Goal 1 "Sconfiggere la povertà"
Un Paese incapace finora di costruire un futuro senza povertà
Rapporto ASviS 2023: Italia terzultima in Ue sull’Obiettivo 1 dell’Agenda 2030. Sostenere tutte le famiglie povere, intervenire con forza sull’edilizia residenziale pubblica e combattere il lavoro irregolare con sistematicità.
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Alla crescente attenzione ai temi dello sviluppo sostenibile nella società italiana sono corrisposti risultati decisamente insoddisfacenti per ciò che riguarda la lotta alla povertà, a cui è dedicato l’Obiettivo 1 dell’Agenda 2030.
Secondo i risultati del sondaggio Ipsos nel Rapporto ASviS 2023, la lotta alla povertà è all’ottavo posto nella classifica delle priorità dell’opinione pubblica italiana sui 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, con il 17% degli intervistati che la indica tra le più rilevanti e il 5% che la pone al primo posto. Il nostro Paese viene percepito come connotato da una forte frattura sociale tra ricchi e poveri (61%, soprattutto tra gli appartenenti al ceto popolare) e otto cittadini su 10 ritengono che nel proprio Comune di residenza la povertà sia in aumento negli ultimi anni (in particolare, nel Centro Italia, nelle Isole e tra i ceti popolari). A livello individuale, il 66% degli intervistati si auto-colloca nella parte inferiore della piramide sociale (con un italiano su quattro che ha difficoltà ad arrivare a fine mese o si considera povero). Le difficoltà economiche delle famiglie e il sostanziale stallo del miglioramento delle proprie condizioni di vita sono riconducibili secondo gli intervistati agli stipendi bassi (55% del campione, in particolare tra i 31-50enni), alla precarizzazione del mercato del lavoro (49%, soprattutto al Sud e Nord Ovest), all’eccessiva tassazione (42%) e alla corruzione (31%). Il 40% si aspetta un peggioramento della condizione economica della propria famiglia nei prossimi sei mesi.
Considerando il quadro italiano sul Goal 1, il Rapporto ASviS evidenzia che le politiche di contrasto alla povertà perseguite dal 2015 sono state insufficienti e contraddittorie. Si registra per questo Goal un andamento negativo tra il 2010 e il 2015, causato anche dall’aumento della quota di persone in povertà assoluta (+3,4 punti percentuali). Dal 2015 inizia un lento miglioramento fino al 2019, interrotto bruscamente dalla pandemia, che porta nel 2020 il livello di povertà assoluta al 9,4%, il valore peggiore tra il 2010 e il 2022. Nell’ultimo biennio si registrano lievi segnali di ripresa, grazie alla riduzione della grave deprivazione materiale e sociale (-1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022), anche se nel 2022 i 18-34enni che mostrano almeno un segnale di deprivazione sono quasi uno su due. Nel confronto con gli altri Paesi europei l’Italia, terzultima nel raggiungimento del Goal 1, registra nel 2021 una quota più alta di quella media europea per le persone a rischio di povertà (+3,3 punti percentuali) e per le persone con una bassa intensità lavorativa (+1,9 punti percentuali).
Permangono gravi ritardi delle politiche pubbliche, con avanzamenti temporanei e arretramenti che, sottolinea il Rapporto, rendono il nostro Paese ancora incapace di costruire, in modo esplicito, un futuro senza povertà e disuguaglianze. Il documento evidenzia che il governo Meloni, anziché riformare il Reddito di cittadinanza (Rdc) come proposto nel 2021 dal Comitato scientifico per la valutazione del Rdc, ha deciso di abolirlo a partire dal 1 gennaio 2024, sostituendolo con due nuove misure: l’Assegno di inclusione per il contrasto alla povertà e il Supporto per la formazione e il lavoro (quest’ultimo in vigore dal 1 settembre 2023). È stata così ribaltata l’impostazione precedente basata su uno strumento universale di lotta alla povertà, tornando alla logica “categoriale” che aveva caratterizzato le politiche di settore precedenti. Il nuovo sistema introduce nuove forme di iniquità fra i beneficiari delle due misure e lascia scoperte larghe fasce della popolazione in condizione di grave povertà. In particolare, il diritto a usufruire di una protezione continuativa dello Stato è riconosciuto solo alle famiglie che presentano alcune caratteristiche (presenza di minori, di over 60enni, di persone con disabilità e che rientrano nei requisiti di reddito e patrimoniali previsti), escludendo gran parte dei poveri assoluti, cioè single o coppie senza figli, con bassi livelli di istruzione, molti dei quali residenti nel Mezzogiorno. È stato così cancellato il diritto di ogni cittadino in difficoltà, che rispetti determinati requisiti reddituali, patrimoniali e di residenza, di accedere con continuità, fino a quando il bisogno persiste, a un sostegno economico che gli permetta di condurre una vita dignitosa. Il risultato del nuovo sistema, come dimostrato da recenti stime dei potenziali effetti redistributivi della riforma, può essere un aumento significativo dell’incidenza della povertà e della disuguaglianza nel nostro Paese.
Per quanto riguarda la povertà minorile, tra il 2021 e il 2022 sono stati elaborati e adottati il Quinto Piano Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza e il Piano di Attuazione Nazionale della “Garanzia infanzia” (Pangi), che prevedono misure specifiche di contrasto alla povertà minorile come assicurare che bambini, bambine e adolescenti in situazioni di vulnerabilità abbiano accesso a servizi di cura della prima infanzia, educazione e attività scolastiche, un pasto salutare al giorno in ogni giorno di scuola e assistenza sanitaria, con particolare attenzione anche alla dimensione di genere e a forme di svantaggio specifiche. Importante per la prevenzione e il contrasto della povertà minorile è stata anche l’introduzione dell’Assegno Unico e Universale a decorrere da marzo 2022, una misura di sostegno alle famiglie con lo scopo di razionalizzare e semplificare le misure precedentemente previste per le famiglie con figli.
Tra il 2010 e il 2022 il Goal 1 peggiora,
ma nell’ultimo biennio si registrano lievi segnali di ripresa
grazie alla riduzione della grave deprivazione materiale e sociale.
Rispetto al 2015 le disuguaglianze tra le Regioni
risultano invariate.
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