Il punto di Giovannini
Il ruolo che l’Italia dovrebbe svolgere alla Cop30 di Belém
31 ottobre 2025
Il 10 novembre si è aperta a Belém, in Brasile, la trentesima conferenza internazionale sulla lotta al cambiamento climatico, la cosiddetta Cop30. È un momento importante per verificare l’effettiva volontà dei diversi Paesi del mondo di continuare a impegnarsi su questo tema, ma purtroppo la conferenza non si è aperta sotto i migliori auspici.
Con la nuova presidenza Trump, gli Stati Uniti sono usciti dall’Accordo di Parigi firmato a dicembre 2015. In Europa si evidenziano fortissimi contrasti tra i governi e la Commissione europea, con una spinta a rallentare l’impegno alla riduzione delle emissioni, in particolare il taglio del 90% rispetto al 1990 entro il 2040, in nome della difesa dei posti di lavoro o di una presunta superiorità industriale. Nel frattempo, si vede un’accelerazione straordinaria da parte dell’Asia, non solo della Cina ma ora anche dell’India, e dell’Africa, per compiere un salto tecnologico verso l’uso massiccio di energie rinnovabili.
In molti Paesi, e anche in Italia, il settore privato è fortemente diviso tra imprese che, proprio grazie all’innovazione tecnologica, vedono grandi opportunità di business nelle rinnovabili e quelle che invece temono di perdere il loro potere, in particolare le aziende che operano nei combustibili fossili. Non c’è dubbio che a livello internazionale si percepisca una certa stanchezza, anche perché l’attacco che Trump ha mosso al multilateralismo rallenta l’entusiasmo nel tentativo di trovare accordi. Eppure, nella conferenza di luglio a Siviglia, sul tema del finanziamento allo sviluppo sostenibile dei Paesi in via di sviluppo, senza gli Stati Uniti si sono raggiunti accordi importanti e interessanti. Sembra quindi che il mondo si stia adattando a un multilateralismo senza gli Usa.
L’Europa sta giocando una partita pericolosa. È stata, ed è in parte ancora, la campionessa mondiale dello sviluppo sostenibile e delle rinnovabili, con il Green Deal e gli impegni molto forti presi a livello internazionale, incluso l’obiettivo di essere il primo continente decarbonizzato entro il 2050. Un impegno di cui molti risero all’epoca, assunto poi anche da altri Paesi. L’Europa rischia di essere sopravanzata, anche da un punto di vista politico, da altri Paesi, in particolare dalla Cina, che sul piano tecnologico e dell’installazione di rinnovabili ha mostrato avanzamenti straordinari, mentre sul piano politico sta provando a riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti nei consessi internazionali, alleandosi con i Paesi del cosiddetto Sud globale, in particolare di quelli africani.
Dunque, sarà una COP difficile, ma anche estremamente interessante, nella quale si discuterà di tematiche che riguardano anche il nostro Paese. L’Italia si è impegnata a contribuire al Fondo per perdite e danni causati dal cambiamento climatico nei Paesi più poveri, che non hanno alcuna responsabilità rispetto alle emissioni del passato, perché è evidente che sono stati i Paesi sviluppati ad aver emesso gas climalteranti in modo straordinario nell’ultimo secolo, soprattutto a partire dalla Seconda guerra mondiale. Anche la finanza per il clima, che dovrebbe convogliare investimenti privati verso la transizione energetica ed ecologica, vede l’Italia impegnata, ma con evidenti contraddizioni, al punto tale che la legge di Bilancio per il prossimo triennio non menziona i fondi che dovrebbero essere erogati secondo gli accordi finora presi dal nostro Paese.
Insomma, vedremo come andrà a finire. Non c’è dubbio però che sarebbe importante, per il nostro futuro, che l’Italia giocasse a livello europeo e internazionale un ruolo di primo piano, invece di richiamare continuamente una presunta “ideologia green” e un eccesso di impegno da parte dell’Unione europea. Su questi temi si gioca non solo il nostro futuro, ma anche la capacità tecnologica di sviluppare nuove produzioni e, dunque, creare occupazione di qualità nei decenni a venire.
