Editoriali
Dalle proteste di Los Angeles al malcontento dei teenager inglesi, il dissenso contro l’accelerazione tecnologica si accende nel mondo. Lo sviluppo può incrementare le disuguaglianze, ma anche attenuarle. La sfida è globale e richiede soluzioni globali.
Taxi in fiamme, scontri con le forze dell’ordine, notti di coprifuoco: i video da guerriglia urbana delle proteste in California contro le politiche migratorie del governo Trump hanno fatto il giro del mondo. E in molti sono rimasti colpiti dall’accanimento della folla contro i robotaxi Waymo, incendiati come segno di contestazione. Come è stato analizzato su molte testate, i motivi per cui i cittadini di Los Angeles hanno scelto questi target sono vari: distruggere qualcosa a portata di mano senza rischiare di far male a nessuno, “colpire” la Silicon Valley (così vicina a Trump), ma anche, come scrive Vincenzo Borgomeo sulla Stampa, lanciare un grido contro qualcosa di più grande: la disumanizzazione del mondo, l’algoritmo che spazza via il lavoro, la vita, il contatto.
La retorica sugli effetti di un mondo sempre più veloce, interconnesso, automatizzato è così diffusa da essere difficile aggiungere qualcosa di nuovo. Eppure se è così diffusa un motivo ci sarà. A maggio è uscita una ricerca condotta dal British standards institution che rivela che la metà dei ragazzi e delle ragazze intervistati (età tra 16 e 21 anni) vorrebbe un mondo senza internet. Un dato abbastanza sorprendente, per tre motivi: la metà è un valore molto alto; i ragazzi non sono così inconsapevoli come ce li figuriamo; gli adolescenti desiderano un mondo che non hanno mai vissuto. Il 70% di loro ha detto di sentirsi peggio dopo aver passato ore sulle piattaforme social, la metà auspica un “coprifuoco digitale” dopo le 10 di sera su alcuni siti e app, mentre il 46% vorrebbe essere giovane in un mondo senza internet.
Interessanti anche le interviste che sono venute fuori da un altro studio condotto da Changes Unipol, in collaborazione con Kkienn Connecting People and Companies, che si concentra sulla fascia d’età 16-35 anni e mappa gli effetti dell’uso degli smartphone sulla salute mentale. “Stai facendo una cosa e nello stesso momento inizi a farne un’altra… poi non ti ricordi cosa stavi facendo…”, dice uno degli intervistati. “Esci con gli amici e ti accorgi a un certo punto che stiamo tutti guardando lo smartphone”; “spesso ti passa la voglia di uscire perché sei su Instagram”; “quando lo uso [lo smartphone] più spesso, tendo a non esagerare, ma mi bruciano gli occhi, mal di testa, insonnia, emicrania”.
E poi c’è l’intelligenza artificiale, che ha alzato la posta della sfida. Dopo i risultati disastrosi dell’indagine Piaac – che mostrava livelli di alfabetizzazione funzionale stagnanti o in calo – su FUTURAnetwork abbiamo chiesto a Gemini (Google) e Grok (X) cosa pensassero del rapporto tra sviluppo tecnologico e culturale. La prima ha risposto che l’enorme disponibilità di informazioni si sta traducendo in un impoverimento delle capacità cognitive necessarie per trasformare quell'informazione in vera cultura e pensiero critico. Grok invece affermava di non vedere un declino culturale, ma una metamorfosi. Una cultura del futuro diversa, più fluida, interconnessa, partecipativa – una “Global Youth Culture” che unisce i giovani di Lagos, Milano e Bangkok attraverso simboli, valori e linguaggi condivisi. “Non sarà quella dei libri polverosi o delle aule silenziose, ma una cultura viva, che cresce con le persone e le loro tecnologie”.
Il punto, comunque, non sono solo gli smartphone, o l’AI, e soprattutto non sono solo i giovani. Infodemia, fake news, ansia da prestazione, ma anche sostituzione del lavoro umano, digital gap, sono questioni integrate alle nostre vite. Qualsiasi fascia d’età viene toccata dalla tecnologia, che ci piaccia ammetterlo o no. Se per dipendenza o per repulsione, è solo un modo diverso di dire la stessa cosa. La vera sfida è comprendere come gestire i problemi della transizione digitale (e le sue opportunità), e farlo attraverso lo sviluppo sostenibile. Su FUTURAnetwork abbiamo dedicato un intero libro a studiare gli effetti positivi e negativi dell’intelligenza artificiale sulle persone. Con un intento chiaro: il cambiamento non deve essere rifiutato ma compreso, messo in discussione, migliorato.
