verranno certamente al pettine i contrasti tra chi crede nell’importanza degli impegni europei già sottoscritti per la transizione ecologica e chi vorrebbe invece diluirli o cancellarli. Contrastare questa posizione di inutile rimpianto di un passato che non può ritornare richiederà un attento monitoraggio da parte della società civile, nella convinzione che certi impegni sono forse da rivedere nella loro concreta articolazione ma non certo da cancellare in nome di una sconsiderata retrotopia.
In Italia l’ASviS dovrà continuare il dialogo faticoso con un governo espresso da una maggioranza che nella sua maggioranza (non è un bisticcio di parole, mi sembra che sia la realtà) non ama le politiche di sostenibilità, vorrebbe che il cambiamento climatico non esistesse anche se pochi incauti si spingono a negarlo, complessivamente non esprime una politica di visione, come ha sottolineato chiaramente, senza punte polemiche ma con aderenza ai fatti, il direttore scientifico dell’ASviS Enrico Giovannini nell’ampia intervista alla Stampa di giovedì 29 agosto a cura di Luca Monticelli.
Domine non sum dignus, ripeto. In un quadro così complesso, non posso certo indicare la strategia che verrà elaborata e discussa nelle prossime riunioni dei gruppi di lavoro dell’ASviS per essere poi espressa compiutamente nel Rapporto annuale che sarà presentato in un evento nazionale il 17 ottobre.
Però, visto che sono qui ancora una volta con la virtuale penna in mano, penso di poter comunque dare un contributo utile, offrendo una testimonianza su fatti che mi sono capitati in questi mesi e che forse può fornire spunti utili per l’elaborazione strategica. Perché la mia è stata un’estate strana, dai gelidi (e bellissimi) mari artici alla tropicale Roma, con episodi fantozziani e sorprese non troppo gradevoli ma alla fine istruttive. Il tutto sempre accompagnato da un ritornello che mi ha martellato la testa tutte le volte che cercavo di esprimere un pensiero politico.
“LA REALTÀ È PIÙ AVANTI”. Il mio tormentone dell’estate 2024, infatti, non è stata “Italodisco” dei The Kolors che non ho mai sentito ma che ChatGPT mi dice stia imperversando sulle spiagge italiane, ma invece il ritornello di Giorgio Gaber in un teatro canzone di quasi trent’anni fa, che ho riportato in apertura di questo editoriale. Un testo che forse oggi più che mai, con la decadenza delle capacità di dialogo, è interessante rileggere o riascoltare. Profetico come sempre, ci ricorda che la realtà è sempre oltre il punto dove andiamo a cercarla. Gaber prendeva spunto dalle vicende del ‘68 che egli stesso aveva vissuto e poi in parte rinnegate (non gli ideali, le pratiche), per dire che tutti i tentativi dei movimenti politici e sociali di costringere la realtà nei propri schemi interpretativi sono sempre falliti, rimasti indietro almeno di un passo rispetto all’evolversi della Storia. Dalla teoria scientifica del “Capitale” che prevedeva la rivoluzione proletaria in Inghilterra o negli Stati Uniti, cioè all’apice dell’evoluzione capitalista, per poi invece vederla scoppiare in Russia e in Cina, agli inutili slogan “Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse Tung”, che adesso sembrano così fuori dal tempo anche a chi cinquant’anni fa li gridava con convinzione sfilando nelle strade di Roma o di Milano; ma anche tanti tentativi, spesso tragici se si pensa al nazismo e al “socialismo reale”, di inquadrare e imporre una propria verità che il metaforico “uccello della realtà” provvede ben presto a irridere. Perché nella metafora di Gaber la realtà è descritta come una preda, un volatile che i cacciatori (chi fa politica, chi vuole ingabbiarla nella propria narrazione) non riescono mai davvero ad acchiappare. “Ma qual è la realtà dello sviluppo sostenibile?”, ho continuato a pensare in queste settimane. “E la stiamo cercando nel posto giusto?” Anche chi come noi è animato dalle migliori intenzioni di attuare l’Agenda 2030 dell’Onu si trova continuamente di fronte a problemi sempre nuovi e complessi. Certo questo non deve indurci a rinunciare alla “caccia” di cui parla Gaber. Ma siamo capaci di adeguare la nostra mira con sufficiente rapidità, tenendo conto dell’evoluzione della tecnologia, dei mutamenti relativamente rapidi della demografia mondiale, dei cambiamenti nel modo di sentire di miliardi di persone soprattutto giovani, e anche delle rapide modifiche delle condizioni del Pianeta? Certo, per cambiare metafora non dobbiamo “buttar via il bambino con l’acqua sporca” ma dobbiamo ripulirlo bene, questo bambino dello sviluppo sostenibile, da incrostazioni e pregiudizi ideologici di oggi che rischiano di non farlo mai riemergere bello chiaro e pulito nella sua essenzialità.
