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Diritti umani e ambientali: due diligence strumento rivoluzionario contro le impunità
Le proposte per rendere la direttiva europea davvero efficace al centro dell’evento ASviS-WeWorld-Impresa 2030 a Roma. Boldrini: “Costituiamo insieme un tavolo di lavoro per una proposta di legge italiana sulla dovuta diligenza”. 22/9/23
Innovativa, strategica, potenzialmente rivoluzionaria. La direttiva Ue sulla Corporate sustainability due diligence, che intende creare comportamenti aziendali più responsabili lungo le catene del valore globali, convince operatori del settore e organizzazioni della società civile. Tuttavia, alcuni punti della proposta possono essere rafforzati, in particolare per quanto riguarda l’applicazione a tutte le imprese, anche le Pmi, e la definizione di vere e proprie categorie di impatto ambientale.
“La responsabilità sociale volontaria delle imprese è inefficace, bisogna dotarsi di regole certe e garantire giustizia alle vittime”, il messaggio affidato a una nota da parte di ASviS, WeWorld e Impresa 2030, che ripercorre le priorità da tenere in conto per arrivare a un testo finale della direttiva europea davvero efficace. Le tre organizzazioni hanno presentato le proposte in un evento aperto agli stakeholder venerdì 22 settembre a Roma, presso l’Hotel Nazionale, e online. I margini per migliorare la direttiva, ora entrata nella fase negoziale tra Parlamento, Commissione e Consiglio europei, ci sono: il testo finale è previsto solo per l’inizio del 2024 e gli Stati membri dovrebbero avere altri due anni per recepirlo nel diritto nazionale.
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“Nei Paesi in cui lavoriamo siamo testimoni degli effetti del mancato rispetto dei diritti umani e ambientali sulle comunità e sulla biodiversità”, ha sottolineato in apertura Dina Taddia, di WeWorld, organizzazione che da oltre 50 anni aiuta donne, bambine e bambini in 27 Paesi.
L’incontro è stato sostenuto dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, rappresentato da Mara Cossu: “La direttiva è un tassello fondante, perché ci porta dalla dimensione della volontarietà a quella dell'obbligo. Inoltre mette insieme tassonomia ambientale e tassonomia sociale, chiudendo così un cerchio che sposta dalla dimensione puramente ambientale ad una dimensione di sostenibilità più ampia. È una sfida epocale perché abbiamo bisogno di strumenti non solo operativi ma concettuali: occorre cambiare la mente delle persone”.
Per le aziende, ha sottolineato il direttore scientifico dell’ASviS Enrico Giovannini, scegliere la sostenibilità non è un costo ma un’opportunità, eppure le imprese dotate di questa visione sono ancora una minoranza. E “questo tema non è acquisito neanche in aziende che hanno fatto della sostenibilità la propria bandiera. Dunque non solo dobbiamo andare avanti, ma anche evitare di fare passi indietro. Il Green deal non è una politica ambientalista bensì di sviluppo sociale ed economico. Se avremo imprese europee che ‘giocano’ la partita della sostenibilità, avremo imprese forti nella produttività e un aumento occupazionale”. Nel suo intervento, Giovannini ha ricordato anche le modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione, la recente approvazione della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, e ha concluso sottolineando tre elementi di speranza per il futuro: le competenze (“ormai tutti i gli atenei italiani hanno messo la sostenibilità al centro degli insegnamenti”), il nuovo codice dei contratti (“recepisce integralmente quello che avevamo predisposto per le opere pubbliche Pnrr”, con una progettazione sostenibile anche a livello sociale) e le organizzazioni della società civile, che però devono lavorare su quello che Giovannini definisce “pensiero integrato”, necessario per un approccio diverso alle decisioni.
Un tema, quello del coinvolgimento della società civile, su cui si è soffermata poi Laura Boldrini, deputata del Pd e presidente del Comitato permanente della Camera sui Diritti umani nel mondo: “Vedo che qui ci sono tante donne e giovani interessati a questi temi. Ecco, bisogna coinvolgerli, perché la società civile ha un ruolo fondamentale nella misura in cui riesce a mobilitare l'opinione pubblica”. Boldrini ha scandito che “se la società civile fa pressione sui governi, i risultati arrivano”, citando la legge sul caporalato e la Convenzione Ilo sulle molestie sul lavoro. A conclusione del suo intervento ha sottolineato che “anche a livello nazionale si deve dare una normativa giuridica” e ha manifestato dunque l’intenzione di lavorare insieme, invitando esperte ed esperti, associazioni e tutti coloro che si occupano della materia a partecipare a un tavolo di lavoro “per studiare e impegnarci a redigere un testo, una proposta di legge sulla due diligence finalizzata al rispetto dell'ambiente e dei diritti umani”.
