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Afghanistan: anche questa volta l’Alleanza agisce con una grande mobilitazione
Come aiutare gli abitanti di questo martoriato Paese? Le diagnosi e le iniziative delle associazioni della rete ASviS sono diverse, ma mostrano un grande impegno sui nostri valori comuni. 24/8/21
Mentre la crisi umanitaria che ha il suo epicentro nell’area intorno all’aeroporto di Kabul assume proporzioni sempre più drammatiche e le democrazie occidentali provano a coordinare un piano comune per fronteggiare la situazione, la società civile si mobilita per sostenere la popolazione afgana. Per riuscire a tutelare i più esposti alla crisi e alle persecuzioni dei nuovi vincitori, è necessario infatti lo sforzo di tutti. Sforzo al quale non si sono sottratti gli aderenti dell’ASviS che si occupano di cooperazione internazionale e di tutela dei diritti.
A seguito della sottoscrizione di un appello volto a sollecitare le istituzioni ad aprire il prima possibile corridoi umanitari per l’accoglienza di rifugiati afgani in Italia, con particolare attenzione alle donne, una delegazione dell’ASviS e di rappresentanti delle organizzazioni firmatarie è stata ricevuta alla Farnesina da alcuni funzionari del ministero degli Esteri e dal sottosegretario Benedetto Della Vedova. Oltre 80 le associazioni di donne e terzo settore che hanno sottoscritto la lettera, tra cui reti come Donne per la salvezza, Fuori Quota, Human Foundation, Le Contemporanee, Pangea, Rete per la parità, con molte sottoscrizioni individuali comprese quelle dei presidenti dell’ASviS. Durante l’incontro, l’Alleanza si è impegnata a mobilitare i propri aderenti su supporto e accoglienza, sfruttando la dimensione della sua rete di oltre 300 realtà, e ha partecipato al confronto con le istituzioni sulla situazione drammatica, evidenziando anche la disponibilità del Terzo settore a continuare ad essere in prima linea in una battaglia in cui “non tutto è perduto”: “Il lavoro ventennale non è buttato. Le Ong italiane ci sono ancora nelle forme possibili e garantiscono tutto il supporto logistico che sarà possibile”, ha sottolineato Gemma Arpaia, coordinatrice del Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 17 dedicato a partnership e cooperazione internazionale.
Tra le iniziative sul campo dei nostri aderenti si segnala l’azione portata avanti dal Comitato italiano per il World food programme (Wfp), che sta continuando il suo lavoro di sostegno alla popolazione in difficoltà del Paese. Secondo le stime fornite dall’organizzazione, prima dello scoppio della crisi politica e sociale, un afgano su tre era affamato. Si tratta di circa 14 milioni di individui, inclusi due milioni di bambini. Nonostante la crisi, il Wfp e i suoi partner sono impegnati a garantire le operazioni umanitarie, mantenendo la sicurezza dello staff e delle persone che hanno bisogno di aiuto. Le sfide logistiche e di sicurezza che il nuovo corso politico impone non fermeranno l’organizzazione, che ha ribadito la propria volontà di continuare a operare in tutto il Paese, incluse le aree dove ci sono combattimenti in corso.
In questo quadro così difficile non è mancata la voce di Save the children. Già prima dell'attuale escalation di violenze, la situazione umanitaria per i bambini afgani era estremamente difficile. Negli ultimi anni, ancor prima della riconquista talebana, l’Afghanistan era uno dei posti più pericolosi dove essere piccoli. Con la crisi, il numero dei bambini che soffrono la fame, o che sono costretti a vivere all'aperto senza cibo o cure mediche, aumenterà. “Al momento abbiamo dovuto sospendere la maggior parte delle attività a causa del conflitto in corso e della situazione instabile, ma contiamo di riprenderle non appena le condizioni di sicurezza lo consentiranno. Esortiamo quindi tutte le parti in conflitto a porre fine alla violenza, proteggere l'accesso umanitario e rispettare il diritto umanitario internazionale”, scrive in un comunicato Save the children. L’Unicef, dal canto suo, prevede che quasi due milioni di bambini avranno bisogno di assistenza umanitaria per acqua, cibo e servizi igienico-sanitari, e che oltre un milione di bambini sotto i cinque anni soffrirà di malnutrizione acuta grave, con tutti i problemi che questo comporta per lo sviluppo fisico e mentale, mentre a quasi 9,5 milioni di bambini viene negato il diritto a un’istruzione, e la situazione è resa ancora più grave dalle conseguenze del Covid-19 e dalla siccità.