IL PERICOLO SOMMERSO. Per navigare oltre i 60° di latitudine Nord e avvicinarsi alle acque del Circolo polare, i capitani delle navi hanno bisogno di una speciale patente artica e in certe condizioni devono anche imbarcare un “iceberg pilot”. Anche se oggi transatlantici e navi da crociera hanno ben altri strumenti di ricognizione rispetto ai tempi del Titanic, gli iceberg fanno ancora paura perché la parte sommersa, ben più estesa di quella che si vede galleggiare, può provocare gravi danni a qualunque imbarcazione che non abbia lo scafo attrezzato a rompighiaccio.
In luglio, navigando verso Nuuk in Groenlandia e guardando l’affascinante spettacolo dei tanti blocchi di ghiaccio che la corrente spinge dal Polo verso il mare del Nord e l’Atlantico, questi iceberg mi sono apparsi come una metafora: sono apparentemente piccoli e facilmente evitabili, ma non sappiamo davvero che cosa c’è sotto. Allo stesso modo siamo attrezzati per schivare le tante polemiche di scarsa sostanza che ci si parano dinnanzi nella nostra navigazione verso lo sviluppo sostenibile, ma sappiamo assai poco e poco ci occupiamo dei movimenti, degli umori negativi, delle false ideologie che sostengono la parte emersa del ghiaccio e che manterranno a galla sulla nostra rotta politici ostili nella loro ottusa retrotopia. Fino a quando, ripeto, non ci decideremo ad affrontare tutto quello che c’è sotto.
IL TAPPETTO MALEDETTO. Di ritorno dalla mia crociera, all’aeroporto di Amburgo commetto un errore piuttosto costoso. Passato il controllo di sicurezza, acquisto una bottiglietta di acqua minerale, la bevo in parte, la richiudo e la metto nel mio zaino accanto ai miei device elettronici. La bottiglietta è di quelle ecologiche, col tappo nuovo che non si stacca ma che spesso non ci si accorge che non chiude bene. Infatti perde, il mio zaino è a perfetta tenuta impermeabile il che vuole anche dire che se l’acqua è all’interno lì rimane… Risultato: il mio portatile e il mio iPad vengono alluvionati, morti.
Quando porto i miei preziosi strumenti di lavoro al centro di assistenza di Roma, il mio referente Alessio si mette a ridere: “Non sei mica il primo, sai che strage di computer hanno fatto questi nuovi tappi…”. Insomma, tutto da buttare, spesa imprevista di qualche migliaio di euro. Per carità, tutta colpa mia e della mia disattenzione, certo non me la prendo con le direttive europee che hanno imposto questi tappi. Ma un dubbio è legittimo. Parlandone anche con altri, ho verificato che questa innovazione è molto sgradita, tanto che qualcuno taglia subito il filetto con le forbici per staccare il tappino dalla bottiglia. Mi domando: se mettiamo su un piatto della bilancia il vantaggio che il Pianeta ricaverà dalla minore dispersione della plastica dei tappi, e mettiamo sull’altro piatto l’irritazione per il disagio di una misura di questo genere, vissuta come una imposizione di una burocrazia senza alcuna condivisione e senza adeguata spiegazione, mi chiedo se alla fine l’operazione faccia inclinare il piatto verso una maggiore condivisione della sostenibilità o verso l’antipatia per i cosiddetti “ideologi del cambiamento a tutti i costi”, appellativo che vorrebbe bollare chi come noi sostiene la transizione ecologica.