Esistono soluzioni e alternative, e stanno partendo anche da singoli gruppi di individui. A Brooklyn è nato qualche mese fa il Luddite club, un gruppo di ragazzi e ragazze saturi di internet e social che ha deciso di disconnettersi in massa. Si incontrano nei parchi ogni domenica, chiacchierano, leggono, giocano, dipingono o semplicemente si annoiano (la fondatrice del club ha detto che una volta che ha abbandonato i social ha scoperto cosa fosse la noia). Chi non era felice di questo cambiamento, anche se sembra assurdo, erano i genitori: non potevano più controllare dove si trovassero i figli, geolocalizzarli, mapparne la vita tramite post o storie sui social o inviare raffiche di whatsapp. Dopo un po’ hanno trovato il compromesso: il classico messaggio, “tutto bene, torno presto, tvb”, via sms.
Ci sono anche altre strade: alcuni istituti scolastici in America hanno cominciato ad adottare i dumb phone, ovvero i telefoni stupidi, così lenti da far passare la voglia di andare su internet. Altri stanno vietando l’utilizzo degli smartphone a scuola, come sta succedendo in Danimarca, Italia e molti altri Stati. Ci sono anche delle app di mindfulness che rilassano l’utente stressato a causa della vita frenetica o che bloccano automaticamente l’utilizzo del cellulare superata una certa soglia. Una soluzione abbastanza paradossale – utilizzare una app per lenire la dipendenza dalle app – che dimostra però quanto la digitalizzazione sia ormai inscindibile dalle nostre vite, e le risposte positive vadano cercate all’interno piuttosto che all’esterno. A meno che non vi chiamate Mark Boyle, lo scrittore irlandese che da anni vive nella natura senza connessione internet e denaro.
Queste iniziative non devono essere viste come un rifiuto a priori dello sviluppo tecnologico, ma come risposte a certi sintomi. Risposte che per funzionare hanno bisogno della collettività. Servono Patti Digitali condivisi, scrive Federico Cella sul Corriere della sera, come quelli della rete dei Patti Digitali di comunità, movimento della società civile che propone un uso più consapevole della tecnologia. “L’educazione digitale è efficace se viene offerta in modo coordinato da parte di una comunità (genitori, scuole, pediatri, istituzioni, oratori, scout, società sportive, ecc.) in cui ci si supporta a vicenda”, si legge sul sito di Patti Digitali. Serve parlarsi, discutere e decidere quale direzione prendere.
L’Agenda 2030, firmata nel 2015, contiene già questi principi, che ora devono essere applicati a un mondo che cambia. Anche il Patto sul Futuro, firmato dai Paesi Onu (tra cui l’Italia) a settembre scorso, dedica un importante documento alla gestione della transizione digitale. Si tratta del Global digital compact, che stabilisce il primo quadro mondiale per la governance dell'intelligenza artificiale e la tecnologia digitale. Tra gli impegni: connessione universale a internet, sicurezza dello spazio online, in particolare per le bambine e i bambini, una roadmap per la regolamentazione dell'intelligenza artificiale. Per non parlare dell’AI act, il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale.
Lo stesso G7 che si è svolto in questi giorni in Canada ha messo sul tavolo, tra i tanti temi, la gestione dell’intelligenza artificiale. I leader mondiali hanno dichiarato di voler promuovere uno sviluppo digitale umanocentrico, “l'innovazione e l'adozione di un'AI sicura, responsabile e affidabile che apporti benefici alle persone, mitighi le esternalità negative e promuova la nostra sicurezza nazionale”.
La transizione digitale pone sfide sociali che non vanno rifiutate, né ignorate, ma gestite. Lo sviluppo tecnologico può aumentare le disuguaglianze, ma anche attenuarle. Si tratta di problemi globali che richiedono soluzioni globali, da concordare a livello multilaterale tra gli Stati. Solo attraverso accordi condivisi si potrà navigare tutti nella stessa direzione.
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