Si segnalano numerosi altri appelli lanciati dalle Ong aderenti all’ASviS e accompagnati da un’ampia mobilitazione a favore del Paese asiatico. “Il deteriorarsi delle condizioni in Afghanistan, già fortemente provato da una guerra civile strisciante, pone il Governo italiano e la comunità internazionale tutta di fronte all’obbligo di un’azione immediata in difesa dei diritti umani” scrivono ad esempio i firmatari, tra cui anche WeWorld, di una lettera inviata alle più alte cariche dello Stato. Il documento ricorda i dati raccolti dalla Missione di assistenza delle Nazioni unite in Afghanistan (Un assistance mission in Afghanistan – Unama), secondo i quali tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2021 sono state censite 5.183 vittime civili, 1.659 uccisi e 3.524 feriti, fra cui un numero altissimo di ragazze, donne e bambini. Il numero totale di civili uccisi e feriti è aumentato del 47% rispetto alla prima metà del 2020, invertendo la tendenza degli ultimi quattro anni. Rispetto ai primi sei mesi del 2020 il numero di bambine e donne uccise o ferite è pressoché raddoppiato. “Gli ultimi giorni hanno visto un'escalation mortale dei combattimenti nelle province afgane aggravando ulteriormente le sofferenze indicibili di un Paese in cui, stando ai dati dell International organization for migration (Iom), oltre cinque milioni di persone sono già sfollate all'interno del Paese e vivono in condizioni al limite della sopravvivenza”. La lettera inviata al Governo italiano contiene anche alcune indicazioni: assicurare rapidamente l’apertura di corridoi ed evacuazioni umanitarie verso l’Italia per tutte le persone a rischio, non solo per chi ha collaborato con gli occidentali, e fare pressione affinché si ponga fine alle violenze; rafforzare le iniziative di re-insediamento; sostenere i canali di ingresso locali e impedire in sede Ue che alcuni Paesi membri procedano a rimpatri forzati di cittadini afgani; difendere e tutelare i diritti di donne e bambini, prime vittime di violenze e discriminazioni.
Nell’appello che il presidente di Link 2007 Roberto Ridolfi ha affidato alle colonne di Vita.it si sostiene la necessità di aprire un canale di trattative con coloro che hanno il controllo del Paese: "Dialogare, negoziare con i Taliban (non è una novità, lo si sta facendo comunque da molto tempo, riconoscendo il grado di consenso di cui godono) non significa riconoscerli o legittimarli politicamente ma potrebbe significare qualche importante immediato progresso per la protezione e la libertà delle persone che unanimemente affermiamo di volere tutelare” spiega il presidente della ong. “Alla politica è ora richiesto di farsi sentire, con coraggio, mostrando capacità di iniziativa, con intelligenza e senza paure, aprendo canali di dialogo, uscendo dall’immediato interesse di parte. Il presidente Mario Draghi può dare un segnale in questo senso, nel governo e nell’Ue. Anche la sua iniziativa per una riunione sull’Afghanistan del G20 - dove sono presenti Paesi con differenti rapporti con il nuovo regime – per potere riannodare qualcuno dei fili che le relazioni internazionali hanno strappato al multilateralismo è di grande importanza e rappresenta una capacità di leadership di cui c’è grande bisogno”, conclude Ridolfi.
Nonostante le modifiche dovute agli ultimi stravolgimenti e al fatto che, come scrivono Mauro Lusetti, presidente nazionale Legacoop, e Annalisa Casino, presidente della Commissione pari opportunità Legacoop, il progetto di assistenza sanitaria femminile Pangea sia inviso agli “Studenti di religione” afgani, la onlus non abbandonerà l’Afghanistan. Al momento la priorità è mettere in salvo lo staff afgano, donne che in questi anni hanno lavorato con coraggio per aiutare le donne. E che ora rischiano violenze, stupri e la morte. “Dobbiamo metterle in sicurezza per poter ricominciare presto ad aiutare le donne e i bambini a Kabul”, si legge sulla pagina del progetto. Nonostante questo stop obbligato, dunque, il progetto riprenderà non appena la situazione sarà più chiara. Parlano di apertura di corridoi umanitari anche Cisl, Cgil e Uil che esprimono la loro preoccupazione per la degenerazione della situazione afgana. Tuttavia, spiegano i rappresentati delle tre sigle sindacali, sarà altrettanto importante riflettere sulle conseguenze dell’intervento armato e della massiccia presenza militare estera che non è riuscita a sostenere la creazione di un governo democratico, così come sugli errori compiuti, compresa la valutazione completamente sbagliata sugli effetti del ritiro delle truppe estere. Questo deve essere il monito sui passi da compiere, perché non si rinunci alla prospettiva del multilateralismo e si trovino gli equilibri necessari per il rispetto e l’interazione tra culture diverse, spiegano i sindacati italiani. “La finalità deve essere perseguire la convivenza pacifica e la concordia negli obiettivi di sviluppo umano e democratico, con pieno riconoscimento e affermazione dei diritti universalmente riconosciuti”. Nello specifico Cgil, Cisl e Uil si attiveranno per promuovere una iniziativa europea a sostegno dei sindacalisti afgani della National union of Afghanistan workers and employees.
La situazione che vive oggi l’Afghanistan rischia di essere sempre più pericolosa per gli oppositori del regime totalitario e del pensiero integralista dei talebani, per le donne, le minoranze e per le voci libere della società civile e del giornalismo. Per questa ragione diverse organizzazioni - tra cui l’Associazione delle ong italiane - hanno lanciato il progetto “Insieme per l’Afghanistan”. I firmatari dell’appello chiedono che l’Italia e l’Europa si impegnino per una evacuazione immediata senza esclusioni degli oppositori al regime, accogliendo subito chi scappa dai talebani. Una soluzione, sottolineano, che per il momento è ancora percorribile con l’apertura di canali umanitari e con l’appoggio di Bruxelles a tutti quei Paesi che saranno costretti a fronteggiare la crescita dei flussi migratori. In questo senso, è di fondamentale importanza che l’Italia mantenga una sede diplomatica sul suolo afgano e che continui a investire nella società civile di Kabul. L’appello è stato firmato, tra gli altri, anche da Aidos, Aoi, Cgil, Cini, Cisl, Fairtrade, Focsiv, Forum Terzo Settore, Legambiente, Link2007, Oxfam Italia e Uil.
di William Valentini