Provo anche a rispondere: forse è solo un problema di comunicazione. Ci siamo abituati ad altre innovazioni apparentemente scomode ma necessarie, come la raccolta differenziata della spazzatura della quale ora andiamo giustamente fieri in molte zone d’Italia. È giusto anche lasciare attaccati i tappi alle bottigliette, se questo contribuisce a ridurre lo spaventoso problema dell’inquinamento della plastica in mare. Forse però, visto che qualche problema il tappeto maledettolo crea, si poteva cercare di rendere questa innovazione un po’ più simpatica spiegandone meglio l’utilità per evitare un rimbalzo negativo del supporto allo sviluppo sostenibile.
IL PARACADUTE AGGIUNTIVO. Agosto, sono tornato nella mia casa sulle colline pisane. Per qualche giorno sono solo con la mia cagnolina, quando mi accorgo che qualcosa non va. Come ha detto di recente Oliviero Toscani parlando delle sue difficili condizioni di salute, si pensa sempre di avere trent’anni, finché un giorno o una notte non ti accorgi di colpo di averne ottanta. Il grande fotografo ha la mia stessa età, classe 1942, ma la sua botta è molto più brutta perché gli è stata diagnosticata una amiloidosi, malattia che ha quasi sempre un esito infausto (però i miei colleghi giornalisti dovrebbero smetterla di parlare di “mali incurabili” perché ogni malattia ha le sue cure, risolutive o palliative che siano).
Nel mio caso invece si è trattato (posso già parlarne al passato) dell’improvviso manifestarsi del rischio di una polmonite bilaterale, per fortuna bloccata in pochi giorni da una “bomba di farmaci”, ma anche questo mi ha fatto riflettere. La diagnosi, la terapia e la convalescenza in tempi così rapidi sono state possibili perché ho deciso subito di rivolgermi a una clinica privata. La sanità pubblica in Toscana a quanto mi risulta è di ottima qualità e l’ospedale di Cecina non fa eccezione, ma in quelle giornate (era il 14 agosto) sapevo che mi sarei infilato in un girone infernale senza poter chiedere miracoli, con pronto soccorso e guardie mediche ingolfate di turisti su tutta la costa. Nel giro di due giorni, a cavallo del Ferragosto, la clinica è stata in grado di organizzarmi la visita da uno specialista dei polmoni che si è seduto accanto al radiologo per guardare i polmoni ai raggi X e fatto la sua diagnosi senza neppure aspettare il referto, consentendomi così di avviare le cure senza perdere nemmeno un giorno. Ma rifletto: ho potuto rivolgermi quasi alla cieca a una struttura privata perché sapevo di avere alle spalle non solo la copertura del servizio sanitario nazionale, ma anche un’ottima assicurazione sanitaria privata, quella dei giornalisti, che avrebbe coperto in buona parte anche le migliaia di euro di un eventuale ricovero. Ma cosa avrebbe fatto al mio posto un cittadino o una cittadina senza questo paracadute aggiuntivo? Quanto tempo avrebbe richiesto l’attesa con la febbre ma probabilmente in “codice verde” in un pronto soccorso ingolfato o il contatto con una guardia medica super impegnata, poi la diagnosi, la prenotazione della visita di uno specialista e gli accertamenti radiologici nel momento in cui la diagnosi non era tale da prescrivere un ricovero? Non me ne intendo di politiche sanitarie, ho solo l’impressione di aver toccato con mano qualcosa che non funziona non solo nelle nostre strutture ospedaliere ma anche nella loro narrazione. Forse anche le contrapposizioni tra sanità pubblica e privata, la denigrazione dell’una e la demonizzazione dell’altra andrebbero riviste. Per la cronaca in totale la fattura della clinica di Rosignano marittimo per due visite specialistiche del pneumologo che mi ha anche seguito telefonicamente per un’intera settimana e per l’analisi radiografica è stata in totale di 160 euro. E questo potrebbe aprire anche un altro discorso sulle meravigliose sorprese di competenza, umanità ed onestà dei nostri territori, ma stiamo già divagando troppo.