Per Martina Rogato, di Impresa 2030, coalizione di 13 organizzazioni no profit che lavora sui temi della giustizia sociale ambientale, “la direttiva europea è rivoluzionaria perché finalmente esplicita il legame che c'è fra diritti umani e ambiente, due temi che finora si sono sviluppati a compartimenti stagni. Un altro dei tratti innovativi è che introduce la responsabilità sia amministrativa che civile”. Tra i punti che destano perplessità, l’assenza di obiettivi specifici di medio e lungo termine, la mancata rendicontazione sugli investimenti, in termini di piano strategico ma anche finanziario, sui combustibili fossili, la scarsa armonizzazione con il Corporate sustainability reporting.
Che cosa significa il concetto di catene globali del valore rispetto alla direttiva? È la domanda che si è posta Margherita Romanelli di WeWorld, moderatrice del primo panel “Due diligence e imprese globali”: “Innanzitutto significa estendere obblighi dei diritti umani a tutte la aziende che producono altrove e commercializzano in Europa”. Ha preso la parola poi Sara Teglia, Impronta Etica e referente del Gruppo di lavoro ASviS “Imprese per il Patto di Milano”: “La proposta permette di superare la frammentazione, anche normativa, che c'è nel panorama odierno. Numerosi Paesi avevano iniziato ad adottare proprie legislazioni andando ognuno per la sua strada. Il secondo vantaggio è l’integrazione strategica, quando si chiede alle imprese di ragionare rispetto all'identificazione degli impatti prodotti nella catena di fornitura e di delineare dei piani d'azione per mitigare questi impatti. D’altra parte sappiamo che le catene del valore e gli scenari globali cambiano a grande velocità, dunque le imprese devono sviluppare strumenti e competenze interne che possano permettere di adottare una visione sistemica di lungo periodo”.
In foto: Marco Pedroni, Silvia Borrelli, Sara Teglia, Margherita Romanelli
Silvia Borelli, docente di Diritto del lavoro e membro della Cgil, ha affermato che la direttiva “offre uno strumento per lottare contro quello che oggi è un enorme problema, ossia l'impunità dell'impresa per quanto avviene nella sua catena del valore in termini di danni a diritti umani e all'ambiente. Ci sono però tuttora delle criticità in materia di prescrizione e provvedimenti ingiuntivi, nonché l’impossibilità di agire con un’azione collettiva”.
Secondo Marion Lupin, dell’European Coalition for Corporate Justice (Eccj), “la maggior parte degli impatti aziendali sui diritti umani e sull'ambiente sono noti ma non sanzionati. Pensiamo alla crisi climatica, ai lavoratori che muoiono, agli ambienti che vengono degradati, alla perdita della biodiversità: l’impressione della popolazione è che non ci sia nessuna sanzione da pagare”.
Marco Pedroni, Associazione nazionale delle cooperative di consumatori (Ancc), ha contestato la visione secondo cui senza sanzione non c’è motivazione: “Per molte imprese, soprattutto del largo consumo, la motivazione più forte non è una legge, pure necessaria, ma è l’elemento di mercato, ossia fare qualcosa che i consumatori possono apprezzare”.
In foto: Attilio Dadda, Marco Omizzolo, Giorgia Ceccarelli, Emma Baldi
Il secondo panel, dal titolo “Due diligence e Pmi”, è stato moderato da Giorgia Ceccarelli, di Impresa 2030 e Oxfam Italia. Emma Baldi, di Human Rights International Corner, ha dichiarato: “Le tre versioni che attualmente abbiamo del provvedimento, quindi la proposta della Commissione, l'approccio negoziale del Consiglio e la posizione del Parlamento, prevedono l'esclusione delle Pmi dall'ambito di applicazione delle disposizioni della futura direttiva. Ciò è in contrasto con la raccomandazione iniziale del Parlamento europeo del 2021, sull'estensione della legislazione anche alle Pmi quotate in borsa e a quelle definite ad alto rischio. Questa esclusione risulta problematica, in particolare pone la direttiva in disallineamento rispetto agli standard internazionali in materia di imprese e diritti umani”.
Attilio Dadda, vicepresidente vicario di Legacoop, si è soffermato sui valori del mondo cooperativo, affermando che oltre il 75% dei servizi di welfare di prossimità erogati in Italia è gestito dalle cooperative. La sostenibilità, ha aggiunto, “è una scelta culturale e imprenditoriale, e tra la cultura e l’applicazione c’è l’utilizzo di scelte strategiche di medio lungo periodo”.
In Italia ogni otto ore si muore sul lavoro, ha ricordato Marco Omizzolo, sociologo e ricercatore Eurispes, che ha poi richiamato l’attenzione sullo sfruttamento lavorativo, che “non è solo lavorare tante ore per pochi soldi, ma significa molto spesso vivere una condizione di subordinazione che provoca emarginazione”. “Questa normativa”, ha aggiunto, “risulta di particolare importanza, ma attenzione a precipitare nel cosiddetto ottimismo normativo, pensando che una legge risolverà il problema”.
di Andrea De Tommasi