RITORNO AL PRESENTE. Ormai convalescente, rientro nella torrida e umida Roma dove ritrovo il gusto delle notizie. Sì, perché nelle giornate in cui ero sottoposto a una botta di antibiotici e altri farmaci “pesanti” per debellare sul nascere la malattia, non avevo perso l’olfatto come capita col Covid, ma il gusto di seguire quello che succede nel mondo. Perdita grave, per un giornalista la cui abituale dieta mediatica quotidiana si nutre di due rassegne stampa, tre telegiornali e almeno un quotidiano e una rivista straniera online. In questo ritorno al presente dopo un’assenza di qualche giorno dalla scena mondiale, mi guardo intorno e vedo molti cambiamenti. In piccolo, mi succede qualcosa che mi fa pensare al film “Goodbye Lenin” nel quale un’anziana madre, sostenitrice convinta della Germania comunista, si risveglia dal coma dopo la caduta del muro di Berlino, in un mondo totalmente diverso.
Nel mio caso i cambiamenti sono più piccoli, sono stato “assente” pochi giorni, ma comunque mi fanno pensare. Certo sul fronte del clima la situazione non è migliorata, anzi ci sono novità che devono metterci in allarme. L’affondamento del grande veliero Bayesian davanti a Palermo è quasi certamente dovuto a errori umani, ma chi va per mare ci dice che trombe d’aria, temporali improvvisi con pioggia di fulmini, venti oltre i 70 nodi (circa 130 chilometri orari) sono diventati più frequenti soprattutto nella parte occidentale del Mediterraneo, dalle Baleari (violenta mareggiata con barche affondate a Formentera il 14 agosto) all’Adriatico, con fenomeni che ricordano gli uragani che periodicamente colpiscono le isole dei Caraibi o le coste dell’Asia meridionale e dell’Australia ma che da noi erano sconosciuti. Dovremmo cominciare a pensarci seriamente.
Se per gli aspetti ambientali ci sono poche novità positive, per altri aspetti il mondo sembra in via di cambiamento con sbocchi sui quali dobbiamo interrogarci e che potrebbero anche darci una mano. C’è sempre la minaccia costituita da Donald Trump alle prossime elezioni americane, ma adesso Kamala Harris ha concrete possibilità di vittoria grazie a un partito democratico che nel suo nome ha ritrovato una sostanziale unità. Positivo, anche se in Italia se ne parla così poco, il processo di preparazione del Summit del futuro, che già oggi ha fatto registrare un ampio consenso internazionale su tre importanti documenti preparatori, rimettendo in moto un processo di valorizzazione delle attività multilaterali in un momento nel quale sembrava che la credibilità dell’Onu avesse toccato il punto più basso.
Il dramma dei Paesi più poveri non è cambiato, ma la rivolta dei giovani che in Bangladesh chiedevano la fine dei privilegi e più lavoro per le nuove generazioni ha portato al potere a Dacca, almeno temporaneamente, l’economista e premio Nobel per la pace Muhammad Yunus.
Altre novità sono più difficili da leggere. La Francia, in fase di profondo travaglio nella formazione di un governo dopo le ultime elezioni, e la Germania, dove la maggioranza di governo è fortemente a rischio a seguito dei risultati in Sassonia e Turingia, non sembrano più in grado di porsi come nucleo fondante di un’Europa più integrata e questo potrebbe aprire nuovi spazi per l’Italia, ma anche ritardare quel processo federale che consideriamo indispensabile in prospettiva.
Anche sul grande scacchiere della geopolitica, in un quadro apparentemente fermo, tutto si muove. La guerra provocata da Vladimir Putin con l’invasione dell’Ucraina continua, ma l’offensiva dell’esercito di Kiev oltre il confine russo ha quanto meno cambiato i parametri di riferimento. Palestinesi e israeliani continuano ad ammazzarsi e (opinione della quale mi assumo piena e convinta responsabilità) continueranno a lungo
a farlo in mancanza di una gestione militare internazionale della vertenza, perché gran parte della popolazione palestinese, nutrita di risentimento e di odio ormai da tre generazioni, sta con Hamas e non è disposta ad accettare soluzioni diverse dalla cancellazione dello Stato ebraico, mentre dall’altra parte, al posto delle posizioni dialoganti del passato, ha preso consistenza una destra fanatica e anche pronta ad azioni terroristiche contro gli arabi della Cisgiordania, una destra convinta che sia suo diritto, nel nome della Torah, cacciare tutti i palestinesi dalla terra che Dio ha promesso ai figli di Abramo migliaia di anni fa. Ma anche qui si vede qualche piccolo spiraglio di fatti concreti, come la tregua per consentire la vaccinazione dei bambini palestinesi contro la poliomielite.
Anche sul fronte interno il mio risveglio mi porta a scoprire fatti interessanti e nuovi. Chi si sarebbe aspettato che una componente della destra italiana come Forza Italia si impegnasse con il Partito radicale sui diritti nelle carceri e su una forma più umana di accesso alla cittadinanza, come sarebbe lo ius scholae? E chi si immaginava una Chiesa italiana che scende in campo con posizioni esplicite e inattese, come le sollecitazioni di monsignor Paglia perché il Parlamento abbia il coraggio di affrontare il tema del fine vita? Anche con altre scelte esplicite la Chiesa di Francesco ha mostrato di cambiare atteggiamento mostrando minore prudenza. Per esempio, col messaggio di benedizione inviato dal Papa all'equipaggio della nave Mare Jonio e alla Fondazione Migrantes il 23 agosto 2024, in occasione della partenza di una missione congiunta di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo, manifestando in questo modo un esplicito appoggio alle attività di Luca Casarini che è tra i capi di questa operazione e che una parte della destra continua a considerare un pericoloso terrorista.
Ancora, simbolo di questo nuovo stile più esplicito della chiesa italiana nel dibattito politico e sociale, lo schiaffo ai fautori dell’autonomia differenziata riconoscendo che aumenterà le disuguaglianze del Paese vedendo spazio ad analisi senza precedenti sui giornali italiani sul conflitto tra i cattolici che seguono Francesco e una parte della destra che magari agita i rosari sul palco ma la pensa in tutt’altro modo.
Rifletto su tutte queste novità con una punta di ottimismo: “la realtà è più avanti”, come diceva Gaber, e ci pone le sfide in termini nuovi, ma mostra anche che il mondo si sta muovendo e non solo in senso negativo. Però il mio buon umore si spegne ben presto, quando in una torrida mattinata romana salgo su un taxi per farmi portare a un controllo medico e sento il tassista vomitare odio e improperi contro tutto e tutti: l’Europa e la von der Leyen, i vaccini, gli immigrati, la democrazia.
“Scusi ma allora lei che governo vorrebbe?”
“Basta, si fanno le elezioni e il partito che prende più voti fosse anche solo il 10% ha tutto il potere, così non ci rompono più le scatole”.
Discorsi di questo genere li sento spesso da persone che si alimentano soltanto sui social, con una selezione accuratamente negativa di quello che vedono e sentono, su YouTube, sugli scambi magari nel dark web. Come due delle mitiche scimmie nel bassorilievo ligneo del tempio giapponese di Tōshō-gū, che si coprono gli occhi e le orecchie perché non vogliono né vedere né sentire. Ma a differenza dell’immagine nel tempio che vuole raffigurare una positiva fase zen, la terza scimmia qui da noi vuole parlare, spandere inutili cattiverie anche se sa di non sapere, avvelenare il mondo con notizie false e attentati a qualsiasi tentativo di dialogo costruttivo.
Ecco, è con la lotta contro il diffondersi di questa mentalità, così difficile da cambiare perché è radicata in persone che appunto non vogliono né vedere né sentire, che a mio avviso si affronta la maggiore difficoltà sulla nostra rotta, anche perché né noi né i nostri aderenti e alleati siamo pienamente attrezzati a farlo. Ma usando parole grosse, credo che affrontare questo “odio sommerso” in questo momento questo sia la battaglia più importante per un futuro decente dell’umanità. Da parte mia in questo nuovo anno continuerò a fare la mia parte, ma lascio volentieri il timone a chi ha più energia e forse più visione di me.
Fonte copertina: yokokenchan, da 123rf.com